Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-04-2012, n. 5947 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26/6/07 – 17/8/07 la Corte d’Appello di Messina – sezione lavoro ha rigettato l’impugnazione proposta da R. G. e B.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Messina che aveva parzialmente accolto la loro domanda diretta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento ad essi intimato rispettivamente l’8/4/98 ed il 6/4/98 dalla Corporazione Piloti dello Stretto di Messina con conseguente ordine di reintegra nel posto di lavoro. Invero, il primo giudice, una volta ritenuta inapplicabile la tutela reale, aveva condannato la parte resistente ad assumerli entro tre giorni o a corrispondere loro, a titolo di risarcimento del danno, un’indennità commisurata per ciascuno dei due ricorrenti a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre che gli accessori di legge. La Corte territoriale è pervenuta alla decisione di rigetto dell’appello dopo aver escluso che il licenziamento impugnato fosse stato intimato per motivi discriminatori o ritorsivi e dopo aver escluso che nel calcolo dei dipendenti, finalizzato alla verifica del requisito dimensionale previsto per l’applicazione della tutela reale, potessero conteggiarsi come lavoratori subordinati i marittimi idonei al pilotaggio assunti ai sensi dell’art. 116 del Regolamento del codice della navigazione, atteso che questi ultimi svolgevano un lavoro autonomo. Infine, secondo la Corte di merito, non era stata fornita la prova del preteso risarcimento del danno morale, biologico ed alla vita di relazione.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso il B. ed il R., i quali affidano l’impugnazione a cinque motivi di censura. Resiste con controricorso la Corporazione Piloti dello Stretto di Messina. Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo i ricorrenti denunziano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto sostengono che il giudice d’appello non avrebbe correttamente motivato in ordine alla dedotta nullità dei licenziamenti per il denunziato intento ritorsivo riconducibile alla loro partecipazione alle precedenti trattative in qualità di sindacalisti. In particolare, i ricorrenti contestano le ragioni poste a base della decisione con la quale è stata ritenuta insussistente la predetta nullità in quanto ritengono che le prove orali, non adeguatamente valutate dalla Corte d’appello, consentivano di cogliere gli elementi atti a suffragare il denunziato intento ritorsivo dell’impugnato licenziamento. Il motivo è infondato.

Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007), "il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse". Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove orali su punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le censure di omessa, insufficiente e contraddittoria disamina mosse col presente motivo di doglianza.

Infatti, nella sentenza è evidenziato che diversi elementi concorrevano ad escludere il lamentato intento ritorsivo del licenziamento, quali il notevole lasso di tempo intercorso tra l’accordo sancito col verbale del 19/7/96, seguito dall’accordo integrale siglato il 4/2/97, ed i licenziamenti del 6/4/98 ed 8/4/98, la mancanza di prova dei motivi per i quali si erano verificate le tensioni in seno alle trattative, il fatto che queste non erano state condotte personalmente dal C. col quale erano sorte le tensioni e che all’epoca era solo vice capo-pilota, la mancanza di prova della posizione assunta dai ricorrenti nelle trattative, la mancanza del potere in capo al C., autore della generica minaccia di adozione di provvedimenti espulsivi nei loro confronti, di intimare il licenziamento.

2. Col secondo motivo è denunziata l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento alla mancata computabilità, ai fini della verifica del requisito dimensionale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, dei tre "pilotini" addetti al Porto di Gioia Tauro e dei due "pilotini" addetti al Porto di Messina, assunti alcuni giorni prima dei licenziamenti, in aggiunta sia agli undici già in servizio che all’unico impiegato amministrativo.

In pratica, i ricorrenti sostengono che nel computo dei lavoratori subordinati alle dipendenze della Corporazione all’epoca dei licenziamenti oggetto di causa dovevano essere inclusi, oltre gli undici "pilotini", nei quali essi erano già ricompresi, in servizio nel Porto di Messina ed oltre l’unico impiegato amministrativo, anche tre "pilotini" in servizio nel Porto di Gioia Tauro, secondo loro privo di autonomia rispetto a quello di Messina, due altri "pilotini" assunti in servizio nel porto di Messina alcuni giorni prima del loro licenziamento e tre piloti idonei al pilotaggio; in definitiva, pur non volendosi conteggiare questi ultimi tre, che a loro dire il giudice d’appello aveva erroneamente escluso dal novero dei lavoratori subordinati, si perveniva, comunque, ad un risultato di diciassette lavoratori subordinati presenti in organico al momento del loro licenziamento, per cui ricorreva il requisito dimensionale per l’applicazione della tutela reale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Tuttavia, secondo la difesa dei ricorrenti, su tale fondamentale aspetto della questione il giudice d’appello aveva omesso qualsiasi motivazione, in quanto si era limitato ad escludere dal computo in esame i tre piloti idonei al pilotaggio, avendo ritenuto che il loro rapporto non fosse di natura subordinata, senza considerare, però, il numero complessivo degli altri "pilotini" delle due unità di Messina e di Gioia Tauro e senza indagare sul fatto se tali unità facevano parte della medesima Corporazione, come da essi sostenuto.

Il motivo è fondato.

Anzitutto, va considerato che questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 7368 dell’11/4/2005) che "a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 96 del 1987, con cui è stata dichiarata l’illegittimità della L. n. 604 del 1966, art. 10 e della L. n. 300 del 1970, art. 35, nelle parti in cui escludevano la diretta applicabilità delle norme relative ai licenziamenti contenute nelle leggi stesse al personale navigante, e L. n. 41 del 1991, con cui è stata sancita l’illegittimità dell’art. 345 c.n., che prevedeva il recesso "ad nutum" dell’armatore dal contratto di arruolamento ai rapporti di lavoro nautico in regime di continuità, la circostanza che i rapporti di arruolamento dei lavoratori del settore siano qualificabili come rapporti di lavoro a tempo indeterminato è sufficiente a rendere applicabili la L. 15 luglio 1966, n. 604 (con i relativi requisiti di forma e di giustificazione sostanziale del licenziamento), nonchè la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18".

In concreto ciò che rileva ai fini dell’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 nel rapporto di lavoro nautico è la circostanza che si tratti di rapporto lavorativo a tempo indeterminato, a prescindere dalla continuità dello stesso, A tal riguardo si è, infatti, affermato (Cass. sez. lav. n. 6118 del 26/3/2004) che "in tema di rapporto di lavoro nautico, qualora sia configurabile un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, trovano applicazione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 1987, le norme limitative dei licenziamenti di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604 e la tutela reale di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, dovendosi escludere che sia a tal fine necessaria anche la continuità del rapporto, che non è stata considerata dalla citata sentenza della Corte Costituzionale quale presupposto per l’applicazione della sopra richiamata disciplina legale in materia di licenziamenti".

Tanto premesso non può non evidenziarsi che nella fattispecie la Corte d’appello ha dato atto del fatto che i rapporti di lavoro subordinato con la Corporazione erano quelli che facevano capo ai lavoratori addetti all’amministrazione ed ai cosiddetti "pilotini", cioè quei marittimi che risultavano imbarcati nelle pilotine di proprietà della Corporazione. Senonchè, la medesima Corte non spiega perchè non considera tali unità lavorative nel computo del personale necessario per la verifica del requisito dimensionale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, mentre si limita a porre l’attenzione su una diversa questione, affermando che i marittimi idonei al pilotaggio, che possono essere assunti in servizio provvisorio in caso di necessità e che non eseguono un’attività diversa dai marittimi autorizzati al pilotaggio, svolgono un lavoro autonomo, per cui non potevano essere conteggiati ai fini del requisito occupazionale, così come non potevano essere conteggiati i piloti per i quali era in corso di svolgimento il relativo concorso e che gli stessi marittimi idonei al pilotaggio erano stati chiamati provvisoriamente a sostituire. Si registra, pertanto, nel percorso esplicativo del giudice d’appello, una carenza motivazionale in merito al computo dei "pilotini" segnalati dalla difesa dei ricorrenti, dei quali è pure dato atto nella premessa della motivazione, computo che esigeva, altresì, la verifica, anch’essa sollecitata dagli appellanti e non eseguita, della reale dipendenza della sede di Gioia Tauro da quella di Messina ai fini della determinazione dell’organico complessivo della Corporazione.

3. Col terzo motivo si denunzia l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La censura è diretta a contrastare l’affermazione del giudice d’appello in merito alla ritenuta natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso tra la Corporazione ed i tre marittimi idonei al pilotaggio ex art. 116 regol. cod. nav.. Si sostiene che tale questione finirebbe per divenire rilevante ai fini della determinazione del requisito dimensionale qualora si ritenesse corretto il criterio di non computare i tre "pilotini" addetti alla Corporazione del Porto di Gioia Tauro o i due "pilotini" assunti dalla Corporazione del Porto di Messina pochi giorni prima degli impugnati licenziamenti. In particolare, i ricorrenti contestano al giudice d’appello di aver fatto discendere la natura autonoma di tale rapporto da una interpretazione della norma di cui all’art. 121 regol. cod. nav., comma 2, senza aver verificato in concreto lo svolgimento del rapporto dei tre marittimi idonei al pilotaggio.

4. Col quarto motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 2094 c.c., art. 116 regol. cod. nav., in relazione alla norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, e viene formulato il seguente quesito di diritto: "Se abbia natura subordinata ai sensi dell’art. 2094 c.c. il rapporto di lavoro costituito fra la Corporazione dei piloti e il marittimo idoneo al pilotaggio assunto ex art. 116 regol. cod. nav., tenuto conto che tale marittimo è provvisoriamente assunto dal Capo pilota della Corporazione su autorizzazione del Comandante della Capitaneria di Porto, svolge le sue prestazioni di lavoro sotto la vigilanza e la direzione del Capo pilota, al cui potere disciplinare è sottoposto, non è legato alla Corporazione da vincolo associativo nè è proprietario dei mezzi e delle attrezzature di lavoro". Osserva la Corte che il terzo ed il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente essendo stati posti entrambi nell’ambito della questione inerente la verifica della sussistenza del requisito dimensionale anche per l’ipotesi in cui non si voglia computare nel novero dei dipendenti il numero dei "pilotini" in servizio nel Porto di Gioia Tauro e di quelli assunti nel Porto di Messina pochi giorni prima dei licenziamenti in questione. Entrambi i motivi sono infondati.

Anzitutto, è bene precisare che la norma di cui all’art. 121 regol. cod. nav., comma 1, prescrive che il capo ed i sottocapi piloti della corporazione partecipano alla ripartizione dei proventi in ragione rispettivamente di centoventicinque quote e di centododici quote e mezza, gli altri piloti effettivi in ragione di cento quote, gli aspiranti piloti in ragione di cinquanta quote.

L’art. 121, al comma 2 prevede che i marittimi assunti in via provvisoria, ai termini dell’art. 116, comma 3, se concorrono con i piloti effettivi alla ripartizione, percepiscono metà della quota spettante a questi, altrimenti l’intera quota.

A sua volta, l’art. 116, al comma 3 prevede che in caso di necessità il comandante del porto, ove ha sede la corporazione, può autorizzare il capo pilota o il commissario straordinario ad assumere in servizio provvisorio marittimi idonei al pilotaggio, con preferenza per coloro che siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 105.

Tanto chiarito, si rileva che la doglianza dei ricorrenti non coglie nel segno per un duplice ordine di motivi: – Anzitutto, il giudice d’appello ha ricavato il convincimento della natura autonoma del rapporto dei tre marittimi idonei al pilotaggio dalla sua assimilazione a quello dei piloti che rispondono solo al comandante del porto e ricevono i compensi dagli introiti della corporazione, secondo le previsioni di cui al predetto art. 121, partecipando, quindi, anche al rischio d’impresa, per cui è quest’ultimo il criterio concretamente considerato ai fini della qualificazione del rapporto. Inoltre, non va dimenticato che le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 7533 del 16/12/1986, hanno statuito che "con riguardo al servizio di pilotaggio, cioè di assistenza alle navi in manovra, che viene affidato alle apposite corporazioni di piloti, secondo la disciplina degli artt. 86 e segg. c.n., nonchè degli artt. 100 e segg. reg. nav. marittima, il rapporto fra il pilota e la corporazione di appartenenza ha natura associativa ed esula dallo ambito del lavoro subordinato, tenuto conto che le prestazioni del pilota medesimo vengono autonomamente effettuate in favore del comandante della nave da pilotare, si avvalgono di mezzi in comproprietà degli associati, beneficiano di un compenso condizionato alla presenza di un saldo attivo detratte le spese di gestione (quindi partecipano ai rischi dell’impresa), non sono caratterizzate da vincolo di subordinazione con la corporazione".

Infine, va rilevato che la presente questione, che è stata posta in considerazione della eventualità di un mancato computo del numero dei "pilotini" ai fini della verifica della sussistenza del requisito dimensionale, non è nella fattispecie rilevante ai fini invocati, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti. Infatti, se si escludono dal predetto computo i tre "pilotini" addetti alla Corporazione del Porto di Gioia Tauro ed i due "pilotini" assunti dalla Corporazione del Porto di Messina pochi giorni prima degli impugnati licenziamenti, la somma dei tre marittimi idonei al pilotaggio, assunti in via provvisoria, e delle dodici unità lavorative già in servizio non consente, comunque, di superare il numero dei quindici dipendenti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. 5. Con l’ultimo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1226, 2043, 2056, 2059 e 2087 c.c. in relazione alla norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 e con riferimento al negato riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni alla salute, esistenziali e morali che sarebbero scaturiti dagli impugnati licenziamenti. Si chiede in particolare di accertare se la sussistenza del danno morale e del danno esistenziale per illegittimo licenziamento debba o meno ritenersi dimostrata senza necessità di specifica prova allorquando la determinazione del "quantum" sia rimessa alla esclusiva valutazione equitativa del giudice e se la sussistenza del danno alla salute per lo stesso motivo debba accertarsi sia "nell’an" che nel "quantum" con consulenza medica d’ufficio sulla base della semplice allegazione della parte di aver subito tale danno. Osserva la Corte che la disamina del presente motivo rimane assorbita dall’accoglimento del secondo che è stato riconosciuto fondato e per effetto del quale dovrà nuovamente pronunziarsi il giudice del rinvio.

In definitiva vanno rigettati il primo, il terzo ed il quarto motivo, mentre va accolto il secondo e dichiarato assorbito il quinto.

Conseguentemente, la sentenza va cassata in relazione al secondo motivo accolto ed il procedimento va rinviato alla Corte d’Appello di Messina che, in diversa composizione, provvedere ad eseguire le dovute verifiche in merito alla esatta consistenza dell’organico della Corporazione ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno del requisito dimensionale indispensabile per l’invocata applicazione della tutela reale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. La stessa Corte territoriale provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il terzo ed il quarto motivo; accoglie il secondo motivo e dichiara assorbito il quinto; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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