Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-04-2012, n. 5958 Assegno di invalidità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 4278/2006 il Giudice del lavoro del Tribunale di Messina, dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero del Tesoro, essendo unico legittimato l’INPS, in accoglimento del ricorso presentato da M.R. il 2-10-2002, riconosceva la stessa invalida all’85% dalla data della domanda amministrativa e condannava l’INPS al pagamento dell’assegno a decorrere solo dal 16-2-2005, epoca in cui la M. aveva perfezionato il requisito dell’incollocamento al lavoro avanzando domanda di iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio.

La M. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendo l’accoglimento integrale della domanda.

L’INPS restava contumace. Il Ministero si costituiva chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte d’Appello di Messina, con sentenza depositata il 2-11-2009, rigettava l’appello.

In sintesi la Corte territoriale affermava che, nella fattispecie, pur essendo dimostrati i requisiti sanitari e reddituali sin dalla domanda amministrativa, essendo stata successiva l’iscrizione nelle liste di collocamento, "sola condizione utile ai fini della dimostrazione del mancato collocamento", la decorrenza del diritto all’assegno già fissata non poteva retroagire a epoca precedente.

Per la cassazione di tale sentenza la M. ha proposto ricorso con tre motivi.

L’INPS e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno resistito ciascuno con proprio controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, premesso che, mentre gli invalidi che siano in attesa dell’accertamento dell’invalidità possono dimostrare il requisito della incollocazione al lavoro con gli ordinari mezzi di prova, comprese le presunzioni, allorquando si è avuto il riconoscimento di una riduzione della capacità di lavoro in misura superiore al 45%, come nel caso in esame (65%), occorre provare lo stato di incollocazione con la produzione dell’istanza di iscrizione (nella specie del 16-2-2005), la ricorrente sostiene che il detto requisito, ancorchè accertato successivamente alla data in cui tutti gli altri requisiti erano presenti, deve essere considerato sussistente sin dalla data di accertamento degli altri requisiti richiesti.

Il motivo è infondato.

Come è stato più volte affermato da questa Corte, "La fine di attestare il requisito dell’incollocazione per il riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità civile è sufficiente anche la mera domanda di iscrizione nelle liste speciali del collocamento obbligatorio, indipendentemente dall’esito della visita presso le commissioni sanitarie" (v. fra le altre Cass. 13-6-2006 n. 13622, Cass. 10-11-2009 n. 23762).

In particolare, come è stato precisato "l’integrazione del requisito costitutivo del diritto dello stato di incollocazione al lavoro presuppone rigorosamente che l’interessato si sia iscritto nelle liste speciali degli aventi diritto al collocamento obbligatorio o, quanto meno, abbia presentato la relativa domanda all’ufficio competente, senza che possa attribuirsi valenza esonerativi al mancato conseguimento del riconoscimento, da parte delle commissioni sanitarie di un grado di invalidità sufficiente ai fini del collocamento agevolato, poichè in realtà è possibile presentare la domanda di iscrizione all’ufficio di collocamento anche in difetto del preventivo accertamento del requisiti sanitario da parte delle commissioni sanitarie, allegando documentazione apprestata dall’interessato… Peraltro lo stato di incollocazione può intervenire, alla stregua del disposto dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., anche in corso di causa, ferma restando la regola secondo la quale il trattamento decorre dal primo giorno del mese successivo a quello in cui si sia perfezionata la fattispecie e senza che sia necessaria la presentazione di una nuova domanda diretta alla verifica della sussistenza di detto requisito" (v. Cass. 28-3-2002 n. 4555, Cass. 16-4-2004 n. 7299).

Pertanto, come pure è stato più volte affermato la prestazione decorre "dal primo giorno del mese successivo a quello in cui, unitamente al requisito sanitario, si sia verificato il requisito dell’incollocamento al lavoro" (v. Cass. 2-12-2003 n. 18403).

Legittimamente quindi la sentenza impugnata ha fatto decorrere la prestazione dall’epoca in cui la M. "aveva perfezionato il requisito dell’incollocamento al lavoro avanzando domanda di iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio".

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta che la Corte di merito, erroneamente e senza sufficiente motivazione, non ha considerato che il requisito della incollocazione al lavoro non era stato specificamente contestato in primo grado dai convenuti (nè dall’INPS rimasto contumace nè dal Ministero costituito).

Il motivo risulta inammissibile in quanto generico e del tutto privo di autosufficienza.

La ricorrente, infatti, non solo non indica se e in quali termini abbia specificamente allegato nel ricorso introduttivo il possesso del detto requisito, che non sarebbe stato contestato in primo grado, ma neppure specifica se e in che modo abbia sollevato la questione relativa alla asserita non contestazione davanti ai giudici di appello.

Con il terzo motivo, infine, la ricorrente deduce che "la sentenza è errata laddove, per effetto della errata pronuncia di cui sopra, è stata disposta la compensazione delle spese del giudizio di secondo grado che, invece, andavano poste a carico dei convenuti, come pure dovevano essere poste a carico dei convenuti le spese ed i compensi del giudizio di primo grado invece di essere totalmente compensate".

Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata, infatti, sul punto, dopo aver affermato che "alla soccombenza dell’appellante si ritiene di non dover fare conseguire la sua condanna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in considerazione e della natura della controversia e della condizione delle parti", ha così pronunciato "non assoggetta l’appellante al pagamento delle spese del giudizio".

Il motivo, quindi, da un lato si fonda in sostanza sul presupposto della asserita fondatezza dei primi due motivi (come sopra respinti) e dall’altro non coglie nel segno, in quanto la Corte di merito non ha operato una compensazione delle spese quanto piuttosto ha pronunciato ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo originario).

In ogni caso la ricorrente, già soccombente in appello, non ha di che dolersi per tale statuizione sulle spese ad essa favorevole.

Per quanto riguarda, poi, le spese di primo grado la censura è priva di autosufficienza, in quanto la ricorrente non indica se e in che modo abbia ccnsurato in appello la statuizione del primo giudice.

Il ricorso va pertanto respinto.

Infine sulle spese non si provvede, in base al testo originario dell’art. 152 disp. att. c.p.c., (ratione temporis nel testo vigente anteriormente al D.L. n. 269 del 2003, conv. in L. n. 326 del 2003) essendo la nuova disciplina applicabile ai soli ricorsi conseguenti a fasi di merito introdotte in epoca posteriore all’entrata in vigore dell’indicato decreto legge (2-10-2003) (v. Cass. 30-3-2004 n. 6324, Cass. 12-12-2005 n. 27323).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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