Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-09-2011) 25-10-2011, n. 38518

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza n. 524/2010 la Corte di Appello di Bologna, pronunciando quale giudice di rinvio per sentenza di questa Suprema Corte, n. 19085 del 16.3.2010, che aveva annullato la sentenza emessa da quella Corte di Appello in data 10.10.07 limitatamente alla sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente, ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna in data 15.10.2007 n. 1532 appellata dagli imputati G.A. e M.A..

Avverso tale pronunzia entrambe gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione lamentando la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione resa in sede di rinvio e specificamente contestando la ricorrenza dell’aggravante della ingente quantità di sostanze stupefacenti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e art. 80, comma 2. 2. – I ricorsi sono manifestamente infondati e devono dichiararsi inammissibili.

Per il concetto di "ingente quantità" di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, (T.U. stup.), va considerato che la sentenza delle Sezioni Unite n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera, ha posto il principio di diritto per cui, tenuto conto del pericolo per la salute pubblica che informa le disposizioni incriminatrici in materia di sostanze stupefacenti, può definirsi "ingente" la "quantità di sostanza tossica (che) superi notevolmente, con accento di eccezionaiità, la quantità usualmente trattata in transazioni del genere nell’ambito territoriale nel quale il giudice di fatto opera", così da "creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili" e conseguentemente "un incremento del pericolo per la salute pubblica", dovendo la relativa valutazione, costituente un apprezzamento di fatto, essere necessariamente rimessa ai giudice dei merito, il quale "è in grado di formarsi una esperienza fondata sul dato reale presente nella comunità nella quale vive".

Peraltro, ai fini di un’applicazione giurisprudenziale che non presti il fianco a critiche di opinabilità di valutazioni, questa Corte ha successivamente osservato che in proposito va dato rilievo primario al valore ponderale, considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in ragione del grado di purezza, e, quindi, delle dosi singole aventi effetti stupefacenti, stabilendosi se esso possa dirsi di "eccezionale" dimensione rispetto alle usuali transazioni del mercato clandestino.

Tale carattere è certamente suscettibile di essere di volta in volta confrontato dal giudice di merito con la corrente realtà del mercato, ma, stando a dati di comune esperienza, apprezzabili a maggior ragione dalla Corte di cassazione, sede privilegiata in quanto terminale di confluenza di una rappresentazione casistica generale, deve ritenersi che non possono di regola definirsi "ingenti" quantitativi di droghe "pesanti" (in particolare, tra le più diffuse, eroina e cocaina) che, presentando un valore medio di purezza per il tipo di sostanza, siano al di sotto dei due chilogrammi; e quantitativi di droghe "leggere" (in particolare hashish e marijuana) che, sempre in considerazione di una percentuale media di principio attivo non superino i cinquanta chilogrammi (v., tra le altre, Sez. 6, 25 maggio 2011, n. 27128; Id., 2 marzo 2010, n. 20120, Mtumwa, Rv. 247375; Id., 4 novembre 2010, n. 42027, Irnmorlano, Rv. 248740).

A tali principi si è attenuta la Corte di Appello, facendone espresso richiamo e precisando come nel caso di specie si trattasse di quasi due chili e mezzo di principio attivo di cocaina idoneo al confezionamento di diverse migliaia di dosi di buon livello quantitativo e aventi un impatto multiplo di almeno cinque volte l’ordinario livello di importazione tramite corriere conosciuto in base alla locale esperienza giudiziaria.

3. – All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di ciascuno al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che si stima equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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