Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-04-2012, n. 5832

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. P.L., titolare della omonima ditta individuale esercente l’attività di autoriparazione e vendita di trattori e mezzi per l’agricoltura usati, con attività nel comune di Capannori, ha impugnato gli avvisi di accertamento TIA, riferiti agli anni dal 2001 al 2005, notificati dalla Ascit Servizi Ambientali s.p.a., concessionaria del relativo servizio per conto del predetto comune di Capannori.

Gli avvisi contestati recuperavano a tassazione superfici maggiori di quelle dichiarate, con i conseguenti oneri sanzionatori, finanziari (interessi) e fiscali (iva e tributo provinciale).

La commissione tributaria provinciale adita ha rigettato il ricorso.

Su appello del contribuente, la commissione tributaria regionale della Toscana ha confermato la decisione di primo grado.

Il contribuente ricorre oggi contro la società concessionaria e contro il comune di Capannori, chiedendo la cassazione della sentenza di appello, sulla base di sette motivi (e non sei, come erroneamente numerato).

Resiste la sola società concessionaria.

Entrambe le parti costituite hanno poi depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Il ricorso non può trovare accoglimento.

1. Con il primo motivo vengono denunciati vizi di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla eccepita nullità degli avvisi di accertamento sottoscritti dal direttore della società concessionaria, ritenuto carente del relativo potere. Sostiene la ricorrente che dalla circostanza, pacifica, che il direttore fosse legittimato a firmare le fatture non si può trarre la conclusione che potesse firmare anche gli atti di accertamento e che, comunque, tale potere avrebbe dovuto risultare dalla iscrizione alla CCIAA. Il motivo è inammissibile in quanto prospetta erroneamente come vizio di motivazione una violazione di legge (cioè, l’inesistenza della fonte normativa che legittimava il direttore alla firma), senza poi nemmeno indicare la norma violata. La motivazione della CTR, sotto il profilo logico, non presenta carenze o contraddizioni. La CTR spiega, infatti, che il direttore poteva firmare gli atti in contestazione, perchè titolare di una apposita delega. Dal punto di vista logico, la motivazione appare congrua. Se la società ricorrente non ne condivide le premesse giuridiche, avrebbe dovuto prospettare il motivo come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, indicando le norme e le disposizioni, anche pattizie, eventualmente violate, nel rispetto del principio dell’autosufficienza (riportando le norme statutarie ed eventualmente contestando l’ atto di delega al direttore).

2. Con il secondo motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 per omessa motivazione sulla eccezione che gli avvisi di accertamento erano carenti di base normativa (motivo dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). La difesa del contribuente sostiene che le affermazioni della CTR, sul proprio difetto di giurisdizione e sulla impossibilità di sospendere il giudizio, sono irrilevanti e non rispondono alla eccezione con la quale il contribuente aveva dedotto che gli avvisi di accertamento impugnati erano basati su regolamenti abrogati.

Il motivo prospetta un vizio di omessa pronuncia, e non di omessa motivazione. Come tale il motivo è infondato: la CTR affronta il problema della rilevanza dei regolamenti comunali e lo risolve in maniera errata, affermando, in contrasto con il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5 di non poter sindacare gli atti generali amministrativi. La risposta data dai giudici di appello non è inesistente (nè è affetta da vizio di motivazione): è giuridicamente errata – e quindi va corretta con riferimento al citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 – ma di ciò non si duole il ricorrente. In altri termini, la censura avrebbe potuto trovare accoglimento se fosse stata denunciata la violazione dell’art. 7 citato. Peraltro, anche se fosse formalmente corretta la censura di omessa pronuncia (o anche quella di omessa motivazione) il motivo sarebbe stato comunque inammissibile per carenza di autosufficienza, perchè il ricorso non specifica come e quando la censura è stata prospettata. Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui afferma che i regolamenti in questione erano stati annullati dallo stesso Comune che li aveva approvati. Infatti, il motivo è fondato su circostanze di fatto che la Corte non può verificare, nè viene chiarito se, come e quando tale assunto sarebbe stato rappresentato ai giudici di merito.

3. Con il terzo motivo, viene denunciata la omessa motivazione sul tema della fondatezza dei motivi di annullamento del regolamento TIA 2005 del Comune di Capannori proposto al TAR della Toscana (motivo proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Valgono, anche in relazione a questo motivo le considerazioni già svolte sub 2. La CTR ha affrontato il problema, ma lo ha risolto in maniera sbagliata e l’errore di diritto non è stato censurato. Quindi, non c’è nè omessa pronuncia, nè omessa motivazione.

Anche in questo caso, però, il motivo sarebbe stato comunque non autosufficiente.

4. Anche con il quarto motivo viene dedotto un error in procedendo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), consistente nella omessa pronuncia e/o motivazione sulla eccepita illegittimità degli accertamenti effettuati "a sorpresa" dalla società concessionaria, che invece, in base al regolamento TIA del Comune doveva essere preceduto da preavviso.

Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza (a) perchè manca la trascrizione dell’articolo del regolamento che conterrebbe la norma sul preavviso (previsto a pena di nullità dell’accertamento?) e (b) perchè manca anche della trascrizione della eccezione così come formulata dinanzi ai giudici del merito.

5. Con il quinto motivo (erroneamente indicato come 4), viene denunciata la violazione del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 49, commi 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La parte ricorrente sostiene che il regolamento comunale ha esentato le utenze non domestiche dal pagamento della quota variabile della TIA sul presupposto che tali utenze producono rifiuti speciali, non assimilabili per quantità e qualità ai rifiuti urbani, per i quali quindi non godono del servizio di raccolta. Sostiene altresì che dal 2004 sarebbe stato previsto soltanto il pagamento della quota variabile, salvo che il contribuente non provi di provvedere in proprio allo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti. Il motivo è inammissibile, sia perchè implica valutazioni di fatto, sia per carenza di autosufficienza, mancando la trascrizione delle norme regolamentari invocate: "Qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti comunali, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso – che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza" (Cass. 1893/2009; conf. 18661/2006).

6. Con il sesto motivo (erroneamente indicato come V), vengono denunciati vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il ricorrente assume, contrariamente a quanto afferma la CTR, di avere fornito la prova che provvedeva direttamente allo smaltimento dei rifiuti non assimilabili, per quantità e qualità, a quelli urbani, per cui aveva diritto alla esenzione. La censura, che più correttamente avrebbe dovuto essere prospettata come violazione dell’art. 116 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è inammissibile per carenza di autosufficienza, sia in relazione alla prospettazione dei fatti ritenuti rilevanti, sia in relazione alle norme regolamentari invocate, ma principalmente perchè tende ad una nuova valutazione di merito del materiale probatorio. Peraltro, a fronte della precisa affermazione della CTR, la quale certifica, in maniera perentoria, che "Il ricorrente non ha mai fatto valere condizioni obiettive escludenti la tassabilità dei suddetti locali ed aree scoperte pertinenziali nè mai ha offerto prova a sostegno della richiesta", la mancata valutazione della documentazione che il contribuente assume di aver depositato avrebbe dovuto essere censurata come vizio revocatorio.

Nell’ambito di questo stesso motivo, il ricorrente adombra la tesi secondo la quale la CTR avrebbe violato i canoni di distribuzione dell’onere della prova. Si tratta di censura non compiutamente sviluppata e non formalmente ed autonomamente prospettata e, quindi, inammissibile.

6. Con il settimo ed ultimo motivo (erroneamente indicato come 5), vengono denunciati vizi di motivazione riferiti alla applicazione ed al calcolo degli interessi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Anche questa censura è inammissibile perchè implica valutazioni di merito e perchè non formulata in maniera autosufficiente.

7. Per la completezza dell’esame del ricorso, giova rilevare che il contribuente fa presente di aver rinunciato alla eccezione relativa alla non debenza dell’iva.

8. Conseguentemente, il ricorso, nel suo complesso, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, tenuto conto della complessità della materia, soggetta a ripetute modifiche normative, vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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