Cons. Stato Sez. IV, Sent., 25-11-2011, n. 6260 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il presente gravame la ricorrente impugna la sentenza del TAR Campania con cui è stato respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della concessione edilizia rilasciata alla vicina.

L’appello è affidato alla denuncia di tre rubriche relative rispettivamente all’erroneità dei presupposti di fatto; autonomia della p.lla 363; e decadenza della concessione edilizia n. 51/1986.

Con decreto n. 9219/2009 era stata dichiarata la perenzione del gravame.

Con ordinanza n. 1524/2011 la Sezione ha accolto, l’opposizione introdotta il 19 febbraio 2010, della ricorrente avverso il predetto decreto ed ha fissato il merito.

L’amministrazione comunale non si è costituita in giudizio.

Si è invece costituita in giudizio la controinteressata C. che ha contestato analiticamente le censure dell’appellante ed ha concluso per il rigetto dell’appello.

Chiamata all’udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

L’appello è infondato.

– 1. Con la prima rubrica di gravame si lamenta l’erroneità della sentenza che ha ritenuto legittimo il rilascio della concessione singola sull’inesatto, erroneo, fantasioso presupposto della sussistenza delle opere di urbanizzazione. Al contrario nella zona non sarebbero presenti reti fognarie, né di gas, né stradali, né parcheggi, né pubblica illuminazione. A fronte della perizia giurata dell’ing. Fabio Catalano, depositata agli atti in primo grado dall’odierna ricorrente, la quale attestava la mancanza delle opere urbanizzazione primaria e secondaria di una zona posta al limite estremo territoriale del comune di Sant’Angelo a Cupolo, il Tar avrebbe dato rilievo ad una bolletta dell’Enel ad uso cantiere e ad un contratto di fornitura idrica, nonché ad una perizia giurata redatta da un semplice geometra che avrebbe fotografato una situazione completamente diversa dalla realtà. In particolare la totale assenza di una rete fognaria non potrebbe essere surrogata da realizzazioni di fosse settiche vietate dall’articolo 38 del regolamento edilizio del Comune.

Le abitazioni realizzate nel 1976 in zona agricola usufruiscono solo dell’allaccio idrico ed elettrico appena sufficienti alle loro esigenze e quindi non assimilabili alle reti di distribuzione urbane richieste per la concessione singola. Ciò sarebbe dimostrato anche dalla perizia, super partes, del Consulente Tecnico d’ufficio del P.M. penale ingegner Rainone (acquisita dall’appellante il 7 gennaio 2003, e quindi successivamente alla pubblicazione della sentenza), il quale – sul presupposto della sua discrezionale valutazione circa l’illegittimità della concessione edilizia singola – avrebbe affermato l’inesistenza delle opere di urbanizzazione nelle immediate vicinanze del lotto in oggetto.

In definitiva, la particella 363 ricadrebbe in zona territoriale C1, nella quale l’intervento diretto non sarebbe consentito e sarebbe subordinato all’approvazione di un vero e proprio piano particolareggiato esteso all’intera zona, ai sensi dell’articolo 5 del PRG.

Infine nessun rilievo potrebbero avere le "condizioni speciali" con l’obbligo di partecipare alle future urbanizzazioni, apposte nella concessione impugnata in quanto, in assenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, sarebbe materialmente impossibile la loro realizzazione la parte del singolo ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 11 50/1942, così come era stato del resto ritenuto dal Tar Salerno il 24 febbraio 1988.

L’assunto va complessivamente respinto.

In bae alla disciplina all’epoca vigente, ai fini del rilascio della concessione di costruzione, il piano particolareggiato o il piano di lottizzazione sono necessari quando si faccia luogo, per la prima volta, all’edificazione in una zona assolutamente non ancora urbanizzata e non anche quando si abbia un’edificazione singola in un contesto già urbanizzato essendo all’uopo sufficiente quanto prescritto dall’art. 31 del L. 1781942 n. 1150 (nel testo di cui all’art.10 della L. 6 agosto 1967 n. 765) in ordine all’esistenza di opere di urbanizzazione (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, 29 aprile 1986, n. 63).

Al riguardo, in linea di massima, l’affermazione circa la sufficienza o meno del livello di urbanizzazione costituisce una tipica valutazione di merito, afferente alla discrezionalità tecnica, che come tale può essere sindacata solamente per palesi illogicità, errori o incongruità.

Nel caso in esame, in relazione all’entità demografica del Comune de quo, le costruzioni risalenti al 1976 sono dirette testimoni dell’esistenza del — sia pure minimo — standard di urbanizzazione richiesto dall’art. 3 della L.U. L. 1781942 n. 1150.

Infatti la presenza della linea dell’energia elettrica, dell’acquedotto, e del gas consentono sul piano igienicosanitario un sufficiente standard abitativo. In tale direzione appare veramente singolare la pretesa dell’appellante di impedire l’edificazione nella proprietà confinante alla sua abitazione per mancanza di urbanizzazioni.

Quanto poi alla mancanza di fognatura non corrisponde a verità la generica affermazione della ricorrente per cui illegittimamente la concessione prevede lo scarico delle acque nere e di quelle c.d. grige nella fossa biologica a tenuta stagna.

Al contrario, la norma regolamentare del Comune circa il divieto di fosse settiche non va intesa in senso assoluto, ma deve essere interpretata alla luce della disciplina nazionale per cui, nelle singole regioni, tale sistema statico di raccolta delle acque, poteva essere utilizzato nel caso di edifici isolati o comunque non serviti dalla fognatura in base alle norme tecniche di cui alla delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977 e successive modifiche ed integrazioni, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 48 del 21 febbraio 1977".

Anche in seguito, in base all’art. 62 comma 7° del D.Lgs. (allora vigente) n. 152/99 e s.m.i., tale normativa tecnica si poteva continuare ad applicare, fino all’individuazione da parte della Regione di adeguati sistemi individuali o di altri sistemi pubblici o privati (27 comma 4) del medesimo d.lgs..

Né poi è vero che nella concessione non potessero essere inserite, in via generale ed in mancanza di specifiche disposizioni contrarie, prescrizioni specifiche a tutela dell’ambiente e del tessuto abitativo.

Al contrario l’Ente, in presenza di speciali circostanze ben può imporre prescrizioni se queste non contrastino con la natura e tipicità del provvedimento; non siano tali da snaturare l’atto, negandone la funzione o non impongano sacrifici ingiustificabili, sproporzionati o immotivati.

Nel caso la prescrizione circa la realizzazione o l’adeguamento delle eventuali infrastrutture mancanti a spese del concessionario, comunque assicurava il completamento delle infrastrutture primarie nella zona.

Infine del tutto inconferenti sono le considerazioni e le conclusioni del CTU Penale perché:

– sul piano processuale, si tratta di documentazione successiva alla definizione del processo, come tale non ammissibile in appello ai sensi del 104, II co. del C.p.a.;

– sul piano sostanziale il Collegio non ritiene tale atto indispensabile ai fini della decisione anche in considerazione dell’archiviazione del procedimento penale, e comunque della non condivisibilità della sua premessa circa la non assentibilità della concessione singola.

Il motivo va dunque respinto.

– 2. Con il secondo motivo si assume l’erroneità dell’autonomia della particella 363, affermata dal TAR, che sarebbe invece risultata da un frazionamento dall’ex particella 100, già interamente impegnata dalle cinque licenze rilasciate nel 1976. Pertanto il terreno di proprietà della controinteressata era già stato utilizzato ai fin urbanistici per cui, come ha insegnato il Consiglio di Stato, la particella non poteva essere ritenuta libera neppure in parte, ai fini del rilascio della nuova concessione. Del resto l’ufficio tecnico del Comune aveva iniziato la procedura di autotutela per l’annullamento del impugnata concessione edilizia prima che ne venisse bloccato l’iter.

Il motivo non convince.

In primo luogo l’appellante non fornisce alcun elemento probatorio certo (es. titoli di proprietà, certificazioni di destinazione urbanistica, concessioni del 1976, ecc. ecc.) in ordine all’affermata saturazione edilizia della particella e alla conseguente trascrizione di tali limitazioni nei pubblici registri delle proprietà. In tale direzione, nella dialettica delle rispettive affermazioni, appare più credibile il riferimento della resistente circa l’autonomia della particella catastale 363 rispetto alla p.lla 100 che sarebbe stata sancita dal P.R.G.

Pertanto in base all’antico brocardo "eius incumbit qui dicit", essendo la censura completamente priva di supporti probatori (al di là della fantasiosa insinuazione circa l’intervento di misteriosi "poteri superiori") deve ritenersi che, nel caso, ricorresse semplicemente una particella pienamente ed autonomamente edificabile.

Dunque esattamente il TAR, sul presupposto della disponibilità edificatoria della particella, ha affermato la legittimità della concessione edilizia ai sensi dell’art. 7 delle norme di attuazione al P.R.G. per cui "Nelle zone dove non è prescritto l’intervento urbanistico preventivo, ma è consentito l’intervento edilizio diretto, l’edificazione è ammessa per singoli lotti dietro rilascio della concessione o autorizzazione edilizia" in relazione alla avvenuta urbanizzazione primaria della zona oggetto del ricorso.

– 3. Con il terzo motivo si assume che la concessione impugnata avrebbe comunque dovuto essere considerata decaduta per decorso del termine triennale di durata. Infatti il fabbricato sarebbe stato sottoposto a sequestro penale dal tribunale di Benevento, con decreto del giudice istruttore del 25 giugno 1998, e gli effetti del sequestro sarebbero cessati dopo la sentenza esecutiva del tribunale di Benevento del 23 gennaio 98.

Pertanto i lavori di costruzione iniziati il 14.10.96, che erano stati sospesi nel periodo di sequestro, avrebbero dovuto essere completati entro il maggio 1999. L’avvenuta decadenza della concessione sarebbe stata anche attestata dall’attuale responsabile del settore tecnico del comune, sia pure con decorrenza 1 gennaio 2002. Non essendo stata presentata alcuna istanza di rinnovo, ma solo la comunicazione di ripresa lavori del 20 settembre 2000, la concessione era decaduta, così come attestata dall’avvocato consulente dell’amministrazione comunale in un suo parere del 31 luglio del 2000.

Come esattamente eccepito dalla controinteressata, la doglianza è inammissibile in quanto, non essendo stata dedotta in primo grado, costituisce un motivo nuovo la cui proposizione non è consentita ai sensi dell’art. 104, primo co. del c.p.a..

– 4. In conclusione l’appello è infondato in tutti i suoi motivi e deve essere respinto.

Le spese, secondo le regole generali di cui all’ art. 26 del c.p.a., seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

– 1. respinge l’appello, come in epigrafe proposto.

– 1. Condanna l’appellante al pagamento delle spese che vengono liquidate in Euro 3000 in favore della controinteressata C..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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