T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 25-11-2011, n. 9278

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 1 febbraio 2010 e depositato il successivo 1 marzo 2010, i ricorrenti impugnano la "pronuncia di valutazione di impatto ambientale" resa dalla Regione Lazio in data 26 novembre 2010 "sul progetto di ampliamento di una cava di basalto" situata nel Comune di Acquapendente, a seguito di richiesta inoltrata dalla G.S. s.a.s..

Ai fini dell’annullamento i ricorrenti deducono i seguenti motivi di diritto:

A) VIOLAZIONE DELL’ART. 30 DEL D.LGS. 152/2006 E S.M.I.. ECCESSO DI POTERE PER ERRONEO PRESUPPOSTO DI FATTO E PER OMESSA O INSUFFICIENTE ISTRUTTORIA, atteso che, nonostante il progetto avesse un impatto ambientale rilevante sulla Regione Umbria (in particolare, a livello di "falde idriche", così come risulta anche dal parere ARPA del 2 luglio 2009, prodotto agli atti), non è stato acquisito il parere di quest’ultima. Stante l’esposta circostanza, i Comuni di Castelgiorgio, Orvieto e Castelviscardo, situati nella Regione Umbria, ed il Comune di Acquapendente, situato nella Regione Lazio, avevano chiesto di indire una conferenza di servizi ex art. 14 l. 241/90 o, in alternativa, un tavolo tecnico interregionale ma tale richiesta non è stata accolta dalla Regione Lazio.

B) VIOLAZIONE DELLA LEGGE REGIONALE DEL 6 LUGLIO 1998, N. 24. VIOLAZIONE DEL D.LGS. 22 GENNAIO 2004, N. 42. ECCESSO DI POTERE PER ERRONEA E/O CONTRADDITTORIA VALUTAZIONE DI UN PRESUPPOSTO DI FATTO. ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETA" INTRINSECA ED ESTRINSECA AL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO. ECCESSO DI POTERE PER MANCATA O INCOMPLETA ISTRUTTORIA. ECCESSO DI POTERE PER MOTIVAZIONE CONTRADDITTORIA. Nella zona di ampliamento esiste un’area boscata (cfr. atti del Corpo Forestale dello Stato 22 e 28 febbraio 2008 e 9 gennaio 2010), la quale – in quanto tale – è sottoposta a vincolo paesaggistico. Nonostante l’inconfutabilità dei dati acquisiti, la Regione Lazio ha adottato un provvedimento di VIA positivo, il quale risulta comunque connotato da una motivazione contraddittoria, in quanto prevede l’acquisizione dal comune di una certificazione "che confermi l’estensione (4.300 mq.) di area boscata riportata nel Parere forestale citato", già esistente agli atti. Stante tale situazione, appare evidente che il legittimo svolgimento del procedimento di VIA avrebbe almeno imposto un supplemento di istruttoria, tenuto anche conto che l’adempimento di cui sopra non può essere inteso in termini di semplice "prescrizione".

C) VIOLAZIONE DELL’ART. 94 DEL D.LGS. 152/2006. ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETA" INTRINSECA ED ESTRINSECA. ECCESSO DI POTERE PER OMESSA O COMUNQUE INADEGUATA ISTRUTTORIA. VIOLAZIONE DEL D.G.R. N. 5817 DEL 14 DICEMBRE 1999, per la presenza – nel Comune di Acquapendente, loc. Forno Vecchio – di un pozzo di acqua potabile, la quale avrebbe dapprima imposto l’individuazione di una zona di rispetto e poi eventualmente consentito il rilascio della VIA. E’ da aggiungere che nel provvedimento il pozzo è qualificato come "dismesso". Ciò non corrisponde a verità, atteso che il pozzo è solo "momentaneamente non in uso".

D) ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA per mancata corretta valutazione dell’effettivo stato dei luoghi, mutato nel corso del tempo per l’illegittimo ampliamento della cava senza autorizzazione.

E) SALAMANDRA CON GLI OCCHIALI. Tale specie di interesse comunitario è minacciata dal taglio boschivo perché l’aumento dell’insolazione provoca un cambiamento delle caratteristiche dell’habitat. Preso atto delle risultanze dei sopralluoghi, la Regione Lazio ha, dunque, previsto di rilasciare una fascia di rispetto totale del soprassuolo arboreo di almeno 10 metri su ogni sponda dei fossi. Di tutto ciò non vi è traccia nel provvedimento impugnato.

In data 16 marzo 2010 il Codacons ha depositato atto di intervento ad adiuvandum, per poi produrre – il successivo 22 marzo 2010 – una memoria, con cui sono rimarcati – in particolare – il profilo delle falde acquifere ed il difetto di istruttoria.

Con atto depositato in data 24 marzo 2010 si è costituita la Regione Lazio, la quale – con memoria depositata in pari data – ha così sostenuto la legittimità del proprio operato: – le condizioni di cui al comma 2 dell’art. 30 del d.lgs. 152/2006 non sono state ritenute sussistenti; – di tale insussistenza ha preso atto anche la Regione Umbria, già opportunamente consultata con nota del 13 ottobre 2009; – la possibilità di attivare un tavolo di confronto pubblico era stata prospettata al Comune di Acquapendente, ma quest’ultimo l’ha ritenuta non necessaria con nota del 14 ottobre 2009; – in base al parere dell’Area Conservazione Foreste del 10 giugno 2008, l’area soggetta a progetto di rimboschimento è risultata essere pari a 4.300 mq., inferiore dunque ai "5.000 mq necessari per essere qualificata come bosco"; – in ogni caso, è stata richiesta in via cautelativa anche l’acquisizione della certificazione comunale in merito alla corretta perimetrazione dell’area, ai sensi art. 10 co. 5 l.r. 24/98; – la realizzazione dell’ampliamento è stata condizionata alla verifica della dismissione in via definitiva del pozzo di Torre Alfina, con obbligo, in caso contrario, di acquisizione del prescritto parere; – in definitiva, sono state impartite una serie di prescrizioni, le quali rivelano un chiaro approfondimento istruttorio; – il provvedimento impugnato è adeguatamente motivato.

In medesima data, anche la controinteressata ha prodotto una memoria di costituzione, con la quale – preliminarmente – ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva della ASSAL e degli altri ricorrenti. Per quanto attiene al merito del ricorso, ha così – in sintesi – confutato le censure sollevate: – sono stati realizzati dei piezometri che – sotto la direzione e vigilanza dell’Ufficio Idrografico e Mareografico – hanno rivelato in modo incontrovertibile "che l’attività estrattiva… non andrà ad interagire con nessuna falda idrica" (cfr. relazione novembre 2009 del Geologo Fusi, successiva alla nota ARPA invocata dai ricorrenti); – con nota del 12 novembre 2009 la Regione Lazio ha comunicato alla Regione Umbria la mancata ricorrenza delle condizioni di cui al comma 2 dell’art. 30 del D.Lgs. 152/2006; – la nota prot. 09/3839 della società Talete dimostra, poi, che il pozzo idrico di Torre Alfina è posto fuori servizio e "non verrà più utilizzato per uso potabile"; – la Regione Lazio ha compiutamente accertato che l’area non era boschiva; – la prescrizione relativa alla certificazione del Comune di Acquapendente è stata inserita "per mero ed ulteriore scrupolo"; – in data 17.12.2009 il Comune di Acquapendente ha, comunque, accertato che l’area coperta da vegetazione "non ha le dimensioni minime prescritte per essere considerate bosco"; – l’area indicata nella nota del Corpo Forestale dello Stato del 9 gennaio 2010 è diversa da quella interessata dal progetto; – la zona che potrebbe interessare la tutela della salamandra con gli occhiali non è compresa nel progetto di ampliamento.

Alla Camera di Consiglio del 25 marzo 2010 i ricorrenti hanno chiesto un rinvio per l’istanza cautelare.

2. In data 30 marzo 2010 i ricorrenti hanno prodotto motivi aggiunti, proposti per l’annullamento del provvedimento della Regione Lazio, Dipartimento Economico Occupazionale, Direzione Generale attività produttive, dell’8 febbraio 2010, prot. n. 21654, nel quale si dà atto del rilascio in data 20 gennaio 2010 del parere favorevole della Commissione Regionale Consultiva (C.R.C.) in merito all’ampliamento della cava.

Avverso tale parere i ricorrenti hanno riproposto le censure già formulate con il ricorso introduttivo.

In data 27 aprile 2010 la Regione Lazio ha depositato documenti.

Alla camera di consiglio del 29 aprile 2010 – nel corso della quale i ricorrenti hanno depositato documenti – vi è stata rinuncia all’istanza cautelare.

3. In data 9 febbraio 2011 i ricorrenti hanno depositato ulteriori motivi aggiunti, proposti per l’annullamento – previa sospensione dell’efficacia – del provvedimento del Comune di Acquependente del 12 novembre 2010, avente ad oggetto "Autorizzazione per l’ampliamento attività estrattiva località Le Greppe".

Dopo aver rappresentato che, con nota dell’11 novembre 2010, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha comunicato al Sindaco di Acquapendente "l’avvio della procedura di proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area denominata Altopiano dell’Alfina", i ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure:

A) ILLEGITTIMITA" "AUTONOMA" PER VIOLAZIONE DELL’ART. 146 DEL D.LGS. 42/2004, perché il Comune ha violato le misure di salvaguardia connesse alla comunicazione dell’avvio della procedura di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area.

B) ILLEGITTIMITA" "AUTONOMA" PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA, a causa della mancata verifica da parte del Comune delle prescrizioni previste nella VIA.

C) ILLEGITTIMITA" "AUTONOMA" PER ECCESSO DI POTERE, atteso che il Comune – in presenza anche di un solo dubbio circa la produzione di trasformazioni rilevanti ed irreversibili, con effetti pregiudizievoli per l’ambiente – si sarebbe dovuto astenere dall’emanare il provvedimento.

D) ILLEGITTIMITA" DERIVATA DALL’ILLEGITTIMITA" DELLA VIA e, dunque, riproposizione delle doglianze già formulate con il ricorso principale.

Con atto depositato in data 15 febbraio 2011 si è costituito il Comune di Acquapendente, il quale – nel prosieguo e precisamente in data 7 marzo 2011 – ha prodotto una memoria con cui – dopo aver evidenziato che in via cautelativa, pur non essendo l’area sottoposta ad alcun tipo di vincolo paesaggistico, l’ampliamento è stato autorizzato "solo per il primo lotto" individuato nell’istanza, "che è quello di estensione minore" (circa 17.000 mq.), "per un solo anno" ed "ha subordinato l’autorizzazione per cinque anni alla compatibilità con l’eventuale vincolo paesaggistico" – ha preliminarmente opposto l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti. Al fine di confutare le censure sollevate ha, poi, rilevato che: – l’autorizzazione è stata rilasciata legittimamente, atteso che non era ancora pervenuta la proposta di vincolo; – il secondo motivo è generico perché non indica quali erano le verifiche da effettuare; – i ricorrenti richiamano un precedente del TAR Umbria che risulta estraneo al caso in esame, in cui "non vi è stata alcuna variante urbanistica" e lo scavo è pari a soli 15 mt.; – la Regione Umbria ha condiviso l’insussistenza delle condizioni necessarie per l’instaurazione di un tavolo interregionale; – l’area non può essere considerata quale bosco, non integrando i requisiti indicati dalle norme vigenti; – è stata accertata le definitiva dismissione del pozzo di Torre Alfina; – i fossi di rilevanza per la tutela della salamandra con gli occhiali sono a notevole distanza dalla zona interessata dall’ampliamento.

In data 28 febbraio 2011 la controinteressata ha depositato una memoria, rappresentando di essersi attivata presso il giudice amministrativo per ottenere l’annullamento delle proposte di vincolo interessanti la zona ed insistendo sulla legittimità dei provvedimenti impugnati con il presente ricorso. Ha, altresì, evidenziato che l’eventuale apposizione del vincolo paesaggistico non è ostativa alla continuazione dell’attività estrattiva in esercizio nè all’ampliamento della cava in argomento.

In data 9 maggio 2011 i ricorrenti hanno prodotto documenti.

Con ordinanza n. 1780 del 12 maggio 2011 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare.

In data 29 luglio 2011 la controinteressata ha formulato "istanza di revoca" dell’ordinanza di cui sopra, ai sensi dell’art. 58 c.proc.amm., sostenendo che l’adozione in data 12 maggio 2011 del decreto del Ministro per i Beni e le Attività Culturali – con cui l’area interessata dall’ampliamento della cava è stata dichiarata di notevole interesse pubblico – avrebbe determinato "il venir meno delle esigenze di cautela che il TAR ritenne opportuno adottare… nei confronti del provvedimento di autorizzazione comunale all’ampliamento della cava".

Tale istanza è stata respinta dalla Sezione con ordinanza n. 3125 del 2 settembre 2011.

In seguito le parti costituite hanno prodotto ulteriori documenti e memorie, persistendo sulle posizioni già assunte.

4. All’udienza pubblica del 13 ottobre 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Il Collegio ritiene di poter soprassedere sulle eccezioni di inammissibilità formulate dalle parti resistenti – basate sul difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti – in quanto il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

2. Come esposto nella narrativa che precede, la questione prospettata investe la procedura di autorizzazione all’ampliamento di una cava di basalto, situata nel Comune di Acquependente (VT), in località Le Greppe, attivata dalla società G.S..

In particolare, viene posta in contestazione – attraverso la proposizione del ricorso introduttivo e di motivi aggiunti – la legittimità dei seguenti atti e provvedimenti:

– la "pronuncia di valutazione d’impatto ambientale" (VIA), resa dalla Regione Lazio in data 26 novembre 2009, ai sensi dell’art. 23 parte II del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.;

– il parere della Commissione Regionale Consultiva per le attività estrattive (C.R.C.) in data 20 gennaio 2010, comunicato con nota della Regione Lazio dell’8 febbraio 2010;

– il provvedimento del Comune di Acquependente del 12 novembre 2010, avente ad oggetto "autorizzazione per ampliamento attività estrattiva località Le Greppe".

A tale fine i ricorrenti denunciano violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Le censure formulate sono infondate per le ragioni di seguito esposte.

3. Per quanto attiene alla VIA, oggetto di impugnazione con l’atto introduttivo del presente giudizio, i ricorrenti lamentano – in primis – la violazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 152 del 2006 ed eccesso di potere "per erroneo presupposto di fatto e per omessa ed insufficiente istruttoria" in quanto affermano che – ancorché "l’ampliamento della cava in oggetto" rischi "di compromettere permanentemente un acquifero idropotabile di rilevanza interregionale (Lazio e Umbria)" – la Regione Lazio "ha emanato il parere positivo sulla V.I.A. senza convocare una conferenza di servizi e né tantomeno un tavolo interregionale".

Tale doglianza non è meritevole di positivo riscontro.

Al riguardo, è bene ricordare che l’art. 30, comma 2, in argomento prevede che: "nel caso di piani e programmi soggetti a VAS, di progetti di interventi e di opere sottoposti a VIA di competenza regionale………..i quali possano avere impatti ambientali rilevanti su regioni confinanti, l’autorità competente è tenuta a darne informazione e ad acquisire i pareri delle autorità competenti di tali regioni, nonché degli enti locali territoriali interessati dagli impatti".

Appare evidente che si tratta di una norma precipuamente diretta a garantire il principio della "partecipazione" al procedimento a livello di autorità amministrative, per la tutela di interessi esponenziali di rilevanza locale.

In altri termini, si tratta di una prescrizione che risulta ragionevolmente giustificata dall’impatto sul territorio di un determinato intervento e, dunque, non può prescindere – ai fini della propria applicazione – dal previo accertamento di quest’ultimo, al fine di attuare poi il coinvolgimento delle amministrazioni eventualmente interessate.

Come già accennato, i ricorrenti affermano l’operatività – nel caso di specie – della previsione in argomento in quanto sostengono l’interferenza del progetto di ampliamento della cava sul patrimonio idrico delle falde anche della Regione Umbria (il cui parere – da qualificare obbligatorio – non è stato però acquisito).

Orbene, il presupposto di fatto addotto dai ricorrenti non trova positivo riscontro nella documentazione agli atti.

Risulta, infatti, depositata documentazione che dà conto di accertamenti idonei a supportare il contrario e, quindi, a giustificare l’operato della Regione.

Risulta – in particolare – prodotta una relazione del geologo Fusi del 4 novembre 2009 – redatta in seguito al posizionamento di piezometri, richiesti dalla stessa ARPA con nota del 2 ottobre 2009, realizzati secondo i criteri dell’Ufficio Idrografico e Mareografico, in linea con quanto prescritto dalla Regione Lazio con nota del 7 ottobre 2009 – la quale attesta che:

– "l’attività estrattiva…. non andrà ad interagire con nessuna falda, neanche di tipo isolato e/o sospeso";

– "la direzione del deflusso sotterraneo della falda riscontrata è orientata verso Nord.Ovest, in direzione del Fosso di Subbissone".

In definitiva, corrisponde certamente a verità che l’ARPA Lazio ha affermato – con la nota del 2 luglio 2009, richiamata nel ricorso – che "in via cautelativa… è bene considerare il sito di estrazione ubicato all’interno dell’area di ricarica di una falda di importanza interregionale" ma tale asserzione non vale di per sé a comprovare la sussistenza del presupposto di cui all’art. 30, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, tanto più ove si consideri che l’impatto ambientale del progetto su regioni confinanti – per determinare l’applicazione della prescrizione in argomento – deve essere rilevante; nel contempo, è da aggiungere che l’ulteriore espletamento di indagini ha comunque condotto ad escludere la sussistenza dell’"impatto ambientale" nei termini richiesti dalla legge e tale conclusione – comunicata alla Regione Umbria con nota del 12 novembre 2009 – non risulta contestata da quest’ultima (e ciò nonostante i monitoraggi "di acque sotterranee" effettuati anche da ARPA Umbria, di cui si faceva già menzione nella nota della Regione in argomento del 20 febbraio 2008, allegata al ricorso introduttivo).

Tenuto conto del lungo iter che ha condotto la Regione Lazio ad escludere l’operatività dell’art. 30 di cui sopra – così come risultante anche dal provvedimento impugnato – non si ravvisano, poi, le condizioni per affermare che sussista difetto di istruttoria.

3.1. Al fine di supportare l’illegittimità della VIA, i ricorrenti lamentano, ancora, violazione della legge regionale n. 24 del 1998 e del d.lgs. n. 42 del 2004 nonché eccesso di potere in quanto sostengono che:

– l’area interessata dal progetto è da definire "boscata" e, dunque, soggetta a vincolo paesaggistico, in quanto "ha un’estensione non inferiore a 5.000 metri quadrati coperti da vegetazione forestale arborea e/o arbustiva", così come risulta da atti del Corpo Forestale dello Stato (in data 22 e 28 febbraio 2008 e 9 gennaio 2010);

– sul punto, la motivazione del provvedimento è contraddittoria ed oscura, perché prevede l’acquisizione – in epoca successiva alla conclusione positiva della VIA – di una certificazione attestante l’estensione del bosco, in contrasto con i principi che impongono una compiuta istruttoria.

Anche tali censure non sono meritevoli di condivisione.

Preso atto che, anche attraverso la disamina della censura de qua, si permane essenzialmente sul piano dell’accertamento della situazione di fatto che caratterizza l’area interessata dal progetto presentato dalla controinteressata, il Collegio osserva, infatti, che:

– la carenza di un’area definibile "boschiva" trova positivo riscontro nella nota della Regione Lazio, Dipartimento Territorio, Area Conservazione Foreste del 10 giugno 2008, prot. n. 228296 (di cui si fa menzione nel provvedimento impugnato), il cui contenuto è, tra l’altro, riportato in una nota da quest’ultima inviata alla ASSAL;

– tale nota è pienamente aderente a quanto già certificato dal Comune di Acquependente in data 23 ottobre 2007 e comunicato dal Corpo Forestale dello Stato in data 6 novembre 2007 (in riscontro alla richiesta della Regione Lazio, Dipartimento Economico e Occupazionale, del 25 settembre 2007);

– gli accertamenti del Corpo Forestale dello Stato a cui fanno riferimento i ricorrenti non rilevano o, comunque, sono inidonei a sconfessare le risultanze di cui alla nota sopra indicata, atteso che – a differenza di quanto espressamente precisato anche nella nota della Regione Lazio, Dipartimento Territorio, del 28 gennaio 2009 (redatta proprio a seguito di una lettera dell’ASSAL richiamante i verbali attinenti agli accertamenti de quibus) – non riportano dati precisi in ordine all’estensione della zona ricoperta dal bosco (indicazioni queste indiscutibilmente necessarie, tenuto conto dei 5.000 mq. prescritti dall’art. 4 L.R. n. 39 del 2002) e, comunque, non affermano in alcun caso che l’area boscata interessata dall’ampliamento della cava supera i 5.000 mq..

In conclusione, le note acquisite dalla Regione Lazio al fine di rilasciare la VIA appaiono chiare nell’escludere la presenza sull’area interessata dall’ampliamento della cava di un bosco, mentre i rilievi formulati dai ricorrenti si rivelano inidonei a confutare adeguatamente la predetta circostanza.

In relazione alla censura afferente il profilo motivazionale della VIA, il Collegio condivide sicuramente il principio secondo cui l’istruttoria deve essere esaustiva e completa, nel senso che l’Amministrazione procedente deve acquisire tutti i dati e le informazioni necessarie al fine del decidere e darne, poi, conto nella decisione adottata.

Ciò detto, il Collegio non ritiene, però, che la condizione che prescrive l’acquisizione "dal Comune, ai sensi del comma 5 art. 38 delle Norme del PTPR," della certificazione che "confermi l’estensione (4.300 mq) di area boscata…" – riportata nel provvedimento impugnato – possa comportare "contraddittorietà".

Ciò che essenzialmente rileva è, infatti, la sufficienza dei presupposti di fatto posti alla base della decisione assunta: ove tale sufficienza sussista, come nel caso in esame, la prescrizione dell’acquisizione di ulteriori documenti non può che assumere carattere precauzionale (come, del resto, sostenuto dalle parti resistenti).

In altri termini, in tutti i casi in cui l’indagine espletata dall’Amministrazione si profili consona a dimostrare l’avvenuta acquisizione delle informazioni necessarie ai fini del decidere, la previsione di condizioni del tipo di quella in discussione si pone – al più – su di un piano procedimentale e, precisamente, costituisce un mero "surplus" – originato precipuamente dall’esigenza di porre in essere ogni attività utile per evitare qualsiasi ipotesi di responsabilità civile – inidoneo, in quanto tale, ad inficiare la legittimità del provvedimento impugnato.

In definitiva, anche nel rispetto dei principi di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, l’illegittimità di un provvedimento amministrativo non può essere desunta dalla mera prescrizione di una condizione, salvo che quest’ultima si profili idonea a dimostrare una carente istruttoria, ma tale ipotesi – come già detto – nel caso in esame non ricorre (cfr. nota della Regione Lazio, Dipartimento Territorio, Area Conservazione Foreste del 10 giugno 2008, prot. n. 228296, già citata).

3.2. I ricorrenti denunciano, poi, violazione dell’art. 94 del d.lgs. n. 152 del 2006 e del d.g.r. n. 5817 del 14 dicembre 1999 nonché eccesso di potere sotto svariati profili in quanto – stante la presenza di un pozzo di acqua potabile nelle immediate vicinanze dell’area interessata dall’ampliamento della cava – la Regione Lazio avrebbe operato in spregio del dovere di individuare "aree di salvaguardia" (la cui necessità risulta, tra l’altro, dalla predetta riconosciuta nella nota del 13 novembre 2009, prot. n. 235230).

Al pari delle precedenti, anche tale censura non è meritevole di condivisione.

Al riguardo, è opportuno precisare che le previsioni sopra indicate riguardano la "disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano".

Più specificamente, prescrivono l’individuazione di aree di salvaguardia "per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse", imponendo, tra l’altro, il divieto di aprire cave "che possono essere in connessione con la falda" nelle c.d. "zone di rispetto" (individuate nella "porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata").

Appare, pertanto, evidente che l’operatività di tali prescrizioni presuppone la presenza di acque destinate al consumo umano.

Preso atto che nel caso in esame il presupposto di cui sopra risulta carente e che di tale carenza è data, tra l’altro, evidenza nel provvedimento impugnato attraverso il riferimento alla "dismissione" del pozzo di Torre Alfina, diviene doveroso concludere nel senso che le prescrizioni in argomento non possono trovare applicazione.

In ogni caso, le censure – per come formulate – impongono di esaminare la questione anche sotto ulteriori profili.

Sulla falsariga della censura oggetto di esame in precedenza, i ricorrenti denunciano, infatti, difetto di istruttoria, ricollegandolo alla condizione – riportata nel provvedimento impugnato – afferente la verifica da Talete, indicato come "gestore", della "dimissione in via definitiva" del pozzo; nel contempo, adducono l’erroneità del presupposto, in quanto il pozzo sarebbe non "dismesso" ma solo "non in uso".

Per quanto attiene il primo dei profili sopraindicati, il Collegio ritiene sufficiente richiamare quanto già esposto in precedenza in ordine alla previsione di una mera condizione, ricollegando – in questo caso – la sufficienza dell’istruttoria alle comunicazioni in data 5 dicembre 2008 e poi in data 24 novembre 2009 – risalenti, dunque, ad epoca antecedente all’adozione del provvedimento impugnato – con cui la Talete ha rappresentato dapprima che il pozzo è stato disattivato e poi che il pozzo è stato posto "fuori servizio".

In relazione all’utilizzo, invece, dell’espressione "dismissione" non ravvisa elementi utili per riscontrare l’illegittimità denunciata, atteso che il riferimento al fuori servizio, collegato all’esclusione anche in futuro dell’utilizzo dell’acqua del pozzo "per uso potabile" (cfr. nota Talete del 24 novembre 2009), ben vale ad escludere la destinazione al consumo umano, invece richiesta dall’art. 94 in argomento.

Per completezza, non va dimenticato che la disciplina di cui trattasi richiede – al fine dell’individuazione di aree di salvaguardia – la sussistenza anche di ulteriori condizioni, quale, ad esempio, la connessione tra la cava e la falda.

Al riguardo, nulla è detto nel provvedimento impugnato sicuramente in ragione della prevalenza accordata alla dismissione del pozzo.

In ogni caso, si tratta di elementi rilevanti sotto il profilo sostanziale, in quanto atti a determinare l’inoperatività delle prescrizioni in argomento.

Posto che detti elementi risultano posti in evidenza in termini favorevoli alla controinteressata dalla Regione Lazio nella nota del 3 settembre 2009, prot. n. 169474, gli stessi elementi – pur se non considerati nel provvedimento e, quindi, nel ricorso – sicuramente avallano la correttezza dell’operato della Regione.

3.3. I ricorrenti insistono sul difetto di istruttoria, adducendo che l’Amministrazione non ha tenuto conto dell’effettivo stato dei luoghi, mutato nel tempo ad opera di attività illegittime poste in essere dalla controinteressata.

Tale censura è priva di giuridico pregio in quanto generica, atteso che non evidenzia – in termini specifici – la rilevanza di tali attività in relazione all’ampliamento della cava richiesto dalla controinteressata.

In ogni caso, la censura de qua è infondata, tenuto conto che – come evidenziato anche dalla Regione Lazio e dalla controinteressata – l’area che risulta interessata da dette attività – così come individuata dal Corpo Forestale dello Stato, in esito a sopralluoghi (cfr. documenti allegati al ricorso) – riguarda particelle che non si identificano con quelle su cui è previsto l’ampliamento.

3.4. In ultimo, i ricorrenti affermano superficialità nell’operato dell’Amministrazione, atteso che – in ragione della segnalazione della presenza di una specie di interesse comunitario, la c.d. Salamandra con gli occhiali, "in un territorio non protetto al confine con la porzione sud ovest della Riserva naturale Monte Rufeno", comportante l’obbligo di rilasciare una fascia di rispetto di almeno 10 mt. su ogni sponda dei fossi presenti nel comprensorio boscato tra la strada per Torre Alfina e i tre fossi Subissone, Riso e Bagnolo – è stata chiesta di valutare l’incidenza della cava sui SIC e ZPS limitrofi ma di ciò non vi è traccia nel provvedimento impugnato.

Anche tale censura non può essere condivisa in quanto inequivocabilmente generica, posto che non chiarisce se la cava investa o meno la fascia di rispetto di cui sopra o, comunque, si presti o meno a comportare conseguenze negative per la specie in questione.

In ogni caso, la controinteressata ha adeguatamente replicato, richiamando la nota con la quale, in data 6 novembre 2007, il Corpo Forestale dello Stato ha escluso "che zone di interesse comunitario e di protezione speciale ricadano all’interno del progetto di ampliamento della cava".

Del resto, è sufficiente esaminare la documentazione prodotta dai ricorrenti per constatare che anche i sopralluoghi da quest’ultimi menzionati non riguardano l’area interessata dall’ampliamento della cava.

3.5. Per le ragioni sopra illustrate, il ricorso introduttivo del presente giudizio è infondato.

4. Come riportato nella narrativa che precede, con i I motivi aggiunti i ricorrenti impugnano il provvedimento della Regione Lazio, Dipartimento Economico Occupazionale, Direzione Centrale attività produttive, dell’8 febbraio 2010, prot. n. 21654, con cui è stata data comunicazione che "in data 20 gennaio 2010 si è riunita la Commissione Regionale Consultiva per le attività estrattive (C.R.C.) per esprimere il parere previsto dall’art. 31 della L.R. n. 17/2004, in merito all’istanza di ampliamento della cava presentata dalla G.S. S.a.s., ed all’esito dell’esame della documentazione presentata la CRC ha espresso parere favorevole….".

Con detti motivi i ricorrenti si limitano a riproporre le censure formulate con il ricorso introduttivo.

Ciò detto, il Collegio ritiene i motivi in questione infondati per le ragioni già indicate, le quali sono da intendersi integralmente richiamate.

5. In seguito, i ricorrenti hanno proposto II motivi aggiunti, diretti a contestare la legittimità del provvedimento del Comune di Acquapendente del 12 novembre 2010, avente ad oggetto "Autorizzazione per ampliamento attività estrattiva località le Greppe".

Anche tali motivi sono infondati.

5.1. Ai fini dell’annullamento, i ricorrenti deducono "illegittimità autonoma" per violazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.

In particolare, sostengono che – avendo il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali comunicato al Comune di Acquapendente l’avviso di avvio del procedimento avente ad oggetto "Altopiano dell’Alfina" Ampliamento del vincolo "Monte Rufeno e Valle del Paglia" con fax dell’11 novembre 2010 – erano operanti le misure di salvaguardia e, dunque, la Giunta Comunale non poteva approvare la convenzione di ampliamento.

Tale censura non è meritevole di condivisione per due ordini di ragioni:

– la legge e, precisamente, l’art. 139 del d.lgs. n. 42 del 2004 – dopo aver stabilito l’obbligo di pubblicazione della proposta di notevole interesse pubblico all’albo pretorio – è chiaro nel precisare che gli effetti di cui all’articolo 146, comma 1, invocato dai ricorrenti, decorrono "dal primo giorno di pubblicazione". Trattandosi di una disposizione limitatrice delle facoltà di utilizzo di beni e, dunque, restrittiva del diritto di proprietà, l’interpretazione della stessa non può che essere strettamente aderente al dato letterale, con esclusione – quindi – di interpretazioni estensive o, comunque, ampliative. Ciò detto, appare evidente che la mera comunicazione di un fax è cosa ben diversa dalla "pubblicazione" e non può certo essere a quest’ultima equiparata e, pertanto, a comunicazioni di tal genere non possono essere riconosciuti gli stessi effetti che la legge attribuisce alla pubblicazione;

– in ogni caso, il fax comunicato in data 11 novembre 2010 al Comune di Acquependente riportava sì la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico ma priva delle planimetrie. In definitiva, tale fax riportava una dichiarazione non conforme all’art. 139 di cui sopra. Tale carenza ha valore non solo formale ma sostanziale, atteso che soltanto le planimetrie consentono di individuare con certezza l’area e gli immobili che costituiscono oggetto della proposta de qua.

In definitiva, non sussiste alcuna violazione dell’art. 146 in argomento, atteso che:

– il provvedimento impugnato risale al 12 novembre 2010;

– la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico è stata pubblicata all’albo pretorio in epoca successiva e precisamente in data 20 novembre 2010, con la conseguenza che alla data di adozione del provvedimento impugnato le misure di salvaguardia non erano ancora operanti e, dunque, non può essere lamentata la violazione delle stesse.

5.2. In via subordinata, i ricorrenti denunciano la violazione da parte del Comune del "rapporto di leale collaborazione tra amministrazioni", sostenendo che il ricevimento del fax avrebbe imposto al predetto "di esimersi dall’emanare qualsiasi provvedimento in grado di alterare lo stato dei luoghi".

Anche tale doglianza non può trovare positivo riscontro.

Ancorché piena operatività debba essere riconosciuta al rapporto di collaborazione tra le amministrazioni, il Collegio ritiene, infatti, che tale rapporto non possa essere richiamato nei casi in cui sussista un procedimento amministrativo che – specie perché ormai iniziato da lungo tempo – impone una pronta definizione.

Non sfuggirà – del resto – all’attenzione la circostanza che, nei casi del tipo di quello in esame, sussistono interessi contrapposti, ossia:

– l’interesse privato ad ampliare l”attività economica mediante la positiva definizione del procedimento all’uopo avviato;

– l’interesse pubblico alla salvaguardia dei luoghi, specie se riconosciuti meritevoli di salvaguardia dagli interventi dell’uomo.

Ciò detto, il Collegio ritiene che l’interesse pubblico alla salvaguardia dei luoghi debba essere tutelato nei termini voluti dal legislatore, ossia nei limiti imposti dall’art. 146 di cui sopra, e che, dunque, il richiamo di altri principi e/o valori – come la leale collaborazione – non possa valere ad introdurre limitazioni ulteriori, incidenti sulla pronta definizione del procedimento amministrativo, pena anche l’attivazione da parte del privato di azioni di responsabilità civile.

In ogni caso, il Comune di Acquependente ha dimostrato di non aver trascurato la proposta di vincolo inviata via fax, atteso che ha autorizzato l’ampliamento solo per il primo lotto – di estensione minore ed immediatamente adiacente alle aree autorizzate – e per un solo anno, subordinando l’autorizzazione per cinque anni alla compatibilità con "l’eventuale vincolo paesaggistico".

In sintesi, non si ravvisano elementi per affermare che il suddetto Comune abbia agito in "mala fede".

5.3. In via autonoma, i ricorrenti denunciano ancora che il Comune avrebbe mal operato in quanto non avrebbe previamente verificato che "le condizioni, in base alle quali era subordinato il rilascio del parere positivo VIA, fossero state accertate" e, quindi, per difetto di istruttoria.

In linea con i rilievi del Comune di Acquapendente e della controinteressata, tale censura si presenta generica.

In ogni caso, la censura de qua è infondata perché – scendendo nel particolare e, dunque, considerando le condizioni riportate nella VIA non propriamente attinenti alla fase di esecuzione dell’escavazione – le condizioni in questione risultano tutte rispettate (in particolare, risulta acquisita la certificazione del Comune in data 17 dicembre 2009 che conferma l’estensione dell’area boschiva e risulta verificata – con lettera della Talete risalente anche a data antecedente la VIA – la dismissione del pozzo).

5.4. In ultimo, i ricorrenti richiamano una sentenza del TAR Umbria – la n. 827 del 2009 – al fine di affermare sostanzialmente l’obbligo per l’Amministrazione di seguire una linea prudenziale e, quindi, di astenersi dall’emanare qualsiasi provvedimento in presenza anche di un solo dubbio "che l’attività estrattiva possa produrre trasformazioni rilevanti ed irreversibili, con effetti pregiudizievoli per l’ambiente".

Tale riferimento non appare consono, in quanto:

– l’attività istruttoria espletata ai fini del rilascio dell’autorizzazione si rivela adeguata e, comunque, non lascia trasparire dubbi in ordine al possibile realizzarsi di trasformazioni del tipo di quelle sopra indicate (ossia rilevanti ed irreversibili), specie a seguito degli accertamenti effettuati in virtù del posizionamento dei piezometri;

– come giustamente rilevato anche dal Comune di Acquependente, il caso esaminato dal TAR Umbria era – comunque – diverso, riguardando uno scavo di ben 40 mt., mentre nel caso in trattazione lo scavo è pari a 15 mt..

In ultimo, non può essere sottaciuto che – in verità – tale censura ripropone il problema delle falde acquifere già esaminato e definito in sede di VIA e, dunque, si profila tardiva.

5.5. Nel prosieguo, i ricorrenti denunciano l’illegittimità derivata del provvedimento di autorizzazione, ricollegandola all’illegittimità della VIA e, dunque, riproponendo le censure già formulate con il ricorso introduttivo.

Al riguardo, il Collegio ritiene le censure de quae infondate per le ragioni indicate in precedenza, da intendersi integralmente richiamate.

6. In conclusione, il ricorso va respinto.

Tenuto conto delle peculiarità che connotano la vicenda in esame, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1885/2010, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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