Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 16-04-2012, n. 5943 Liste elettorali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il TAR per la Lombardia con sentenza 20.12.2010, pronunziando sulle impugnazioni proposte da C.M. e L.L. avverso gli atti di proclamazione degli eletti per le elezioni di rinnovo dei Consiglio Regionale della Lombardia del 28 e 29.3.2010 e degli atti strumentali afferenti la ammissione della Lista "Per la Lombardia", ha, nel contraddittorio tra gli altri della Regione Lombardia, dichiarato inammissibili il ricorso ed i motivi aggiunti, per genericità ed indeterminatezza delle prospettazioni ed allegazioni, e pertanto ha respinto la proposta istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione dei procedimenti pendenti innanzi al G.O. aventi ad oggetto l’accertamento della falsità delle firme in questione. La sentenza è stata appellata da C.M. e L.L. e, ne contraddittorio dell’Ufficio Centrale Regionale presso la Corte di Milano, della Regione Lombardia, di F.R. e di numerosi componenti del consiglio regionale, nonchè dell’Ufficio Regionale Centrale, il Consiglio di Stato con sentenza 22.9.2011 ha dichiarato ammissibile il ricorso e, pronunziando sulle proposte censure, ha respinto le stesse con eccezione di quella afferente la falsità delle firme di presentazione della Lista "per la Lombardia". A tal proposito, e per quel che occupa, il Consiglio di Stato, dopo aver escluso che la sanatoria delle irregolarità del procedimento elettorale, disposta con D.L. 5 marzo 2010, n. 29 ed in sede di sanatoria dei suoi effetti dalla L. 22 aprile 2010, n. 60, potesse estendersi alla prospettata ipotesi della falsità delle firme di presentazione o della loro autenticazione:

– ha preso atto della prospettazione dei ricorrenti per la quale sarebbe emerso un numero di 473 firme certamente riconducibili alle stesse mani e pertanto di un numero idoneo a far venir meno – da parte della Lista a cui sostegno le firme erano presentate (3.935) – il requisito di ammissione fissato per legge (3.500);

– ha considerato come non irragionevole la verifica effettuata dalla perizia di parte prodotta dai ricorrenti a sostegno del loro addebito di falsità rilevante, notando che i dati offerti non erano stati contestati ex adverso;

– ha rilevato come in tal quadro emergerebbe indispensabile l’accertamento tecnico da parte dello stesso giudice amministrativo, e cioè una scelta processuale preclusa espressamente dal disposto dell’art. 8, comma 2 C.P.A. approvato con D.Lgs. n. 104 del 2010;

– ha preso atto del fatto che il Consiglio di Stato con ordinanza 16.2.2011 resa in procedimento relativo a diverso contenzioso elettorale aveva dubitato della legittimità costituzionale proprio dell’art. 8, comma 2 C.P.A., di altre norme dello stesso codice e delle previgenti disposizioni contenute nel R.D. n. 1054 del 1923 e nella L. n. 1034 del 1971, quindi rimettendo la questione alla Corte Costituzionale, ed ha considerato essere inopportuna la reiterazione dell’incidente di costituzionalità e di contro opportuna la correlata sospensione del giudizio, con separata ordinanza.

Con ordinanza separata il Consiglio di Stato ha quindi sospeso il procedimento.

Per la cassazione di tale sentenza la Regione Lombardia ha proposto ricorso ex art. 362 c.p.c., comma 1, con tre motivi, notificando l’atto alle parti del giudizio innanzi al Consiglio di Stato in data 5.10.2011. Si sono costituiti con controricorso 14.11.2011 C. M. e L.L. deducendo la inammissibilità del ricorso, anche per sopravvenienza della sentenza 304 del 2011 della Corte Costituzionale, e la sua infondatezza nel merito.

L’Amministrazione dell’Interno ha depositato atto di costituzione.

Ricorrente e controricorrenti hanno depositato memorie finali ed i loro difensori hanno discusso oralmente.

Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, in piena condivisione dei rilievi sollevati dai controricorrenti nel loro atto di difesa del quale, contrariamente alla opinione espressa in memoria dalla Regione Lombardia, non deve essere dichiarata la tardività. A tal proposito, il rilievo di tardività che viene sollevato con riguardo alla dimidiazione dei termini di tutte le attività del contenzioso elettorale alla stregua del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82, comma 3 (oggi sostituito dalla previsione di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22), è privo di alcuna pertinenza con riguardo a controricorso che occupa, posto che il procedimento in disamina non è affatto, come erroneamente si afferma in memoria, il segmento, in sede di legittimità, di un procedimento elettorale contenzioso ma è il ben diverso ricorso ex art. 362 c.p.c., comma 1 e art. 111 Cost., u.c. i cui termini di proposizione e difesa sono quelli posti agli artt. 325-327-370 c.p.c., termini che il controricorso, per quel che rileva, ha osservato. Venendo dunque alla disamina del ricorso, esso afferma l’avvenuto superamento da parte del giudice amministrativo dei limiti esterni della propria giurisdizione sotto tre distinti profili, inseriti e sviluppati in tre motivi. La genericità ed ipoteticità della affermazione del "sopravvenuto disinteresse parziale" alla trattazione dei motivi primo e terzo, fatta dal difensore della Regione in memoria con riguardo alla sopravvenienza della decisione 304 del 2011 della Corte Costituzionale, affermazione che non si è tradotta in alcuna specifica, legittima, dichiarazione di rinunzia alla decisione sui motivi (Cass. 12638 del 2011), non esime il Collegio dalla disamina di tutte e tre le censure.

Con il primo motivo, si qualifica come abnorme la sospensione "discrezionale" del processo disposta dal Consiglio di Stato, posto che al giudice in presenza di un dubbio di costituzionalità non era data altra scelta, ove tal dubbio fosse stato condiviso nei due suoi requisiti della rilevanza e non manifesta infondatezza, che sospendere il giudizio con remissione degli atti alla Corte: la abnorme decisione assunta sarebbe stata invece espressiva di una decisione di "non esercitare" la propria giurisdizione. Appare evidente che il motivo si muove nella prospettiva di far rientrare la errata decisione di sospendere nell’alveo del rifiuto di esercizio della giurisdizione sul quale queste Sezioni Unite, dopo la pronunzia 30254 del 2008, hanno affermato potersi esercitare il sindacato ex art. 362 c.p.c., comma 1. Ma il Collegio non può che ribadire il costante orientamento di queste Sezioni Unite (da ultimo con le decisioni 15240 e 10870 del 2011) che afferma appartenere alla area del sindacabile "rifiuto" della propria giurisdizione solo quel diniego di tutela da parte del giudice amministrativo che si radichi nell’affermazione della esistenza di un ostacolo generale alla conoscibilità della domanda nel mentre si sottrae a detta sindacabilità quel diniego che discenda direttamente ed immediatamente dalla applicazione delle norme invocate a sostegno della pretesa. E quando tra tali norme vi è quella che consente, o non divieta, la sospensione per pregiudiziale costituzionale in altro procedimento disposta, come è avvenuto nella specie, devesi concludere nel senso che il Consiglio di Stato si è limitato solo ad una non condivisa, e semmai errata, adozione di una sospensione in attesa della pronunzia del Giudice delle leggi. E poichè con siffatta sospensione il giudice amministrativo non ha adottato alcuna decisione sulla questione controversa ma ha solo posto il processo in una condizione di temporanea attesa, neanche in astratto appare ipotizzabile l’affermato "rifiuto" e la sua configurazione, in quel contesto processuale, deve ritenersi radicalmente inammissibile.

Con il secondo motivo, si stigmatizza la "abnorme" rilevanza officiosa data dal Consiglio di Stato alla questione di falso posto che i ricorrenti non avevano mai invocato una pronunzia al proposito dal G.A. ed avevano proposto l’incidente di falso innanzi al Tribunale civile quindi espressamente invocando dal G.A. l’attesa del relativo esito: di conseguenza i giudici d’appello sarebbero incorsi in una evidente ultrapetizione là dove avevano sostanzialmente "riservato" di pronunziarsi su una questione neanche posta innanzi a loro. Il motivo è dichiaratamente inammissibile, non essendo consentito (S.U. 14659-14841-15234 del 2011 e da ultimo 4769 del 2012) denunziare errores in procedendo o in judicando commessi dal G.A. – nel cui novero si colloca ovviamente la denunziata ultrapetizione pur se nell’improbabile configurazione data in ricorso – neanche quando si addivenga ad un diniego di intervenire con urgenza su di una richiesta di sospensione dell’atto (S.U. 14842 del 2011). In sostanza il motivo lamenta che la anomala sospensione per pregiudiziale di legittimità costituzionale (sollevata in altro processo) sia stata disposta con la indebita "riserva" di poter procedere alla cognizione della questione di falso una volta rimosso l’impedimento normativo a siffatta cognizione da parte del G.A. ma non considerando che in quel processo, stante il difetto di richiesta dei ricorrenti C. e L. (promotori della querela innanzi al G.O.), la questione era priva di alcuna rilevanza e che la sua cognizione officiosa sarebbe stata illegittima. Ed allora appare chiara la inammissibilità conclamata di una censura che è stata proposta ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1 per addebitare al Consiglio di Stato nulla più che ritenzione" di acquisire ambiti di cognizione non richiesti nè spettanti ed anzi dalla sentenza 304 del 2011 della Corte Costituzionale del tutto negati.

Con il terzo motivo infine si lamenta che il Consiglio di Stato con la sua decisione di sospensione in attesa della decisione della Corte Costituzionale ed omettendo invece di sospendere a cagione della pendenza dell’incidente di falso innanzi al Tribunale di Milano, abbia sostanzialmente anticipato la sua intenzione, nel caso di accoglimento della questione di costituzionalità e di accertamento del potere del G.A. di decidere incidentalmente anche della questione di falso, di provvedere nonostante la pendenza della stessa questione innanzi al Tribunale di Milano. La censura propone una inammissibile ipotesi di sconfinamento "progettato" o "preannunziato" che, come considerato in relazione al secondo motivo, è priva di ogni plausibilità, e, più ancora, di alcuna attualità dell’interesse a proporla e sostenerla. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna della ricorrente alla refusione delle spese di giudizio in favore dei controricorrenti.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente Regione Lombardia al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti, che determina in Euro 5.200 (di cui Euro 200 per esborsi) oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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