Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-09-2011) 25-10-2011, n. 38659

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p. 1. Con ordinanza del 18 novembre 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, accogliendo l’appello del pubblico ministero, ripristinava nei confronti di P.A. – condannato in primo grado alla pena di anni sette di reclusione per il reato di estorsione continuata aggravata dal metodo mafioso e altro – la misura cautelare della custodia in carcere che il giudice dell’udienza preliminare aveva revocato per cessate esigenze cautelari.

Il Tribunale svalutava gli elementi utilizzati nell’ordinanza di revoca della misura, osservando:

– che la pericolosità sociale dell’imputato non poteva essere sminuita rimarcando ch’egli, nelle visite alla vittima delle estorsioni, si limitava ad accompagnare il correo S.M. senza profferire minaccia alcuna, giacchè la sentenza di condanna, nel rilevare come la condotta dell’uno, silente o meno, rafforzava l’intimidazione esercitata dall’altro, ha dichiarato entrambi colpevoli del reato;

– che la sentenza di condanna ha fissato l’ultimo incontro con la vittima al 12.9.2008 e, quindi, ben oltre la data ritenuta dal primo giudice;

– che l’imputato era stato arrestato il 20.5.2009 e, quindi, non poteva dirsi che fosse trascorso un lungo tempo di carcerazione preventiva;

– che dalla sentenza di condanna si evinceva che l’imputato e la sua famiglia erano notoriamente "contigui" alla cosca Libri, saldamente insediata nella città di Reggio Calabria;

– che l’intervenuta definizione del giudizio di primo grado non aveva determinato la cessazione delle esigenze cautelari, perchè, pur essendo cessato il pericolo di inquinamento della prova, persisteva quello di reiterazione del reato.

Pertanto, ritenuto che non erano stati acquisiti elementi concreti idonei a vincere la presunzione di pericolosità sociale, riformava la decisione di revoca applicando la misura della custodia in carcere.

Contro detta decisione l’imputato ricorre per cassazione e denuncia:

1. vizio di motivazione apparente, atteso che il Tribunale non avrebbe dato conto in maniera puntuale ed effettiva delle ragioni per cui è giunto a una diversa valutazione dei fatti evidenziati dal giudice di primo grado;

2. travisamento della prova, perchè il Tribunale ha attribuito alla conversazione ambientale del 10.6.2009, intervenuta tra P. F. e S.R., un significato confermativo della sua corresponsabilità nelle estorsioni, significato che, ove si ascolti l’intera intercettazione, apparirebbe errato;

3. violazione della legge processuale, perchè il Tribunale non ha tenuto conto che la presunzione di adeguatezza della misura custodiale può, nel corso di esecuzione della misura, essere vinta in presenza di elementi discrezionalmente individuati.

Con memoria depositata il 15.9.2011 la difesa insite per l’annullamento dell’ordinanza impugnata, deducendo che la Corte d’appello di Reggio Calabria con sentenza del 27 giugno 2011, nel confermare l’affermazione di colpevolezza di P., ha escluso la sussistenza della circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, cosicchè sarebbe venuto meno il presupposto su cui è fondata la presunzione assoluta di adeguatezza della misura cautelare applicata. p. 2. Il Tribunale, con motivazione nient’affatto apparente della quale si sono sopra sintetizzati i passaggi essenziali, ha confutato le argomentazioni su cui il primo giudice di primo grado aveva fatto leva per affermare l’insussistenza delle esigenze cautelari e, di seguito, con valutazioni logicamente ineccepibili, ha indicato gli elementi di fatto dimostrativi dell’esistenza della pericolosità sociale dell’imputato.

Il dedotto vizio di travisamento della prova non sussiste, perchè si prospetta una diversa interpretazione del significato di una prova, che è materia riservata alla valutazione del giudice di merito.

Anche il terzo motivo è infondato, perchè, in presenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e di un delitto di recente commissione, il giudice a quo ha correttamente applicato la presunzione assoluta di adeguatezza della misura della custodia in carcere, stabilita dall’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, secondo periodo.

Infine, sugli effetti conseguenti alla sentenza d’appello pronunciata dopo il provvedimento di applicazione della misura cautelare, si osserva che la sopravvenienza di un fatto nuovo idoneo a incidere sulla persistente attualità delle condizioni per l’applicazione della misura non può essere valutata direttamente dal giudice di legittimità, ma deve essere fatta valere davanti al giudice di merito promuovendo il giudizio di revoca o sostituzione della misura previsto dall’art. 299 cod. proc. pen..

In conclusione i motivi di ricorso sono, da un lato, manifestamente infondati e, dall’altro, non consentiti dalla legge. Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso con la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta equa, di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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