Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-04-2012, n. 5830 Tributi locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società Scatolificio Vellutini di Vellutini Adriano & C. s.r.l., produttrice di scatole in cartone per imballaggio, con capannone sito nel comune di (OMISSIS), ha impugnato gli avvisi di accertamento TIA, riferiti agli anni dal 2001 al 2005, notificati dalla Ascit Servizi Ambientali s.p.a., concessionaria del relativo servizio per conto del predetto comune di Capannori.

Gli avvisi contestati recuperavano a tassazione superfici maggiori di quelle dichiarate, con i conseguenti oneri sanzionatori, finanziari (interessi) e fiscali (iva e tributo provinciale).

La commissione tributaria provinciale adita ha rigettato il ricorso.

Su appello della società contribuente, la commissione tributaria regionale della Toscana, in parziale accoglimento del ricorso, ha dichiarato non dovuta l’iva, confermando nel resto.

La società ricorre oggi contro la società concessionaria e contro il comune di Capannori, chiedendo la cassazione della sentenza di appello, sulla base di sette (e non otto, come erroneamente numerati) motivi.

Resiste la sola società concessionaria, la quale a sua volta propone ricorso incidentale autonomo, sorretto da un unico motivo.

Entrambe le parti costituite hanno poi depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Nessuno dei motivi proposti, con i due ricorsi riuniti per la cassazione della sentenza impugnata, merita accoglimento.

A. Ricorso principale.

1. Con il primo motivo, vengono denunciati vizi di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla eccepita nullità degli avvisi di accertamento sottoscritti dal direttore della società concessionaria, ritenuto carente del relativo potere. Sostiene la ricorrente che dalla circostanza, pacifica, che il direttore fosse legittimato a firmare le fatture non si può trarre la conclusione che potesse firmare anche gli atti di accertamento e che, comunque, tale potere avrebbe dovuto risultare dalla iscrizione alla CCIAA. Il motivo è inammissibile in quanto prospetta erroneamente come vizio di motivazione una violazione di legge (cioè, l’inesistenza della fonte normativa che legittimava il direttore alla firma), senza poi nemmeno indicare la norma violata. La motivazione della CTR, sotto il profilo logico, non presenta carenze o contraddizioni. La CTR spiega, infatti, perchè il direttore poteva firmare gli atti in contestazione: "la delega rilasciata al direttore della S.p.A. lo legittima infatti a sottoscrivere gli avvisi di accertamento ed è del tutto ininfluente il fatto che dalla visura camerale non risulti l’attribuzione al direttore dell’azienda dello specifico potere di firma degli avvisi di accertamento". Dal punto di vista logico, la motivazione appare congrua. Se la società ricorrente non ne condivide le premesse giuridiche, avrebbe dovuto prospettare il motivo come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, indicando le norme e le disposizioni, anche pattizie, eventualmente violate, nel rispetto del principio dell’autosufficienza (riportando le norme statutarie ed eventualmente contestando l’atto di delega al direttore).

2. Con il secondo motivo, denunciando ancora un vizio di motivazione, la società ricorrente lamenta che la CTR non avrebbe dato risposta all’eccezione della inesistenza di un valido presupposto normativo degli avvisi di accertamento notificati. Sostiene, cioè, che la CTR ha ritenuto, erroneamente, che i regolamenti TIA, in base ai quali sono stati notificati gli avvisi di accertamento, sono stati revocati con efficacia ex nunc e non ex tunc. Anche questa censura è ascrivibile al parametro della violazione di legge (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e non al vizio di motivazione. La ricorrente censura la decisione della CTR nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto legittima la revoca ex nunc e non ex tunc di taluni regolamenti TIA, ma non chiarisce poi quali sarebbero le norme violate. A parte la considerazione che non viene chiarito, nella prospettazione della ricorrente, se, e perchè, l’applicazione di un diverso regolamento non legittimerebbe gli atti di accertamento.

Anche come vizio di motivazione il motivo sarebbe comunque inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto:

a) non sono state riprodotte le parti dei regolamenti rilevanti ai fini della decisione della questione prospettata;

b) non è stato specificato come e dove l’eccezione sia stata prospettata nei gradi di merito e, specificamente, nell’appello (tanto meno è stata riprodotto il testo dell’eccezione così come è stata formulata).

3. Con il terzo motivo, denunciando l’omessa valutazione dei motivi di annullamento del Regolamento TIA 2005, la società lamenta che i giudici di appello non avrebbero esaminato compiutamente le prove documentali offerte a supporto della tesi della illegittimità del citato regolamento.

Anche questa censura è inammissibile per carenza di autosufficienza, perchè la parte ricorrente non chiarisce poi quali sarebbero le prove documentali ignorate, impedendo a questo giudice di legittimità di valutarne anche la rilevanza e l’ammissibilità. A ciò si aggiunga che la CTR afferma che la parte appellante, dopo che la CTP aveva escluso la possibilità di disapplicare i regolamenti, non ha prospettato nuovi motivi sul punto e tale affermazione non è contestato con l’odierno ricorso.

4. Con il quarto motivo di ricorso (erroneamente indicato come 5), denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 3 e 4, la ricorrente lamenta che la CTR ha ritenuto che la TIA debba essere applicata per tutta la superficie, sia per la quota fissa che per la quota variabile, sul rilievo, asseritamente errato, che la società non ha fornito la prova di circostanze esimenti o di attenuazione del carico fiscale. La tesi della parte ricorrente è che l’onere della prova dell’obbligo fiscale ricade sempre e soltanto sull’ente impositore, sia con riferimento agli elementi positivi del presupposto d’imposta, sia con riferimento agli elementi negativi, costituiti, nella fattispecie, dalla destinazione delle aree assoggettate ad imposta. In realtà, come ha ben evidenziato la CTR, il presupposto d’imposta è costituito dalla occupazione o conduzione di locali o aree scoperte ad uso privato, "non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale" ( D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3).

Quindi, il semplice possesso o la semplice conduzione di locali ed aree scoperte ad uso privato, legittima il prelievo fiscale. Nella specie, il possesso o la conduzione privata non è messa in discussione. Ne deriva che ogni altra circostanza idonea a determinare l’esclusione o la riduzione dal debito di imposta doveva essere provata dalla società che ne beneficiava, secondo il canone ordinario di distribuzione dell’onere della prova ( art. 2697 c.c.).

La ricorrente deduce anche di avere fornito documenti in base ai quali le maggiori aree assoggettate ad imposizione avrebbero dovuto, invece, essere esentate. Si tratta però di una deduzione che implica valutazioni di merito e che, comunque, non è stata formulata in maniera auto sufficiente.

5. Con il quinto motivo (erroneamente numerato come 6), viene denunciata una ulteriore violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3, in quanto erroneamente sarebbero state sottoposte a prelievo fiscale superfici non imponibili, perchè meramente pertinenziali, anche perchè erroneamente la CTR avrebbe escluso che in relazione alle attività produttive possano ipotizzarsi aree con funzioni complementari. Innanzitutto, non si rinviene tra le rationes decidendi della sentenza impugnata una affermazione che in linea con quanto asserisce la ricorrente. In secondo luogo, la questione della differenziazione delle aree pertinenziali, ai fini del prelievo fiscale, attiene al merito della vicenda in esame e, tra l’altro, la ricorrente non chiarisce quando e come la questione è stata prospettata dinanzi ai giudici di merito (carenza di autosufficienza). La ricorrente censura ulteriormente la decisione della CTR facendo riferimento a parametri normativi ricavati da deliberazioni e regolamenti comunali che però non vengono riportati, per cui, anche sotto questo profilo, il motivo è ulteriormente inammissibile per carenza di autosufficienza: "Qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti comunali, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso – che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza" (Cass. 1893/2009, conf. 18661/2006).

A ciò si aggiunga che l’onere di allegare e provare il diritto all’esenzione o ad agevolazioni fiscali grava sul contribuente, il quale invece, stando a quanto scrive la CTR (ultima pagina della motivazione) non avrebbe presentato istanze di tal genere, nè, tanto meno, avrebbe fornito prove in tal senso.

6. Con il sesto motivo (erroneamente indicato come 7), viene denunciata la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 in quanto il servizio di riscossione della TIA non può essere assoggettato ad iva (tributo sul tributo). Il motivo è inammissibile per carenza di interesse perchè sul punto la CTR ha riconosciuto che l’iva non è dovuta. Tant’è che l’ASCIT ha proposto ricorso incidentale sul punto.

7. Con il settimo motivo (erroneamente indicato come 8), la società ricorrente denuncia vizi di motivazione, riferiti alla richiesta di disapplicazione delle sanzioni ed interessi previsti negli avvisi di accertamento. Anche questo motivo è inammissibile per genericità del motivo per carenza di autosufficienza e per novità delle questione. Nella sentenza impugnata non v’è cenno delle questioni relative alle sanzioni e agli interessi, per cui la censura appare del tutto nuova. La stessa ricorrente non chiarisce quando è come le relative eccezioni sono state proposte e prospetta, oggi, circostanze di merito in base alle quali vorrebbe ottenere l’eliminazione delle sanzioni e degli interessi. Evidente, quindi, la inammissibilità del motivo che, tra l’altro, avrebbe dovuto essere prospettato come omessa pronuncia, visto che la questione non risulta per nulla affrontata.

B. Ricorso incidentale.

8. Con l’unico motivo posto a sostegno del ricorso incidentale, l’Ascit Servizi Ambientali s.p.a., chiede la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato non dovuta l’iva sul servizio di riscossione della TIA. La questione è stata affrontata e risolta dalle SS.UU. di questa Corte, che ha ritenuto corretto il percorso interpretativo della Corte Costituzionale (sent.

238/2009 e ord. 64/2010) che ha ritenuto legittima l’attribuzione al giudice tributario delle controversie in materia di TIA, in considerazione della natura tributaria della stessa. Infatti, secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale delle SS.UU. di questa Corte (superato quello di cui alla sentenza n. 3274/2006, invocato dalla società di riscossione), condiviso dal Collegio, "spettano alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene ambientale (TIA), in quanto, come evidenziato anche dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 64 del 2010, tale tariffa non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo" (SS.UU. 14903/2010, conf. 25929/2011).

La natura tributaria della TIA esclude che possa essere assoggettato ad IVA il relativo servizio di riscossione (il pagamento dell’iva costituirebbe un aberrante tributo sul pagamento di un altro tributo) e quindi il ricorso incidentale è infondato.

Non rileva, nella specie, la norma interpretativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, conv. in L. n. 122 del 2010, che riconosce la natura non tributaria della tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 trattandosi di norma successiva che non si applica nella specie. La circostanza che il legislatore si sia posto il problema della natura della tariffa in questione e ne abbia riconosciuto la natura non tributaria, ma soltanto con riferimento alla disciplina dettata con il D.Lgs. n. 152 del 2006, è un chiaro indice della volontà di non incidere sul diritto vivente (interventi della Corte Costituzionale e delle SS.UU. di questa Corte) fino alla data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 152 del 2006. 9. Conseguentemente, entrambi i ricorsi riuniti devono essere rigettati. Le spese vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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