Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-04-2012, n. 5831 Tassa rimozione rifiuti solidi Tributi locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La società DUE DI COSTRUZIONI METALLICHE S.R.L., con attività nel comune di Capannori, ha impugnato gli avvisi di accertamento TIA, riferiti agli anni dal 2001 al 2004, notificati dalla Ascit Servizi Ambientali s.p.a., concessionaria del relativo servizio per conto del predetto comune di Capannori.

Gli avvisi contestati recuperavano a tassazione superfici maggiori di quelle dichiarate, con i conseguenti oneri sanzionatori, finanziari (interessi) e fiscali (iva e tributo provinciale).

La commissione tributaria provinciale adita ha rigettato il ricorso.

Su appello della società contribuente, la commissione tributaria regionale della Toscana ha confermato la decisione di primo grado.

La società ricorre oggi contro la società concessionaria e contro il comune di Capannori, chiedendo la cassazione della sentenza di appello, sulla base di cinque motivi (e non sei, come erroneamente numerato).

Resiste la sola società concessionaria.

Entrambe le parti costituite hanno poi depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Il ricorso non può trovare accoglimento.

1. Con il primo motivo, viene denunciata la omessa valutazione dei motivi di annullamento dei Regolamento Ti a 2005 del Comune di Capannori, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La società ricorrente si duole del fatto che i giudici di appello hanno escluso di poter valutare la legittimità del citato regolamento, approvato con Delib. n. 10 del 2005.

Il motivo è inammissibile.

La censura coglie nel segno nella parte in cui denuncia che erroneamente la CTR ha affermato di non potere disapplicare i regolamenti comunali ritenuti illegittimi. L’affermazione si pone in netto contrasto con il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, e quindi la motivazione va corretta nel senso che, in linea di principio, in forza della citata disposizione, "Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente". Tuttavia il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto gli avvisi di accertamento in questione riguardano annualità precedenti (2001/2004) e non si comprende come un regolamento approvato nel 2005, di cui peraltro si eccepisce la illegittimità, possa incidere sugli anni pregressi. La censura non consente di individuare la rilevanza della illegittimità di un regolamento successivo (che quindi non dovrebbe incidere sui periodi pregressi, nemmeno se avesse recato norme retroattive) rispetto ai periodi di imposta 2001/2004.

Nè può invocarsi il principio iura novit curia. Infatti, "Qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti comunali, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso – che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza"(Cass. 1893/2009; conf. 18661/2006).

2. Con il secondo motivo, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la società ricorrente eccepisce che erroneamente la CTR ha ritenuto come ius novorum le proprie doglianze riferite alle questioni relative alla illegittimità delle operazioni di rilevazione delle superfici assoggettate a prelievo e a quelle relative ai coefficienti di applicazione della tariffa stabilita dal Comune. La ricorrente assume che le questioni erano già stata proposte, ma non riporta il tenore esatto delle stesse, così come sarebbero state prospettate al giudice di primo grado. Il motivo, quindi, è inammissibile per carenza di autosufficienza, ma anche perchè la CTR afferma che le doglianze in questione "sono anche infondate nel merito", sulla base delle "ampie argomentazioni espresse dai primi giudici, condivise in toto", e questa seconda ratio decidendi non è stata impugnata.

3. Con il terzo motivo, viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), anche sotto il profilo del vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). La società ricorrente contesta la legittimità del prelievo iva sul servizio di riscossione della TIA. La censura è fondata. La questione è stata affrontata e risolta dalle SS.UU. di questa Corte, che ha ritenuto corretto il percorso interpretativo della Corte Costituzionale (sent. 238/2009 e ord. 64/2010), in forza del quale è stata considerata legittima l’attribuzione al giudice tributario delle controversie in materia di TIA, in ragione della natura tributaria della stessa. Infatti, secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale delle SS.UU. di questa Corte (superato quello di cui alla sentenza n. 3274/2006), condiviso dal Collegio, "spettano alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene ambientale (TIA), in quanto, come evidenziato anche dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 64 del 2010, tale tariffa non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo" (SS.UU. 14903/2010, conf. 25929/2011).

La natura tributaria della TIA esclude che possa essere assoggettato ad IVA il relativo servizio di riscossione, che avrebbe come presupposto di imposta l’adempimento di un’ altra obbligazione tributaria.

Non rileva, nella specie, la norma interpretativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, conv. in L. n. 122 del 2010, che riconosce la natura non tributaria della tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 trattandosi di norma successiva che non si applica nella specie. La circostanza che il legislatore si sia posto il problema della natura della tariffa in questione e ne abbia riconosciuto la natura non tributaria, ma soltanto con riferimento alla disciplina dettata con il D.Lgs. n. 152 del 2006, è un chiaro indice della volontà di non incidere sul diritto vivente (interventi della Corte Costituzionale e delle SS.UU. di questa Corte) fino alla data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 152 del 2006. 4. Con il quarto motivo di ricorso, la società denuncia la violazione del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 49, commi 3 e 4, e D.P.R. n. 158 del 1999, art. 6, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La parte ricorrente sostiene di avere sempre prodotto rifiuti speciali non assimilabili agli urbani, per i quali non era tenuta al pagamento della TIA, provvedendo in proprio. In punto di fatto, la difesa della società assume che la stessa "produce rifiuti speciali sia per qualità, sia per la quantità e, pertanto, fruisce soltanto in modestissima parte (uffici, bagni, disimpegni) del servizio cittadino di raccolta rifiuti; ne consegue che la stessa azienda non aveva alcun interesse ad ottenere una riduzione percentuale della quota variabile con riferimento ai rifiuti "avviati al recupero", ha l’interesse a veder annullati gli avvisi di accertamento impugnati, ritenendo di niente dovere ai fini TIA con riferimento al proprio capannone" (p. 14 del ricorso).

In punto di diritto, assume che "Il Comune di Capannori ha emanato successivi regolamenti per la TIA e nei primi anni di applicazione – fino al 2004 – ha esentato le utenze non domestiche come la società ricorrente dal pagamento della quota variabile, sul corretto presupposto che tali utenze producessero rifiuti speciali non assimilabili per qualità o per quantità, e, quindi, non fruitori del pubblico servizio di raccolta" (p. 15 del ricorso).

Il motivo è inammissibile perchè implica valutazioni di merito in relazione a circostanze di fatto che vengono date per pacifiche e che invece non sono tali. In punto di diritto, si fa riferimento a regolamenti comunali di cui non si dice altro e valgono anche per questo motivo le considerazioni già sviluppate in relazione al primo motivo, sulla base della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 1893/2009; conf. 18661/2006), che rendono il motivo ulteriormente inammissibile per carenza di autosufficienza.

5. Con il quinto motivo (erroneamente numerato come 6), viene denunciata una ulteriore violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3, in quanto erroneamente sarebbero state sottoposte a prelievo fiscale superfici non imponibili (perchè meramente pertinenziali), anche perchè erroneamente la CTR avrebbe escluso che in relazione alle attività produttive possano ipotizzarsi aree con funzioni complementari. Innanzitutto, non si rinviene tra le rationes decidendi della sentenza impugnata una affermazione che sia in linea con quanto asserisce la ricorrente. In secondo luogo, la questione della differenziazione delle aree pertinenziali, ai fini del prelievo fiscale, attiene al merito della vicenda in esame e, tra l’altro, la ricorrente non chiarisce quando e come la questione è stata prospettata dinanzi ai giudici di merito (carenza di autosufficienza). Anche per questo motivo, la ricorrente censura ulteriormente la decisione della CTR facendo riferimento a parametri normativi ricavati da deliberazioni e regolamenti comunali che però non vengono riportati. Ne deriva che il motivo è ulteriormente inammissibile per carenza di autosufficienza, per le ragioni già esposte in relazione ai motivi nn. 1 e 4.

A ciò si aggiunga che l’onere di allegare e provare il diritto all’esenzione o ad agevolazioni fiscali grava sul contribuente, il quale invece, stando a quanto scrive la CTR (ultima pagina della motivazione) non avrebbe presentato istanze di tal genere, nè, tanto meno, avrebbe fornito prove in tal senso. E quest’ultima ratio decidendi non è stata contestata.

6. Conseguentemente, va accolto soltanto il terzo motivo di ricorso, respinti gli altri. La sentenza impugnata va cassata in parte qua e va dichiarato, nel merito, che l’iva non è dovuta. Le spese vanno compensate in ragione della novità della questione all’epoca della proposizione del ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e dichiara non dovuta l’iva. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2012

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