Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-04-2012, n. 5968 Prelazione e riscatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 19 del 2002 il Tribunale di Busto Arsizio, Sezione distaccata di Saronno, trasferì a C.A. che, quale locatrice del bene ad uso commerciale, aveva esercitato il diritto di riscatto ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 38, un complesso immobiliare sito in (OMISSIS), e, per l’effetto, dichiarò inefficace la vendita del bene in precedenza effettuata dai proprietari P.M., M.J. e M.G. in favore di D.I.G. in violazione del diritto di prelazione della conduttrice; con tale pronunzia rigettò altresì la domanda di manleva che il D.I. aveva avanzato nei confronti dei venditori.

L’interposto gravame di D.I. venne respinto dalla Corte di appello di Milano, ma questa decisione fu cassata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 16070 del 2007 in relazione alla statuizione che aveva respinto la domanda di manleva dallo stesso avanzata nei confronti dei propri venditori.

Riassunta la causa, con sentenza n. 1352 del 4 maggio 2010 la Corte di appello di Milano, quale giudice di rinvio, rigettò l’appello proposto dal D.I.G. affermando che i venditori non erano tenuti alla restituzione del prezzo, dovendo esso essere pagato direttamente al terzo acquirente dalla retraente e che la richiesta di rimborso delle spese fatte per la vendita era rimasta priva di supporto probatorio, aggiungendo che, poichè la relativa domanda era stata fin dall’inizio del giudizio limitata al rimborso delle spese e dei costi sostenuti per la vendita, dovevano dichiararsi inammissibili le ulteriori richieste di risarcimento dei danni avanzate per la prima volta nel giudizio di rinvio.

Per la cassazione di questa decisione, notificata il 25 giugno 2010, ricorre D.I.G. con atto notificato il 5 ottobre 2010, sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria.

Gli intimati resistono con controricorso.

Motivi della decisione

Va preliminarmente esaminata e quindi disattesa l’eccezione del ricorrente di inammissibilità del controricorso per tardività. Il controricorso appare infatti tempestivo, essendo stato notificato il 4 novembre 2011 mentre il ricorso è stato notificato il 5 ottobre precedente, con la precisazione che il termine di 20 giorni di cui all’art. 370 cod. proc. civ., stabilito per la notifica del controricorso decorre non già, come sostenuto dal ricorrente, dalla data di notifica del ricorso, ma dalla scadenza del termine, pure di 20 giorni, stabilito dall’art. 369 per il deposito dello stesso.

Il primo motivo di ricorso denunzia "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ed omessa e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo del giudizio", assumendo che la Corte di appello ha violato i limiti propri del giudizio di rinvio, atteso che la Corte di Cassazione aveva annullato la statuizione di secondo grado che aveva respinto la sua domanda di risarcimento dei danni nei confronti dei venditori. In tale contesto, il giudice a quo, quale giudice di rinvio, avrebbe dovuto pronunciarsi sui danni e le spese da liquidare in favore dell’odierno ricorrente, e non avrebbe potuto escludere alcuna voce di danno, tenuto anche, da un lato, del contenuto della domanda formulata dalla parte fin dal primo grado di giudizio, con cui chiedeva il risarcimento di tutti i danni ed i costi sopportati in dipendenza dell’esercizio del riscatto da parte della conduttrice e, dall’altro, del dolo e della colpa grave con cui le controparti avevano provveduto a vendergli il bene in violazione del diritto di prelazione della conduttrice, arrecandogli ingenti danni. In ogni caso, la Corte territoriale ha errato nel ritenere che talune pretese risarcitorie non fossero già state avanzate dalla parte fin dal primo grado di giudizio e nel non considerare che talune di esse non erano immediatamente quantificabili.

Il motivo, per come formulato, non è del tutto intelligibile ed ai limiti dell’inammissibilità, mancando dell’indicazione delle norme di diritto violate e non risultando le censure sollevate sviluppate ed illustrate in modo adeguato.

Da quanto esposto dal ricorso sembrano comunque enucleabili due censure diverse, lamentando il ricorrente, da un lato, la violazione dei limiti propri del giudizio di rinvio e, dall’altro, che il giudice a quo non si sia pronunciato, ritenendole inammissibili per novità, su talune voci di danno di cui la parte aveva chiesto il risarcimento.

Entrambe le censure sono infondate.

Su primo punto, va invero rimarcato che la sentenza di questa Corte n. 16070 del 2007, che ha disposto il rinvio della causa al giudice di merito, ha cassato la pronuncia di appello per vizio di motivazione in ordine all’accertamento di fatto relativo alla conoscenza da parte di D.I. dell’esistenza del diritto di prelazione della conduttrice ed in ordine ad un’eventuale espressa garanzia data dai venditori circa il fatto che esso sarebbe stato dalla stessa rinunciato, rimettendo quindi la causa al giudice di rinvio per una nuova valutazione del rapporto intercorso tra le parti. L’affermazione del ricorrente secondo cui la pronuncia della Corte di Cassazione gli avrebbe riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni è priva pertanto di giuridica consistenza. La relativa questione, che per ordine logico e giuridico poteva venire affrontata solo dopo una nuova valutazione dei rapporti intercorsi tra i contraenti e l’eventuale affermazione di una conseguente responsabilità dei venditori, era rimasta infatti ancora sub indice.

Ne deriva l’infondatezza della censura che denunzia la violazione da parte del giudice di rinvio dei limiti posti dalla pronuncia di cassazione.

Con riguardo alla seconda censura, va precisato che la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibili, perchè proposte per la prima volta soltanto con l’atto di riassunzione dinanzi al giudice di rinvio, le domande con cui il D.I. aveva chiesto: a) il risarcimento dei danni per non avere potuto adibire i locali ad attività commerciale, b) il rimborso delle spese giudiziali corrisposte sia ai propri legali che quelli della controparte nelle precedenti fasi del giudizio, c) il risarcimento del danno alla salute.

Ora, dalla lettura della sentenza impugnata e, in particolare, della parte in cui viene riassunta ed esposta la vicenda processuale come sviluppatasi nei diversi gradi e fasi di giudizio, non specificamente contestata dal ricorrente, risulta che effettivamente tali richieste non erano mai state avanzate in modo espresso e specifico nel pregressi giudizi di merito. Il giudice a quo non si è peraltro limitato a verificare tale mancanza, ma ha ritenuto, in positivo, di escludere che tali domande fossero mai state proposte, sia pure in modo generico o implicito. La Corte distrettuale ha infatti affermato che il D.I. aveva fin dalla giudizio di primo grado limitato le sue pretese nei confronti dei venditori nell’ambito della tipica responsabilità per evizione, chiedendo il rimborso delle spese e dei costi sostenuti per il contratto, così delimitando le sue pretese nell’ambito dell’interesse negativo.

La conclusione accolta integra un apprezzamento di fatto che appare adeguatamente motivato mediante espresso richiamo alle conclusioni rassegnate dalla parte nel giudizio di primo grado ed immune da alcun vizio logico. Il ricorrente oppone ad essa le conclusioni rassegnate dei diversi gradi di giudizio, che richiama e riproduce nel proprio ricorso, ma la critica non appare efficace, atteso che tali richieste, pur nella genericità della loro formulazione, non riproducono mai le domande poi formulate dinanzi al giudice di rinvio, ma appaiono ancorate al ristoro dei pregiudizi economici conseguenti all’esercizio del riscatto da parte della retraente, senza mai menzionare nè specificare ulteriori cause di danno, sia pure ad esso collegabili.

Anche la seconda censura va pertanto respinta.

Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo del giudizio, lamentando che la Corte di appello non abbia accolto la domanda di risarcimento dei danni come articolata dal ricorrente in relazione alle singole voci di pregiudizio sofferte, disattendendo la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, che sarebbe stata necessaria "al fine di quantificare l’entità complessiva in particolare del danno emergente, del lucro cessante, del danno alla salute oltre alle spese legali e tecniche dei tre giudizi pregressi".

Il motivo va dichiarato assorbito in ragione del rigetto del motivo precedente, essendo la richiesta di consulenza tecnica poi respinta finalizzata proprio ad accertare i danni relativi alle richieste di risarcimento che non sono state esaminate perchè ritenute inammissibili.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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