Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-09-2011) 25-10-2011, n. 38482

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 17/4/09 il Gup del Tribunale di Napoli, in esito a giudizio abbreviato, condannava Ma.An.Ca., con le aggravanti della premeditazione e dell’agevolazione mafiosa e con la continuazione, alla pena di anni 30 di reclusione per i reati di omicidio in danno di E.F. (in Solopaca, il 30/7/03:

capo A) e connessi sulle armi (ibidem, li 28-30/7/03: capo C), assolvendolo perchè il fatto non sussiste (avendo partecipato al reato presupposto) dalla ricettazione della moto, provento di rapina, utilizzata per l’omicidio (ricettazione accertata in Airola e Frasso Telesino il 30/7/03: capo B).

Lo stesso Gup assolveva invece da tutti i reati loro ascritti (i medesimi capi A, B e C) M.A., C.P.G. e Ci.An. per non avere commesso il fatto.

Con sentenza 22/6/10 la Corte di Assise di Appello di Napoli, in riforma della detta sentenza, appellata dal Pm e dal Ma., confermava la condanna di quest’ultimo e condannava altresì M. e C.P., con la continuazione, alla pena di anni 30 di reclusione per i reati loro ascritti in concorso.

I fatti. Il giorno 30/7/03, intorno alle ore 9, E.F. veniva ucciso a colpi di arma da fuoco all’interno della sua tabaccheria, sita in via (OMISSIS). Ne dava avviso ai CC tale A.T., che vedeva uscire di corsa dall’esercizio due giovani, che si allontanavano a bordo di una moto di cui annotava il numero di targa. All’interno il cadavere dell’ E., colpito da cinque colpi d’arma da fuoco: quattro trapassanti in regione posteriore del tronco, uno al collo con proiettile ritenuto nel cervello. Dai reperti balistici si desumeva l’uso di due pistole, una cal. 357/38 e una cal. 9. Risultava presente al fatto tale Ca.Ra., che, rintracciato, riferiva di avere inutilmente tentato di fermare gli aggressori colpendone uno alla testa con un posacenere.

Pochi giorni dopo l’omicidio veniva trovata, in località Fienile di Frasso Telesino, una motocicletta bruciata dello stesso tipo di quella usata dai killer, risultata oggetto di rapina circa quindici giorni prima.

Testimonianze conformi a quelle già assunte venivano anche da tal C.L. e un anno dopo la A., nuovamente sentita, ricordava anche la presenza del Ca., che uscendo dalla tabaccheria con un posacenere rotto le aveva chiesto di non dire di averlo visto.

La causale dell’omicidio era collegata dagli inquirenti alla personalità dell’ucciso, pluri-pregiudicato ritenuto a capo di un gruppo criminale predominante nella zona tra Solopaca e la valle Telesina. In tal senso riferivano anche i collaboratori di giustizia P.F. e F.G., che avevano precisato come l’ E. avesse interessi comuni coi Pagnozzi, altri esponenti della malavita organizzata locale.

Successivamente indirizzavano le indagini verso gli odierni imputati le dichiarazioni di Ma.Fr., collaboratore di giustizia, che si autoaccusava come uno degli esecutori materiali dell’omicidio in concorso col cugino Ma.An.Ca.. In particolare il Ma., partecipe del clan di Cancello e Anione capeggiato dal padre, Ma.Cl., riferiva che l’incarico era stato loro assegnato da Pe.An., capo-zona di Recale del clan dei Casalesi, cui si erano rivolti i Pagnozzi di San Martino Valle Caudina, scontenti del comportamento dell’ E., loro alleato, che non aveva rispettato l’impegno di divedere a metà i proventi illeciti di Solopaca. Vi era stata una riunione in quel di Frasso Telesino presso l’abitazione di tale Lu. (OMISSIS) (identificato per Ca.Lu.), cui avevano partecipato, oltre a lui, il cugino Ma.Ca.An., il nominato .Perreca Antimo ,.t.Gomma Peppe (.p. C.G.), G. (OMISSIS) (identificato per C.P. G.) e tale A. (identificato per M.A.). In detta riunione erano stati assegnati i ruoli: lui e il cugino sarebbero stati gli esecutori materiali, gli altri avrebbero fornito il supporto logistico e collaborativo.

Dopo un primo appostamento infruttuoso, l’omicidio era stato eseguito secondo le modalità stabilite: lui ed il cugino erano entrati nella tabaccheria di Solopaca dopo essere stati avvertiti dal C. P. che la vittima era all’interno del locale; appena l’ E. era uscito da dietro il bancone il cugino aveva cominciato a sparare, ma, avendo mancato il bersaglio, l’ E. aveva avuto modo di reagire, aggredendolo; avendo il complice la pistola inceppata, era intervenuto lui, sparando alla vittima alle spalle e al fianco con la sua 357 e poi dandogli il colpo di grazia – quello fingendosi morto dietro il bancone – con la cal. 9 dell’altro, dopo averla sbloccata.

Quindi si allontanavano in motocicletta – con C.P. che faceva loro da staffetta – e poi, abbandonato il mezzo in una masseria nei pressi di Frasso Telesino (dove in un secondo momento sarebbe stata bruciata), si portavano con l’autovettura del C. P. nei pressi di Dugenta, da dove, sepolte le armi in un vallone, si allontanavano definitivamente a bordo di un’Audi A3 portata in quel luogo da M.A.. Tutti i complici erano riconosciuti in fotografia.

Nei riguardi degli imputati M. e C.P. la Corte di Assise di Appello, superati i rilievi difensivi circa l’attendibilità del narrato del collaboratore, riteneva riscontrate le sue dichiarazioni anche sulla base dei dati oggettivi risultanti dall’esame dei tabulati relativi al traffico telefonico dei cellulari in uso agli imputati stessi. In particolare. Alle ore 8,52 (l’omicidio sarebbe intervenuto pochi minuti prima delle 9,01 quando la A. segnalò l’accaduto ai CC) l’utenza in uso a C. L. ("(OMISSIS)", che agganciava in uscita una cella di Frasso Telesino) chiamava per 56 secondi l’utenza di C.P., che agganciava in entrata una cella di Solopaca. Alle ore 8,59 l’utenza di C.P., dallo stesso luogo (Solopaca), chiamava per 19 secondi quella in uso a M.A., che agganciava da parte sua una cella di Frasso Telesino. Alle 9,05 l’utenza di C. P., che a quel punto agganciava una cella di Cerreto Sannita, chiamava per 32 secondi ancora quella del M., che ora agganciava una cella di Dugenta. Infine alle 9,10 l’utenza di C. P., ora a Frasso Telesino, chiamava per 10 secondi quella di M., come prima a Dugenta. Ore e luoghi, che confermavano il narrato del collaboratore, erano inoltre compatibili con le distanze relative e i tempi di percorrenza. Di qui la sentenza di condanna in grado di appello.

Ricorrevano per cassazione M. (2/11/10) e C.P. (2/11/10).

La difesa di M.A. deduceva: 1) violazione di legge e vizio di motivazione (in relazione ai rilievi già formulati in apposita memoria nel giudizio di appello) in ordine alla ritenuta attendibilità del collaboratore di giustizia Ma.Fr.

(confermato da altri collaboratori solo sulla posizione del cugino An.Ca.), alla valutazione dei tabulati telefonici già ritenuti di significato non univoco dal Gup (inesistenti il giorno dell’omicidio telefonate tra il Ca.Lu. e il M., sul cellulare della moglie del M. quelle col C.P., eccessivamente brevi le telefonate per i contenuti delittuosi che venivano loro attribuiti, inadeguati al preteso itinerario percorso dai complici i tempi tra una chiamata e l’altra; ferma la considerazione che a Frasso Telesino, le cui celle venivano agganciate, sia il M. che il C.P. abitavano); ancora:

i rapporti, anche telefonici, tra i due erano frequenti e non solo quel giorno; irrilevante la pretesa presenza del M. alla riunione in cui fu deciso l’omicidio, stante la sua assenza al primo tentativo; affermata solo dal M. la presenza e il ruolo del M. al secondo tentativo; confermata, su quella stessa base, l’assoluzione del Ci.; pesante per la stagione estiva il descritto abbigliamento dei killer; modificata nel tempo la versione del collaboratore sulla genuinità della targa della moto; ancora divergente la sua versione dei fatti con quella del Ca., del cui intervento in favore dell’ E. egli non fa cenno; non rinvenuti i due proiettili inesplosi della pistola inceppata; nella masseria di Frasso Telesino le armi non erano state ritrovate;

incerta e tardiva l’individuazione della baracca dove sarebbe stata custodita la moto; di comune conoscenza gli altri luoghi indicati dal collaboratore (la casa e l’officina del Ca.Lu., il cantiere del Ci., i riconoscimenti delle persone e delle loro autovetture); idem per l’esercizio commerciale dell’ E.;

divergente in molti particolari la descrizione del primo sopralluogo narrato dal M. da quanto notato nell’occasione dal figlio dell’ E.; era ricordato, infine, che nel novembre 2002 il M. aveva subito un ricovero per infarto miocardico in sede inferiore, con ischemia miocardica residua per sforzi lievi; dedotti ancora: 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche; 3) idem per l’eccessiva misura della pena; 4) idem sull’aumento per la continuazione. Chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata.

La difesa di C.P.G. deduceva a sua volta: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione degli indizi, che non consentivano la condanna dell’imputato; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata valutazione dei rilievi difensivi già positivamente vagliati in sede di riesame sulla personalità dell’imputato e il suo preteso ruolo nel delitto; 3) idem sulla gravità indiziaria, che non aveva passato neppure il vaglio cautelare; 4) idem sulla ritenuta valenza dei dati risultanti dall’esame del traffico telefonico, peraltro limitato al giorno dell’omicidio e non esteso ai giorni precedenti e successivi.

Concludeva anch’essa per l’annullamento.

Con motivi nuovi aggiunti del 18/5/11 altro difensore del M. deduceva violazione di legge e vizio di motivazione (risultante dal testo del provvedimento impugnato, nonchè dalla prima sentenza di assoluzione e dalla memoria difensiva depositata nel corso del processo di merito): ricordati i vari punti evidenziati dalla difesa nella detta memoria (gli stessi richiamati in ricorso) e riportati gli argomenti forniti in risposta dal giudice di appello, intesi a "salvare" ad ogni costo la credibilità del dichiarante, se ne censurava erroneità, manifesta illogicità e contraddittorietà, anche in riferimento all’individuazione del movente; altrettanto era a dirsi per i riscontri individualizzanti. Allegate ai motivi due ordinanze del Tribunale del riesame di Napoli – del 15/12/05 e del 12/10/07 – relative a Pe.An..

Con motivi aggiunti ex art. 611 c.p.p. del 23/5/11 terzo difensore del M. deduceva: 1) violazione di legge e vizio di motivazione per non avere il giudice di appello dato adeguato conto della sua mutata opinio reitatis dopo la sentenza assolutoria di primo grado;

2) violazione di legge e vizio di motivazione per l’insufficiente valutazione, specie a fronte dei puntuali rilievi difensivi, di tutti gli elementi di prova inferiti e inferibili dai tabulati telefonici;

3) violazione di legge e vizio di motivazione per aver il giudice di appello ritenute riscontrate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sulla base dell’interpretazione non univoca degli incroci dei tabulati telefonici, dando altresì per scontata l’attendibilità soggettiva ed oggettiva del dichiarante medesimo (ne derivava il vizio della circolarità del riscontro e della sua assenza di specificità); 4) violazione di legge e vizio di motivazione per la valutazione frazionata da parte del giudice di appello delle dichiarazioni del collaboratore, già ritenute insufficienti in sede cautelare e cognitiva di primo grado; 5) vizio di motivazione circa la mancata valutazione di una diversa e logica ricostruzione dei fatti sulla base degli stessi dati ricavabili dai tabulati telefonici, ricostruzione che veniva ancora una volta offerta; 6) violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata valutazione della condotta del M., il cui intervento era provato in ipotesi solamente posi delictum, come mero favoreggiamento personale (condotta, cioè, volta ad assicurare l’impunità dei responsabili);

7) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i reati di ricettazione e relativi alle armi e per le ritenute aggravanti di premeditazione, nesso teleologico e agevolazione maliosa; 8) violazione di legge e vizio di motivazione per la dosimetria della pena, indistintamente irrogata nel massimo agli esecutori e a chi, come il M., aveva avuto nel delitto un ruolo marginale, negando a quest’ultimo le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza ed il minimo della pena.

Alla pubblica udienza di discussione (dopo un rinvio per l’omesso avviso all’ultimo difensore – revocato il primo – del M., nominato dal carcere il 22/3/11) il PG concludeva per il rigetto dei ricorsi, le difese degli imputati per il loro accoglimento.

I ricorsi, infondati, vanno rigettati.

Essi (ed in ciò sono accomunati) si risolvono sostanzialmente nella censura della valutazione del quadro probatorio fatta dal giudice di appello, in contrasto con quella del giudice di primo grado ed ancor prima del giudice cautelare. Oltre tutto il giudice di appello non avrebbe tenuto conto delle osservazioni difensive offerte nel corso del giudizio di gravame.

La sentenza impugnata non presenta i vizi denunciati. Premesso che i distinti giudizi di merito (cautelare, di primo grado e di appello) godono tra loro di totale autonomia, condizionata solo dall’obbligo di una congrua motivazione, e che i rilievi difensivi non debbono essere espressamente affrontati, essendo sufficiente che la motivazione anche implicitamente ne tenga conto e che ciò risulti dagli argomenti considerati e dalle soluzioni date, nel caso in esame ciò è puntualmente avvenuto. Il nucleo del quadro probatorio a carico degli imputati è nella chiamata in correità del collaboratore di giustizia Ma.Fr., autoaccusatosi di essere stato (con il cugino Ma.An.Ca.) l’esecutore materiale dell’omicidio di E.F.. Il delitto, preparato nei dettagli in una riunione del clan camorristico di appartenenza, prevedeva dei ruoli di appoggio logistico usuali negli omicidi di mafia:

(OMISSIS) (ovvero colui che segnala la presenza in loco della vittima designata e quindi mette in moto l’azione omicida, ognuno col ruolo assegnatogli) e (nel caso di specie al plurale) gli scambisti (ovvero coloro che, eventualmente dopo un servizio di staffetta, come nel caso, cioè di scorta e di vedetta mobile per fronteggiare eventuali imprevisti, consentono ai killer di sbarazzarsi del mezzo impiegato nell’esecuzione del delitto e di allontanarsi su un mezzo "pulito").

Sono i ruoli che Ma. attribuisce a C.P. ((OMISSIS) e poi staffetta con la propria autovettura) e a Ma. (scambista con la propria Audi A3). Contrariamente all’assunto difensivo, il riscontro rappresentato dai tabulati telefonici che riguardano i due imputati è di foltissima e decisiva valenza. Si è riferito, nella premessa sullo svolgimento del processo, come i tabulati registrino comunicazioni telefoniche tra alcuni dei soggetti implicati nella vicenda in orari assai prossimi con quello dell’omicidio e come le celle agganciate dai telefonini interessati siano compatibili coi luoghi in cui, secondo il narrato del collaboratore, i due imputati si trovavano nei tempi corrispondenti.

Ricordiamolo. Premesso che l’omicidio avveniva nel centro di Solopaca (dove era la tabaccheria dell’ E.) pochi minuti prima delle 9, 01 (quando la A. avvertiva dell’accaduto i Carabinieri), la prima telefonata – alle 8,52 – è tra Ca.Lu. (il meccanico, che chiama da Frasso Telesino) e C.P. (che riceve a Solopaca, agganciando la stessa cella, si badi, che aggancia la A., indubitabilmente sul luogo del delitto). La seconda – alle 8,59 – è tra C.P. (che chiama da Solopaca, agganciando la cella di prima) e M. (che riceve a Frasso Telesino). La terza – alle 9,05 – è tra C.P. (che chiama da Cerreto Sannita, alla periferia di Solopaca) e M. (che ora riceve a Dugenta). La quarta ed ultima – alle 9,10 – è tra C. P. (che ora chiama da Frasso Telesino) a M. (che riceve, ancora, a Dugenta).

Il quadro che ne deriva è perfettamente sovrapponibile a quanto riferito dal Ma., che ne trae puntuale conferma e riscontro:

C.P. è a Solopaca (dove ha il compito di avvertire i killer della presenza dell’ E. nel negozio), in contatto con Frasso Telesino (da dove prima riceve la chiamata del Ca.

L. e dove poi lui stesso chiama il M.); dopo l’omicidio si allontana con la sua auto da Solopaca (la terza telefonata, ancora C.P. chiamante, è da Cerreto Sannita), scortando la moto dei killer, diretti (via Frasso Telesino, dove avrebbero abbandonato il loro mezzo, che poi sarebbe stato bruciato) a Dugenta (dove ora si trova il M., che la telefonata riceve) per lo "scambio" fra le due auto (i killer sarebbero passati da quella di C.P. a quella di M.) e il nascondimento delle armi; la quarta telefonata, infatti, è in avvicinamento a Dugenta ( C.P. chiama da Frasso Telesino, M. riceve a Dugenta).

A fronte di questo quadro i rilievi delle difese (peraltro esclusivamente in fatto) sono deboli e generici. Poco importa, ad esempio, che gli odierni imputati risiedessero entrambi a Frasso Telesino, quando nei momenti topici dell’omicidio l’uno era a Solopaca e l’altro in procinto di muovere verso Dugenta. Poco importa, allo stesso modo (anche se è esattamente il rilievo che ha portato all’assoluzione in primo grado), che i contatti telefonici tra i due fossero frequenti e che pure negli altri giorni risultassero telefonate tra loro: la frequenza dei contatti non toglie nulla al valore probatorio delle chiamate prese in considerazione dai giudici, fatte in quei precisi momenti e in quegli specifici luoghi.

Anche l’argomento più valorizzato in sede di discussione orale, secondo cui gli stessi tecnici della TIM nella loro nota avrebbero negato valore probatorio assoluto al dato inerente la localizzazione degli apparecchi ricavabile dall’aggancio delle celle, è del tutto generico: se in linea generale ed astratta si può convenire sull’affermazione che sull’aggancio di una cella rispetto ad un’altra possano influire fattori particolari come la morfologia del territorio od occasionali, resta che nel caso concreto si è verificata una serie di coincidenze che escludono l’ipotesi di un intervento esterno particolare od occasionale che abbia potuto falsare (ripetutamente e sistematicamente) la corretta decifrazione dei dati. Se un singolo dato può, astrattamente, essere messo in dubbio, ciò non può essere quando, come nel caso in esame, si è in presenza di una serie di dati organicamente e logicamente correlati tra loro.

Nel caso dei due odierni ricorrenti, pertanto, la chiamata in correità del Ma. (la cui intrinseca ed estrinseca attendibilità è già stata vagliata in altri contesti: si veda in proposito la stessa sentenza n. 20038 del 2006 di questa sezione, che nel dichiarare inammissibile il ricorso del Pm avverso la revocata ordinanza di custodia cautelare nei confronti del M., ritenendo insindacabili le valutazioni prive di vizi logici del giudice di merito, dava atto della ritenuta attendibilità soggettiva del collaboratore e della sua attendibilità oggettiva ritenuta incrinata sol a ragione del contrasto delle sue dichiarazioni con quelle di alcuni testimoni riguardo ad alcuni dettagli del momento esecutivo del fatto estranei alla posizione e al ruolo degli odierni ricorrenti) acquista straordinaria e specifica forza dai riscontri, oggettivi ed eloquenti, provenienti dai dati dei tabulati telefonici (tempi di chiamata e celle agganciate).

E’ appena il caso di osservare che l’esito assolutorio del processo di primo grado nei confronti del coimputato Ci. derivò proprio dal rilievo che la sola telefonata che lo riguardò il giorno dell’omicidio (che intercorse tra lui e il Ca.Lu. dopo i fatti) era in orario già lontano da quello del delitto e come tale irrilevante ai fini probatori. In generale va poi ricordato che i singoli rilievi minutamente sollevati dai ricorrenti in contrasto con la ricostruzione del fatto operata nella sentenza impugnata trovano già congrua e corretta risposta nella motivazione della sentenza medesima, che ha dato conto delle proprie diverse valutazioni rispetto a quelle difensive (v. in particolare, a proposito dei tempi di percorrenza: tra la periferia di Solopaca e Frasso Telesino per il C.P. e tra quest’ultima località e Dugenta per il M., considerata anche l’estensione delle aree di copertura delle celle).

Infondate anche le altre censure riguardanti il trattamento sanzionatorio. Premesso in generale che l’argomento non è materia di sindacato di legittimità ove, come nel caso, vi sia in proposito corretta ed adeguata motivazione del giudice di merito, negli ultimi motivi in difesa del M. si fa anche questione sulla qualificazione giuridica del fatto, ipotizzando non un concorso in omicidio ma un favoreggiamento post delictum. E’ tuttavia evidente come la ripartizione dei ruoli in un omicidio mafioso come quello in esame comporti l’usuale intervento, programmato e non estemporaneo, di alcuno dei correi per consentire l’allontanamento degli esecutori dal luogo del delitto e la eliminazione dei mezzi usati. Tale essendo il discrimine tra le due figure delittuose (concorso nel reato e successivo intervento favoreggiatore), la condotta del M., in quanto programmata con quella degli altri, ricade di per sè nell’ipotesi concorsuale. Allo stesso modo il concorso dell’imputato si estende ai reati connessi (sulle armi e la ricettazione della moto) e alle condivise aggravanti (premeditazione e agevolazione mafiosa). Coerente, infine, con la convergente efficacia causale dei singoli ruoli al positivo esito dell’azione omicida, da tutti voluto, il pari trattamento sanzionatorio degli odierni ricorrenti rispetto agli altri correi.

Circa la dosimetria della pena, l’attenta ricostruzione del fatto (da cui si desume la speciale gravità del reato e la capacità a delinquere dei colpevoli) è sufficiente a dare conto della sua misura, in uno con l’assenza di elementi positivi che giustifichino la concessione delle attenuanti generiche.

Al rigetto dei ricorsi segue ( art. 616 c.p.p.) la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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