Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 28-09-2011) 25-10-2011, n. 38641 Correzione di errori materiali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’appello di Palermo con sentenza del 5.6.2008 – 14.9.2009 ha confermato la condanna di M.F., deliberata dal locale Tribunale il 1.12.2005 per il reato di calunnia in danno di V.R., per avere inviato una missiva anonima alla Procura generale di Palermo accusando il V., ispettore di polizia, del reato di cui all’art. 600 quater c.p. pur sapendolo innocente, il 20.6.2000.

Due i ricorsi proposti nel suo interesse dal difensore avv. Tirnetta, entrambi tempestivi.

1.1 Il primo deduce questi motivi:

– inosservanza dell’art. 178 c.p.p., lett. c, art. 585 c.p.p., e art. 544 c.p.p., comma 3, art. 125 c.p.p., comma 3, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. E e G, artt. 547 e 548 c.p.p., manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione al fatto che alcuni giorni dopo il deposito del testo della sentenza e la consegna della copia alla difesa, ma prima della scadenza del termine d’appello, era stata aggiunta una pagina della parte motiva; in particolare, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente svalutato il dato che la difesa non avrebbe avuto l’intero termine previsto per legge al fine dell’impugnazione, anche in relazione a tale pagina, non essendo sufficiente la mera intempestiva conoscenza della stessa ad escludere la violazione del diritto di difesa; ancora – se si è compreso l’assunto – il ricorrente lamenta che con l’irregolare sanatoria del "buco motivazionale" la difesa sia stata privata della possibilità di farlo valere; la pagina aggiunta conterrebbe parte motiva "di fondamentale importanza nell’impostazione strutturale della sentenza", trattandosi lì il tema della verosimiglianza delle accuse, assente nel resto della motivazione, sicchè contraddittoriamente la Corte avrebbe prima escluso tale rilevanza e poi richiamato invece proprio il contenuto di tale pagina. Apodittica sarebbe poi la reiezione dell’eccezione sull’incertezza dell’autore dell’integrazione, in relazione alle peculiarità grafiche del testo rispetto a quelle delle altre pagine originarie, non essendo stata comunque osservata la procedura di correzione di cui agli artt. 547, 130 e 127 c.p.p.;

– illogicità della motivazione sul punto della natura di atti d’indagine dell’attività espletata dalla polizia giudiziaria in relazione al contenuto dell’esposto, perchè la polizia giudiziaria si sarebbe limitata a svolgere accertamenti per individuare l’autore dell’anonimo, avendo ritenuto del tutto immediatamente inverosimile l’accusa di acquistare e detenere materiale pedopornografico, rivolta all’ispettore, con ciò escludendosi la pendenza di un procedimento penale a carico dell’accusato, non essendo stata svolta alcuna attività anche solo assimilabile ed equivalente alla tipologia di atti di indagine disciplinata dal codice;

mancanza di motivazione sul punto della verosimiglianza dell’accusa;

lo stesso sarebbe stato trattato solo nella pagina aggiunta, sicchè la nullità costituita dalla mancanza originaria di quella parte essenziale di motivazione non avrebbe potuto essere sanata o superata con il richiamo per relazione operato dal Giudice d’appello, secondo il ricorrente, proprio alla pagina contestata;

– violazione dell’art. 531 c.p.p. e illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della perizia tecnica disposta dalla stessa Corte distrettuale, perchè la corte avrebbe prima giudicato non sufficiente la prova certa della provenienza della scrittura della busta dalla macchina da scrivere in uso all’imputato, e poi risolto il dubbio con l’incerta attribuzione all’imputato della grafia sulla ricevuta di spedizione e con un movente (la malevolenza verso il V.) non individualizzante;

– prescrizione del reato che, secondo il ricorrente, si prescriverebbe in sette anni sei mesi oltre 3 mesi e 17 giorni per periodi di sospensione.

1.2 Il secondo atto di ricorso deduce questi altri due motivi:

– trattandosi di nota anonima, gli organi inquirenti avrebbero dovuto farne uso nei limiti degli artt. 333 e 240 c.p.p., quindi senza alcuna utilizzazione nei confronti dell’apparentemente accusato, sicchè le sole indagini per l’identificazione dell’autore non avrebbero integrato il requisito di indagine previsto per la sussistenza del delitto di calunnia;

– inosservanza degli artt. 192 e 125 c.p.p., art. 546 c.p.p., lett. E e mancanza e illogicità della motivazione in ordine agli indizi contrari a quelli posti a fondamento della decisione e che, secondo il ricorrente, sarebbero costituiti dai dati fattuali elencati a pag.

6. 3. Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, va premesso risultare agli atti che:

effettivamente la motivazione della sentenza è stata depositata senza l’attuale pagina 7 bis, come si evince dal testo in atti inviato al ruolo generale civile per la registrazione, in ragione della statuizione in favore della parte civile; successivamente, prima della scadenza del termine secondo l’assunto del medesimo ricorrente (ma ciò risulta anche dall’atto di appello dell’originario codifensore, che riferiva il fatto senza tuttavia trarne ragioni peculiari ulteriori di impugnazione), vi è stata l’aggiunta della pagina che ha preso il n. 7 bis; tale aggiunta non risulta essere stata oggetto di specifico deposito; il foglio risulta tuttavia siglato con sottoscrizione analoga ai precedenti e successivi e il relativo testo si inserisce perfettamente nell’originario evolversi del testo, riferito alla pagina precedente ed a quella successiva, che altrimenti presentava un’evidente soluzione di continuità (sul punto le alternative di un’"intrusione" da parte di terzi nella motivazione sono del tutto apodittiche e contrastate dagli elementi in fatto appena richiamati); l’aggiunta del testo non risulta agli atti essere stata formalmente comunicata alle parti, la difesa stessa del M. tuttavia deducendo, già in entrambi i ricordati atti d’appello, la conoscenza del contenuto di tale pagina aggiunta, prima dell’originaria scadenza del termine di impugnazione e della materiale presentazione dei due atti di impugnazione.

Tale essendo il contesto "in fatto di procedimento" quale risulta dal fascicolo (che la Corte di cassazione può conoscere in relazione alle eccezioni e questioni in rito), risulta pertanto non essere stata osservata la procedura ex art. 130 c.p.p. e non essere stata, in alternativa, eseguita notificazione alle parti del testo integrato. Va ancora preliminarmente ricordato che l’art. 547 c.p.p. prevede come fisiologica la possibilità di una integrazione della motivazione, nel caso di sua insufficienza, sempre disponendo il ricorso alla procedura ex art. 130 c.p.p..

Orbene, nel caso di specie l’avvenuta presentazione dei due atti di appello ha sanato la nullità per l’omesso ricorso alla procedura ex art. 130 c.p.p., perchè tali atti sono stati dichiaratamente proposti nella piena consapevolezza del contenuto della pagina originariamente mancante. Tale nullità, in secondo luogo – così come la comunicazione del testo integrato -, era finalizzata a consentire eventualmente la possibilità di usufruire di un maggior termine per la proposizione dell’impugnazione. Ma, sul punto, la parte oggi ricorrente aveva ogni possibilità di proporre – se ritenuto necessario – ulteriore impugnazione nel termine decorrente dal momento della conoscenza della integrazione: e solo nel caso di poi giudicata tardività del nuovo atto di impugnazione, o delle relative nuove deduzioni su punti non toccati dai motivi originari, avrebbe avuto rilievo l’aspetto afferente la nullità o l’omessa rinnovata notificazione. Va infatti tenuto presente che ogni irregolarità (assistita o meno dalla sanzione di nullità non assoluta) che attiene all’osservanza del termine per impugnare ha incidenza solo ed esclusivamente sulla tempestività dell’impugnazione, mai sulla sentenza intesa come deliberazione e motivazione.

Il secondo motivo è diverso da quelli consentiti, risolvendosi in censura di merito: la Corte palermitana ha infatti specificamente richiamato atti probatori attestanti il compimento di indagini preliminari e riservate (pag. 5 e 6).

Il terzo motivo è manifestamente infondato. Esattamente la Corte distrettuale ha osservato (pag. 3 penultimo paragrafo) che ogni motivazione incompleta può essere sanata dal giudice d’appello. Il rilievo non solo assorbe la censura di originaria nullità della sentenza impugnata per mancanza o incompletezza della motivazione, ma altresì attesta l’inconsistenza della censura in ricorso per aver la Corte distrettuale "richiamato" anche le argomentazioni della pagina originariamente mancanti: la deduzione già nella sua astrattezza (prescindendo quindi dalla verifica della sua rispondenza alla realtà) è inconsistente, perchè, in ipotesi, attraverso il richiamo ad un testo noto alla parte (e qui l’aggiunta è certamente nota, altro essendo il tema della tempestività della conoscenza) la Corte d’appello quale giudice del merito completa, o sostituisce con la propria, una motivazione carente del primo giudice.

Il quarto motivo è diverso da quelli consentiti, perchè espone censure sostanzialmente di merito, laddove la Corte d’appello ha espressamente argomentato, con richiami non incongrui agli atti di prova esposti, il complessivo convincimento dell’attribuibilità della missiva anonima all’imputato: il ricorso sollecita invece una rivalutazione dell’idoneità di quel materiale probatorio, preclusa in questa sede di legittimità.

Il motivo sulla prescrizione è manifestamente infondato e generico:

la sentenza di primo grado è stata infatti deliberata prima dell’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, applicandosi pertanto al processo i termini di prescrizione originari (SU sent.

47008/2009). Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, si deve aver riguardo alla data della deliberazione (che chiude la fase processuale) e non a quella del deposito della motivazione della sentenza di primo grado.

Il primo motivo del secondo atto di ricorso è manifestamente infondato: ciò che rileva è la possibilità di intraprendere indagini, a prescindere dall’autonomo valore probatorio della modalità di confezionamento della denuncia originaria. Il resto (che si sarebbero svolti accertamenti solo per individuare l’autore della denuncia) costituisce riproposizione del tema già trattato dal precedente secondo motivo, sicchè valgono le medesime considerazioni per esso svolte prima.

Il secondo motivo è diverso da quelli consentiti, svolgendo censure di merito alla valutazione del materiale probatorio operata dalla Corte di Palermo, a fronte di una ricostruzione congrua ai dati richiamati, sorretta da motivazione non apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà che, soli, rilevano nel giudizio di legittimità. Non è infatti compito di questa Corte scegliere la più adeguata tra le ricostruzioni risultanti dalla sentenza o dai motivi.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di difesa sostenute per questo giudizio di cassazione dalla costituita e presente parte civile, liquidate come da dispositivo tenuto conto della tariffa penale e dell’attività prestata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali e a rifondere le spese sostenute dalla parte civile che liquida in Euro 2000 per onorari oltre il 12,50 % per spese generali oltre iva e cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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