Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-04-2012, n. 5833

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato alla s.p.a. ASCIT SERVIZI AMBIENTALI ed al Comune di Capannori (LU), la s.r.l. PACINI MAURO (esercente attività di produzione e commercializzazione di fiori secchi e di articoli da regalo in due stabilimenti industriali siti in differenti località del Comune detto) – premesso che nel corso del 2005 aveva ricevuto la notifica di atti di accertamento di maggiori importi (per complessivi Euro 174.694,65) "dovuti a titolo di Tariffa Igiene Ambientale (…

TIA) . . . relativamente ad affermate maggiori superfici non dichiarate . . . per le annualità 2001, 2002, 2003, 2004 e 2005 … elaborati sulla base di misurazioni effettuate" da società all’uopo incaricata -, in forza di due motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 95/30/09 depositata il 21 settembre 2009 dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana. che aveva disatteso il suo appello avverso la sfavorevole decisione (27/02/08) della Commissione Tributaria Provinciale di Lucca la quale aveva dichiarato inammissibile ("per tardività") il ricorso.

La società intimata instava per il rigetto dell’impugnazione e spiegava, a sua volta, ricorso incidentale "condizionato", fondato su di un solo motivo.

Sia il ricorrente che la spa ASCIT depositavano memorie ex art. 378 c.p.c..

Il Comune non svolgeva attività difensiva.

Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata.

La Commissione Tributaria Regionale – ritenuto "ammissibile" il ricorso di primo grado perchè "il termine di decadenza" riprende a "decorrere dallo spirare del novantesimo giorno di sospensione" – ha respinto l’appello affermando:

– al "Direttore Generale" della spa ASCIT sono delegati i "poteri … più ampi in tema di gestione aziendale" ("definire controversie in sede di accertamento con adesione"; "compiere tutti gli atti relativi alla emissione di fatture");

– "la revoca" delle precedenti "delibere" contenuta in quella "n. 10 del 9 febbraio 2005", "avendo efficacia ex nunc", "toglie efficacia solo ad un eventuale provvedimento successivo fondato sulla norma revocata";

– sulla "questione" dell’"illegittimità della Delib. n. 10 del 2005 . . . dovrà decidere il TAR cui è stata sottoposta la questione, ma … l’atto mantiene la sua efficacia sino a pronuncia contraria del giudice amministrativo";

– avendo la spa ASCIT sostenuto che le "aree scoperte e pertinenziali" sono state "scorporate dalle tariffe", "spettava al contribuente dare la prova … di ulteriori aree non sottoponibili a tariffa";

– "un locale adibito a magazzino o ad esposizione ha una funzione propria, non subordinata a quella dei locali di lavorazione, nè vale affermare che in tali immobili non si producono rifiuti" atteso che "la tariffa è dovuta per tutti i locali …, non solo per quelli adibiti ad attività e/o produttori di rifiuti";

– "la tariffa … costituisce una pubblica entrata a carattere obbligatorio" per cui "anche lo smaltimento in proprio non esenta . .

. dal pagamento della tariffa che potrà subire solo delle riduzioni, se previste" ("l’appellata ha sempre sostenuto che tali riduzioni sono state applicate e controparte non ha provato il contrario");

– "l’assoggettamento al regime IVA … venne introdotto con L. n. 133 del 1994 vigente la TARSU";

– "si rigetta la contestazione relativa alle penali in quanto la TIA non è stata corrisposta per una notevole superficie soggetta a tassazione";

– "non si può parlare di carenza di motivazione" degli atti impositivi "quando, come nella fattispecie, … è ampiamente provato", "proprio tramite le argomentazioni difensive presentate", che "la difesa" è stata "messa in grado di comprendere le ragioni di un provvedimento dell’ufficio". 2. Il ricorso principale.

La contribuente censura la decisione per sei motivi.

1- Col primo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1387 e 1389 c.c., nonchè vizio di motivazione assumendo che il direttore della spa ASCIT non è titolare della legale rappresentanza della società e che tra le deleghe al medesimo conferite non risulta il potere di emettere atti di accertamento di natura tributaria.

2. Nel secondo motivo la contribuente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997 e del D.P.R. n. 158 del 1999, nonchè vizio di motivazione, in relazione alla dedotta avvenuta revoca (alla quale attribuisce efficacia ex tunc) della Delib. consiliare 9 febbraio 2005, n. 10 in base alla quale sarebbero stati emessi gli avvisi di accertamento.

3. Nella terza censura la ricorrente denunzia:

(1) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 e dell’art. 817 c.c.;

(2) omessa motivazione sulle destinazioni d’ uso delle superfici di cui erano composti gli immobili;

(3) omessa motivazione sull’assimilabilità dei rifiuti speciali prodotti da essa ricorrente.

4. Con il quarto mezzo la contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 6, comma 3, nonchè omessa motivazione su fatto decisivo, lamentando che la commissione regionale abbia ritenuto legittimi i coefficienti deliberati dal comune di Capannori, applicati dalla spa ASCIT, nonostante essa avesse indicato i motivi di loro illegittimità previo rinvio al ricorso instaurato in sede giurisdizionale amministrativa.

5. Nel quinto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 ed omessa motivazione sul punto, la ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto l’assoggettabilità della tariffa al regime dell’IVA, nonostante la natura di tributo della tariffa medesima.

A tale censura la spa ASCIT oppone:

– l’applicazione dell’IVA non coglie il corrispettivo tributario della tariffa ma, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 la sottostante prestazione di servizio;

– la natura latamente tributaria di un importo non esclude in sè l’applicazione dell’IVA, come dimostrato, per esempio, dal fatto che scontano l’imposta le accise sui consumi energetici;

– una simile conclusione, giusta quanto sostenuto in memoria, trova conferma nella successiva evoluzione della neoistituita tariffa integrata ambientale, disciplinata dal D.Lgs. n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente), nota come TIA/2 della quale la circolare ministeriale n. 3/DF/2010 ha affermato la sostanziale identità rispetto alla tariffa d’igiene ambientale (c.d. TIA/1) e dalla soggezione all’IVA in ragione della definizione non tributaria di cui alla norma d’ interpretazione autentica ( D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238) contenuta nel D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, convertito in L. n. 122 del 2010. 6. Nel sesto motivo, infine, la contribuente denuncia omessa o insufficiente motivazione nella parte attinente alle applicate penali e agli interessi assumendo "l’estrema incomprensibilità della materia (..) rende incomprensibile la motivazione adottata dal giudice dell’appello nel respingere la censura della società con riferimento all’ingiusta pretesa delle penali e degli interessi", dal momento che essa società aveva puntualmente corrisposto la TIA per gli anni anteriori negli importi in effetti richiesti, e che soltanto a seguito dell’accertamento delle (maggiori) superfici ritenute tassabili la spa ASCIT aveva chiesto, in unica soluzione, la maggior somma.

3. Il ricorso incidentale.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato la s.p.a.

ASCIT censura il capo della sentenza d’appello con cui si è ritenuto tempestivo il ricorso della società avverso gli avvisi di accertamento nonostante l’avvenuta redazione, nell’ambito del procedimento di adesione disciplinato dal regolamento detto, di un verbale di mancato accordo; denunzia, quindi, violazione e falsa applicazione dell’art. 2964 c.c. e segg. e art. 14 preleggi, con riferimento agli artt. 7 e 9 del regolamento del Comune di Capannori per l’applicazione dell’accertamento con adesione.

4. Le ragioni della decisione.

Del ricorso principale risulta fondato solo il quinto motivo; gli altri motivi dello stesso ricorso ed il gravame incidentale, invece, vanno disattesi.

4.1. La decisione del ricorso principale.

A. Il primo motivo è inammissibile perchè la questione dell’ambito oggettivo della delega di funzioni in seno agli organi societari investe una questione di mero fatto, il cui esame è istituzionalmente riservato al giudice di merito, e la doglianza della ricorrente non è supportata (come impone l’art. 366 c.p.c.) dalla testuale riproduzione delle conferenti disposizioni dello statuto della s.p.a. ASVIT. B. Sull’infondatezza del secondo motivo è sufficiente evidenziare che – come in generale può evincersi dall’art. 21-quinquies ("revoca del provvedimento") della L. 7 agosto 1990, n. 241 – la revoca di una delibera consiliare, in quanto atto a efficacia durevole, possiede a sua volta efficacia ex nunc, e come tale non toglie validità agli atti impositivi emessi nella vigenza (e sulla base) della delibera revocata.

C. Nell’affermare che spetta al contribuente dare la prova concreta delle ulteriori (rispetto a quelle pertinenziali e accessorie che la spa ASCIT aveva dichiarato essere state già scorporate) aree non sottoponibili a tariffa, poi, il giudice d’ appello ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3, secondo cui "la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone dei territorio comunale" : tale norma, infatti, connette l’obbligazione di pagamento alla mera occupazione di locali, a qualunque uso adibiti.

Discende da tanto la correttezza sia dell’affermazione per la quale i magazzini, in quanto funzionali all’espletamento dell’attività d’impresa, debbono essere considerati ai fini della tariffa (al pari delle ed. aree operative: cfr. già Cass. n. 2814/2005 con riguardo alla TARSU) (non potendo gli stessi essere considerati pertinenze, attesa la relazione di complementarità che caratterizza tutti i beni aziendali), sia dell’inferenza al contribuente dell’onere della prova in ordine alla sussistenza di fattispecie di esenzione (v. per tutte Cass. n. 4766/2004), onere che nella specie è stato giudicato inadempiuto.

D. Il quarto motivo è inammissibile in nuce per difetto di autosufficienza: lo stesso, infatti, è parametrato su elementi di fatto (i coefficienti applicati in coerenza con la delibera dell’ente locale) che il ricorso neppure enuncia.

E. Il quinto mezzo, come anticipato, è fondato. Occorre sgombrare il campo dalla considerazione da ultimo svolta da Ascit, perchè quanto evidenziato a proposito della rilevanza della disciplina della tariffa integrata ambientale, in base alla presunta sostanziale identità tra questa e la tariffa d’ igiene ambientale (ancora per comodità, rispettivamente, tia/2 e tia/1), è il frutto di una inaccettabile forzatura logica.

La tariffa integrata ambientale, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 è stata istituita previa soppressione (e, dunque, in conseguente sostituzione) della tariffa d’igiene ambientale. Per incidens, essa non risulta ancora applicabile non essendo stato emanato il previsto regolamento attuativo, di cui ai commi 3 e 6 della disposizione citata. Talchè, in base al successivo comma 10 dello stesso art. 238, fino alla completa attuazione della tariffa integrata (peraltro solo virtuale, essendo questa a sua volta destinata a cedere il passo, con decorrenza 1 gennaio 2013, all’istituito tributo comunale rifiuti e servizi (c.d. RES) di cui al D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 14 convertito in L. 22 dicembre 2011, n. 214), continuano ad applicarsi le discipline regolamentari prima vigenti; e dunque, la disciplina regolamentare della tariffa d’igiene ambientale (TIA/1).

D’ altronde non risulta (nè è stato in qualche modo dedotto) che il comune di Capannori abbia, in concreto, e per quanto rileva in causa, provveduto ad attuare la tariffa integrata con proprio autonomo regolamento – in base alla facoltà pur concessa dal D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 2-quater, convertito con modificazioni in L. n. 13 del 2009, giustappunto per l’eventualità della mancata adozione del ripetuto regolamento ministeriale attuativo entro il 30 giugno 2009.

Mantenuta nei limiti suoi propri, la questione relativa alla affermata (dalla ricorrente) soggezione della TIA/1 all’IVA va dunque risolta in coerenza con la pacifica natura tributaria della medesima, con la mancanza di disposizioni legislative che espressamente assoggettano a IVA le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti e con l’irrilevanza di diverse prassi amministrative (in effetti esistenti in alcuni territori), posto che la natura tributaria della tariffa va desunta dalla sua complessiva disciplina legislativa, e non da dette eventuali distorte prassi.

In tal senso è sufficiente richiamare i principi:

(1) affermati dalla Corte costituzionale (sent. n. 238/2009 e ord. nn. 300/2009 e 64/2010), secondo cui "non è fondala, in riferimento all’art. 102 Cost., comma 2, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 2, secondo periodo, nella parte in cui dispone che appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento di rifiuti urbani e, quindi, della tariffa di igiene ambientale (TIA) prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49: la tariffa di igiene ambientale (t.i.a.), infatti, costituisce una mera variante della ta.r.s.u. disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni) e conserva la qualifica di tributo propria di quest’ultima";

(2) accolti dalle sezioni unite di questa Corte (per tutte sez. un. n. 14903/2010; sez. un. n. 25929/2011) a mezzo dell’affermazione che "la tariffa di igiene ambientale (TIA), disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 costituisce non già una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU (disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993) e conserva la qualifica di tributo, propria di quest’ultima, con la conseguenza che le controversie aventi a oggetto la debenza della TIA hanno natura tributaria e sono da attribuire alla cognizione delle commissioni tributarie (senza che ciò si ponga in contrasto con l’art. 102 Cost., comma 2)".

In base a detti principi, stante la mancanza – ripetesi – di disposizioni legislative suscettibili di esser richiamate a presidio della affermata soggezione a IVA della prestazione del servizio di smaltimento in sè e per sè considerata (disposizione che, oltre tutto, ove esistenti, determinerebbero fondati dubbi di legittimità alla luce della normativa comunitaria ( direttiva 2006/112/CE) che esclude in via generale l’assoggettamento a IVA di diritti, canoni e contributi percepiti da enti pubblici "per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità"), deve si confermare la statuizione di cui all’impugnata sentenza, nel senso che gli importi pretesi a titolo di tariffa d’igiene ambientale non sono assoggettabili a IVA. F. Il sesto (ultimo) motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata, infatti, ha motivato la conferma delle dovute penali (e degli interessi di legge) in quanto la TIA non è stata corrisposta per una notevole superficie soggetta a tassazione:

rispetto a simile constatazione, di per sè giustificativa dell’applicazione di entrambe (le sanzioni e la mora), la censura si rivela del tutto generica e incongruente, non indicando quale sia il fatto controverso con riguardo al quale la motivazione della sentenza sarebbe da ritenere carente.

4.2. La decisione del ricorso incidentale.

La previsione regolamentare posta a base del punto controverso con il ricorso incidentale – basato sulla pretesa inutilità di mantenere sospeso, per i previsti 90 giorni, il termine di impugnazione in ossequio alle esigenze di concentrazione e di efficienza che ne impongono, in casi simili, la ripresa di decorrenza – è rappresentata dall’art. 7 del regolamento del Comune di Capannori per l’applicazione dell’accertamento con adesione alla tariffa di igiene ambientale.

Questa norma, invero, attiene al "procedimento ad iniziativa dell’utente" e disciplina gli effetti sospensivi consequenziali alla presentazione dell’istanza, per un periodo di 90 giorni, dei termini per l’impugnazione dell’avviso di accertamento (non preceduto dall’invito a comparire) e di quelli per il pagamento della tariffa.

Il dato posto al fondo della censura è costituito dal combinato disposto del predetto art. 7, commi 4 e 6 a misura del fatto che il comma 4 prevede che entro 15 giorni dalla ricezione dell’istanza di definizione sia appunto formulato, dal soggetto gestore, l’invito a comparire ai fini del contraddittorio sul procedimento di adesione, mentre il comma 6, disciplina l’effetto – automaticamente conclusivo dell’iter procedimentale – della comunicazione secondo la quale il gestore non intende o non può applicare l’istituto invocato; dacchè "dalla notifica della comunicazione di rigetto, riprendono a decorrere i termini per impugnare gli atti avanti la commissione tributaria provinciale e per il pagamento della tariffa".

La divergenza interpretativa tra le parti riguarda il significato da annettere alla succitata previsione, che, per la ricorrente incidentale, andrebbe intesa secundum tenorem rationis, vale a dire come sintomatica della inutilità del mantenimento della sospensione anche allorchè il procedimento di adesione si sia chiuso con la redazione del verbale di mancato accordo.

Siffatta interpretazione non può essere condivisa attesa la necessità di garantire un’applicazione dell’istituto su base sistematica coerente con la conforme legislazione nazionale.

La previsione del regolamento del Comune di Capannori, pur legittimamente inserita nello spazio di intervento per l’autonomia regolamentare previsto dalla L. 18 dicembre 1997, n. 449, art. 50 (nonchè, su base generale, quanto ai tributi locali, dall’art. 119 Cost., comma 2), infatti, necessita in ogni caso di un’ interpretazione coerente coi principi dettati dalla giurisprudenza quanto all’omologo istituto disciplinato, per i tributi statali, dal D.Lgs. n. 218 del 1997.

Riguardo a tale istituto, infatti, questa Corte ha già affermato (Cass., trib., 30 giugno 2006 n. 15170) che la chiusura del procedimento di adesione, prima del decorso del termine di 90 giorni previsto dal corrispondente citato D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6 non comporta la rinuncia del contribuente a giovarsi della sospensione dei termini di impugnazione concessa a coloro che si avvalgono della procedura in questione.

Una simile conclusione è sorretta dal riferimento al principio per cui, in materia tributaria, il puro e semplice riconoscimento del contribuente, nell’ambito di una procedura di accertamento, di essere tenuto al pagamento di un tributo, non produce l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, essendo l’obbligazione tributaria rigidamente regolata dalla legge, e non dalla volontà del contribuente.

La stessa, inoltre, trova definitiva conferma nell’interpretazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6 offerta anche dalla Corte Costituzionale (ord. 17 maggio 2001 n. 140) la quale – assunto aver il procedimento per l’accertamento con adesione generale finalità di prevenire l’impugnazione dell’atto di accertamento tributario notificato e di favorire l’instaurazione di un contraddittorio con il contribuente finalizzato a una definitiva e concordata definizione preventiva della controversia – ha ritenuto non irragionevole la previsione, a tal fine, di un periodo fisso di sospensione dei termini di impugnazione, considerandolo idoneo, giustappunto, a consentire un proficuo esercizio del contraddittorio in sede di adesione: tanto per la ragione che, durante il detto esercizio, il contribuente e l’ufficio hanno sempre agio di valutare liberamente la situazione controversa, allacciando, ed eventualmente sciogliendo e riannodando, le trattative.

In questo senso, quindi, la redazione del verbale di mancato accordo, pur risolvendosi in una presa d’ atto del mancato raggiungimento dell’accordo, non può essere equiparata nè a una definitiva rinuncia del contribuente all’istanza di accertamento con adesione, nè ad un epilogo comunque definitivamente conclusivo del procedimento, espressivo della volontà di escludere, anche per il futuro, la composizione della controversia in via amministrativa.

Conseguenza logica è che al medesimo verbale, proprio in quanto privo di attitudine definitoria rispetto alla sorte del procedimento amministrativo di adesione, non può attribuirsi alcuna funzione ostativa rispetto alla ratio della (perdurante) sospensione del termine di impugnazione dell’avviso di accertamento.

5. Provvedimenti conclusivi.

In definitiva, l’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto del ricorso principale e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il relativo punto della causa deve essere deciso nel merito da questa Corte dichiarando non dovuta l’IVA sugli importi pretesi a titolo di tariffa d’igiene ambientale.

La complessità della questione di diritto giustifica la compensazione in toto tra le parti delle spese processuali dell’intero giudizio ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale; rigetta gli altri motivi ed il ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, dichiara non dovuta l’IVA; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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