Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-09-2011) 25-10-2011, n. 38516

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza n. 38 del 27 gennaio 2011 il GIP presso il Tribunale di Sanremo ha condannato M.M. alla pena di anni due mesi quattro di reclusione, Euro 1000 di multa per furto continuato aggravato, ricettazione ed altro.

Avverso la pronunzia il Procuratore Generale della Repubblica di Genova ha proposto ricorso per cassazione articolando congiuntamente la censura della mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione. In particolare, il ricorrente lamenta omessa motivazione sulla individuazione delle pene nel minimo edittale quanto alla reclusione, e in misura ad esso assai prossima quanto alla multa.

Inoltre, afferma la manifesta illogicità della motivazione per essere stata applicata – con giudizio di equivalenza rispetto alle attenuanti generiche – la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale; per essere stati tutti i furti commessi nei confronti di soggetti deboli (donne); per il rilevante ammontare di una refurtiva (pari ad Euro ottantacinquemila).

2. – Il ricorso è manifestamente infondato, e deve essere dichiarato inammissibile.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.c., lett. e), consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato e dotate del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918). Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il GIP ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche.

La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p.. (Cass. Sez 4, sentenza nr. 41702 del 20/09/2004 Ud – dep. 26/10/2004 – Rv. 230278). Nel caso di specie, la motivazione si articola sulla premessa del comportamento processuale del prevenuto, di ammissione di responsabilità sia nella immediatezza del fatto che nel processo. La fissazione della pena in considerazione del minimo edittale è dunque conseguenza, implicita ma chiara, a tale premessa.

Lo stesso è a dirsi per la concessione delle attenuanti generiche ed il giudizio di bilanciamento delle stesse con le circostanze aggravanti e con la recidiva. La valutazione della gravità criminogena intrinseca al reato, ai fini del giudizio di equivalenza tra attenuante e aggravante, rende ultronea ogni valutazione sulla sussistenza di ulteriori elementi che hanno valenza meramente integrativa del primo. A tal proposito si precisa nella sentenza che proprio in considerazione della rilevanza penale dei fatti si impone un giudizio di equivalenza, così integrando in un coerente giudizio logico la gravita dei fatti (in cui deve ricomprendersi sia la considerazione sulle vittime degli stessi e l’ammontare della refurtiva) con la condotta processuale del reo.

3. – Per le esposte ragioni, il ricorso proposto dal Pubblico Ministero deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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