Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-09-2011) 25-10-2011, n. 38517

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza n. 6648 del 13 ottobre 2010 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma in data 13 gennaio 2010 ha confermato la condanna di M. C. per il reato di cui all’art. 628 c.p.. Avverso la pronunzia di secondo grado l’imputato M. ha proposto ricorso per cassazione articolando congiuntamente la duplice censura della mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione e della mancata assunzione di una prova decisiva.

In primo luogo, è contestata, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) ed e) la mancata assunzione della prova decisiva, consistente nella perizia medica, ritenuta dalla corte di merito inammissibile senza adeguata motivazione. In secondo luogo è lamentata la inosservanza ed erronea applicazione della legge ex art. 606, comma 1, lett. b, con riguardo alla riqualificazione del fatto di reato e alla connessa rideterminazione della pena.

2. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.c., lett. e), consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di appello ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche.

Innanzitutto, la mancata assunzione del mezzo di prova integrato dalla perizia medica è impeccabilmente motivata sulla inesistenza agli atti del processo, di qualsiasi elemento atto a giustificare l’assunzione del mezzo di prova, a ciò non bastando il mero stato di tossicodipendenza proprio dell’imputato, di per sè insufficiente a determinare l’eventuale stato di incapacità oggetto di indagine tecnica. La Corte ha avuto anche cura di precisare che emergevano, piuttosto, elementi a favore della piena capacità di intendere e di volere laddove il prevenuto, in sede di udienza di convalida, aveva reso dichiarazioni coerenti richiedendo peraltro anche il giudizio abbreviato.

Anche la motivazione relativa alla determinazione della pena, articolata intorno alla oggettiva gravità del fatto, appare immune da vizi logici. In punto di determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale, infatti, la decisione rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p. (Cass. sez. 4, sentenza nr. 41702 del 20/09/2004 Ud – dep. 26/10/2004-Rv. 230278).

Del resto, il ricorso si limita ad esporre percorsi alternativi di giudizio così manifestando esclusivamente una non condivisione della decisione.

3. – Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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