Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-04-2012, n. 5839

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società contribuente propose ricorso avverso avviso di rettifica, con il quale l’Agenzia delle Dogane di Campobasso le aveva richiesto tributi doganali, Iva ed interessi di mora, in considerazione dell’accertamento di irregolarità nelle importazioni definitive di capi di abbigliamento effettuate dal 2003 al 2006, consistenti nella falsa attestazione, nei certificati di origine preferenziale, della provenienza di origine italiana di prodotti finiti importati da Paesi terzi.

L’adita commissione tributaria respinse il ricorso, con decisione che, in esito all’appello della società contribuente, fu parzialmente riformata dalla commissione regionale, la quale, esclusa la legittimità dei recuperi concernenti le operazioni doganali relative alle lavorazioni eseguite in Turchia (in quanto risultate incidenti su capi realizzati con materia prima di origine comunitaria), confermò la legittimità degli altri recuperi.

Avverso la decisione di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, illustrati anche con memorie.

L’Agenzia ha resistito con controricorso.

Chiamata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e rimessa alla Sezioni unite, che ne hanno ritenuta la procedibilità nella prospettiva di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la causa è stata chiamata all’odierna udienza pubblica per la decisione sugli ulteriori profili della controversia.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente deduce omessa pronunzia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione a vari profili.

Specificamente, la censura riguarda: la questione dell’eccessiva durata della verifica (dal 13.7.2006 al 13.12.2006), in asserita violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5,; la questione dell’intervenuta prescrizione e decadenza del potere impositivo, per decorso del termine di decadenza triennale di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 e art. 221 Reg. C.e.e. 2913/1992; la questione della competenza territoriale della Dogana procedente, contestata dalla ricorrente per il fatto che solo 31 delle 178 bollette relative alle operazioni dalle quali originava la contestazione erano state emessa dalla Dogana di Campobasso; la questione della legittimità, negata dalla ricorrente, della disapplicazione di atti ufficiali di Autorità estere (i certificati "Eur 1", rilasciati nello Stato di esportazione e non revocati dalle relative Autorità competenti).

La doglianza va disattesa.

In proposito, deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia a carico del giudice d’appello è configurabile solo allorchè il giudice medesimo ometta del tutto l’esame di una determinata censura mossa alla sentenza di primo grado e che tale situazione non ricorre nel caso in cui la sua decisione si fondi su di un argomento, che, pur non investendo direttamente detta censura, ne presupponga necessariamente l’accoglimento o il rigetto, giacchè, nel primo caso, la censura è inutile e, nel secondo, è implicita (v. Cass. 15882/07, 11756/06, 19131/04). Va, peraltro, considerato che, nel caso concreto, il giudice di appello, nel ribadire la fondatezza della pretesa erariale in merito a tutti i recuperi diversi da quelli relativi alle importazioni dalla Turchia, ha, in proposito, implicitamente esaminato, disattendendole, tutte le eccezioni rese in questa sede oggetto della denuncia di omessa pronuncia, trattandosi di eccezioni che, per il chiaro carattere preliminare, risultano necessariamente coinvolte nel rigetto (in parte qua) dell’appello, per ragioni di stretto merito.

In disparte l’indicato assorbente rilievo, merita, altresì, osservare che l’esposizione delle articolazioni, di cui la doglianza in rassegna si compendia, risulta carente in merito al requisito della specificità dei motivi di impugnazione e che le questioni agitate si rivelano comunque infondate.

Le tematiche correlative sono, infatti, investite in termini essenzialmente generali, senza esaustiva trattazione delle problematiche coinvolte e compiuta evidenziazione dei rilevanti elementi fattuali ed, inoltre, senza indicazione delle specifiche posizioni assunte, al riguardo, dalle parti nei pregressi gradi del giudizio. Deve, d’altro canto, considerarsi: che la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, per eccessiva durata della verifica medesima, incide, non sulla durata complessiva della verifica, ma sul tempo di specifica permanenza degli operatori presso la sede del contribuente (v. Cass. 23595/11); che, alla fattispecie, non si applica il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 (applicabile alle sole ipotesi di revisione incidente sulla qualificazione delle merci importate, in rapporto alle relative caratteristiche), ma quello di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84, comma 3 (T.U.L.D.) e art. 221, comma 4, reg. C.e.e.

2913/1992, che, in combinato disposto, sanciscono che l’azione per il recupero del dazio si prescrive nel termine di tre anni dall’irregolare introduzione della merce nel territorio doganale, salvo che si verta, come nella specie, in ipotesi rilevanti anche sul piano penale, nel qual caso l’azione si prescrive nel termine di tre anni dalla data in cui la sentenza od il decreto pronunciati nel giudizio penale sono divenuti irrevocabili (cfr. Cass. 1581/12); che la dogana procedente (oltre ad essere quella di parte consistente delle operazioni oggetto di accertamento) era anche, incontrovertitamente, quella della sede legale della società contribuente; che l’accertamento della falsità ideologica o materiale di certificati di origine non è esclusivamente rimessa al Paese dell’Autorità che lo ha emanato (cfr. art. 110 reg. C.e.e.

2454/1993).

Con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente deduce "insufficiente e contraddittoria motivazione", in merito alla ritenuta fondatezza della pretesa erariale.

La doglianza è generica e carente sul piano dell’autosufficienza, non contenendo idonea indicazione dei rilievi e delle circostanze opposti all’iter argomentativo della decisione impugnata, necessaria al fine di consentire a questa Corte, immediatamente, il vaglio della relativa rilevanza e decisività (v. Cass. 21621/07, 18506/06).

La censura si risolve, inoltre, in inammissibile sindacato in fatto.

Invero – a fronte di decisione ancorata, con sintetica ma compiuta motivazione, alle coerenti risultanze dell’esperita consulenza tecnica e delle acquisizioni documentali – con l’indicato motivo di ricorso, la società contribuente, pur apparentemente prospettando carenza di motivazione, tende, in realtà, a rimettere in discussione, contrapponendovene uno difforme, l’apprezzamento in fatto del giudice di merito, che, in quanto basato sulla disamina degli elementi di valutazione disponibili ed espresso con motivazione immune da lacune o vizi logici, si sottrae al giudizio di legittimità. Nell’ambito di tale giudizio, non è, infatti, conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, cui restano riservate l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, all’uopo, la valutazione delle prove, il controllo della relativa attendibilità e concludenza nonchè la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03).

Alla stregua delle considerazioni che precedono – ed attesa l’inammissibilità di ogni deduzione fondata su circostanze dedotte solo nella memoria ex art. 378 c.p.c. – s’impone il rigetto del ricorso.

Per la soccombenza, la società contribuente va condannata alla refusione delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso; condanna la società contribuente alla refusione delle spese di causa, liquidate in complessivi Euro 12.100,00 (di cui Euro 12.000,00 per onorario), oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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