Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-07-2011) 25-10-2011, n. 38716

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – T.F. è stato tratto a giudizio immediato per rispondere dei delitti di: a) tentato omicidio in pregiudizio di A.A., ex artt. 81, 56 e 575 c.p.; b) furto nell’abitazione di campagna della predetta A., ex art. 625 bis c.p., aggravato ex art. 61 c.p., nn. 2 e 5; c) danneggiamento aggravato dell’autovettura e dell’abitazione della stessa A., ex art. 81 c.p., art. 635 c.p., comma 1 e comma 2, nn. 1 e 3, in relaz. all’art. 625 c.p., n. 7, d) minaccia ai danni della medesima, ex art. 612 c.p., commi 1 e 2.

In fatto, secondo l’accusa, era accaduto che, nel pomeriggio del (OMISSIS), il T., che già in passato aveva avuto dei diverbi con la vicina di casa A. A., postosi alla guida della propria auto, era entrato nel giardino dell’abitazione della vicina, passando attraverso uno dei cancelli d’ingresso, ed era andato ad impattare contro l’auto della donna, colà parcheggiata. Sul posto, oltre all’ A., si trovavano B.D. e G.A. che, all’ingresso dell’auto nel giardino, si erano dati a precipitosa fuga per evitare di essere travolti dal veicolo.

La notte successiva, la A. aveva ricevuto numerose telefonate, alle quali non aveva risposto, avendo notato dal display dell’apparecchio che le chiamate provenivano dal telefono del T.. La mattina dell'(OMISSIS) la donna aveva ricevuto altra chiamata, alla quale aveva risposto, dall’apparecchio del T. che, in tale occasione, l’aveva minacciata e le aveva comunicato di averle distrutto la casa di campagna di (OMISSIS). Recatasi nuovamente a (OMISSIS), l’ A. aveva avuto modo di constatare che l’immobile di cui era proprietaria aveva subito danni rilevanti sia all’interno che all’esterno e che alcuni attrezzi di lavoro che colà si trovavano erano stati sottratti. Attrezzi poi rinvenuti nella limitrofa abitazione dell’imputato e riconosciuti dalla stessa A. come propri.

In ordine ai fatti contestati, l’imputato aveva ammesso le proprie responsabilità solo con riguardo al delitto di danneggiamento e si era, per il resto, dichiarato innocente.

2- Con sentenza del 23 dicembre 2009, il Tribunale di Forlì ha dichiarato il T. colpevole dei delitti contestati e – esclusa, quanto al delitto descritto sub capo b), l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 e, quanto al delitto sub c), l’aggravante di cui all’art. 635 c.p., comma 2, n. 1, riconosciuta l’attenuante del vizio parziale di mente con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti ed alla recidiva contestate, ritenuta la continuazione tra i reati – lo ha condannato alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione nonchè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, An.As. e B.R., alle quali sono state assegnate delle provvisionali. Lo stesso giudice ha disposto che, a pena espiata, l’imputato fosse sottoposto alla misura di sicurezza detentiva del ricovero in casa di cura e di custodia per il periodo minimo di un anno.

3- Su appello proposto dal T., la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 9 dicembre 2010, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha assolto l’imputato dal delitto di tentato omicidio (ex art. 530 c.p.p., comma 2) perchè il fatto non sussiste ed ha rideterminato la pena in anni quattro di reclusione e Euro 600,00 di multa, con conferma, nel resto, della sentenza impugnata.

4 – Avverso tale decisione ricorre l’imputato, che deduce:

A) Violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto: a) di responsabilità in ordine al delitto di furto contestato, affermata pur in assenza di prova valida; b) di mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2;

B) mancata assunzione di prova decisiva e assenza di motivazione sulla relativa richiesta, in relazione alla mancata audizione di S.A., conoscitore dei luoghi, il quale avrebbe potuto fornire elementi utili alla ricostruzione dei fatti;

C) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità in ordine al delitto di minaccia, affermata in assenza di prove, ed alla ritenuta aggravante;

D) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti sulla recidiva e sulle aggravanti contestate;

E) Violazione di legge, laddove la Corte territoriale ha confermato la durata di un anno della misura di sicurezza detentiva applicata dal primo giudice, senza considerare che, a seguito dell’intervenuta assoluzione dell’imputato dal delitto di tentato omicidio, tale durata avrebbe dovuto essere indicata in mesi sei, ex art. 219 c.p.p., comma 3;

F) Mancata assunzione di prova decisiva, rappresentata dalla perizia, redatta nell’ambito di altro procedimento, che attestava l’assenza di pericolosità sociale dell’imputato.

Con memoria successivamente prodotta presso la cancelleria di questa Corte, l’imputato ha ribadito le censure proposte con l’atto d’impugnazione.

Motivi della decisione

1- Il ricorso è infondato.

A) Insussistenti sono i vizi motivazionali dedotti con i primi dei motivi proposti. a) Con riguardo al delitto di furto, la Corte territoriale, dopo attento esame degli elementi probatori acquisiti, ha ribadito la responsabilità dell’imputato, motivando le ragioni del proprio dissenso, rispetto alle tesi difensive, in termini di assoluta coerenza logica. In particolare, la stessa Corte ha rilevato come l’ A., recatasi nella casa di campagna di (OMISSIS) per verificare la veridicità di quanto comunicatole dall’imputato circa i danni dallo stesso procurati all’abitazione, avesse avuto modo di constatare, oltre ai gravi danni subiti dall’abitazione, la scomparsa degli attrezzi (un martello, un’ascia, una catena, dei cacciavite ed altri oggetti) che fino alla sera precedente si trovavano nella cantina della casa. Attrezzi poi rinvenuti nell’abitazione dell’imputato e riconosciuti dalla A. come propri.

Le dichiarazioni della parte offesa, peraltro, ha ancora rilevato il giudice del merito, sono state confermate dai testi G. e B., che hanno riconosciuto quegli attrezzi come quelli di proprietà della donna. Ulteriori elementi di conferma della fondatezza dell’accusa, lo stesso giudice ha giustamente rinvenuto nella presenza, sull’ascia, di tracce dello stesso colore verde del portone dell’ A. e nel rinvenimento, nascosti all’interno di un porta ombrelli, di taluni degli arnesi trafugati, tra cui un martello ed un bastone di ferro con frammenti di polistirolo (come quello presente nel rivestimento esterno dell’abitazione della persona offesa) e schegge di vetro.

Non ha omesso la Corte territoriale di esaminare le argomentazioni difensive (laddove è stata segnalata come illogica la tesi che l’imputato avesse danneggiato l’esterno della abitazione con un oggetto – l’ascia – rinvenuta all’interno della stessa), alle quali ha opposto che sulla porta d’ingresso vi erano evidenti tracce di effrazione, segno che la stessa era stata forzata, di guisa che doveva ritenersi che, dopo essere penetrato nell’abitazione, l’imputato avesse continuato all’esterno l’opera di devastazione utilizzando l’ascia rinvenuta all’interno della stessa.

L’iter argomentativo della sentenza impugnata si presenta, dunque, esaustivo e coerente sul piano logico, e dunque esente da censure. b) Anche con riguardo al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 la decisione impugnata non presenta i vizi dedotti dal ricorrente.

Il giudice del gravame, invero, nel rispetto della normativa di riferimento e con motivazione del tutto coerente sul piano logico, ha indicato le ragioni per le quali non poteva essere riconosciuta l’invocata attenuante (l’imputato ha sostenuto di essere stato aggredito con un bastone dall’ A. che gli aveva provocato delle lesioni), richiamando, da un lato, i tempi e le equivoche modalità di presentazione della querela avente ad oggetto la presunta aggressione (presentata, dopo qualche ora, non ai Carabinieri del posto, che erano già stati informati di quanto accaduto all’ A., ma alla polizia del capoluogo), dall’altro, la incompatibilità delle lievi lesioni alla fronte lamentate dal T. e dei danni al vetro della sua auto con un’aggressione con un bastone (sarebbe stato impossibile, secondo il coerente argomentare dei giudici del merito, colpire con un bastone la fronte di un uomo seduto all’interno di un’auto, dove l’aggressione sarebbe avvenuta); lesioni e danni viceversa pienamente compatibili con i ripetuti e violenti impatti dell’auto dell’imputato contro la vettura dell’ A..

La tesi della presunta aggressione, d’altra parte, hanno soggiunto gli stessi giudici, è stata smentita dai testi G. e B., presenti ai fatti; circostanza che, aggiunta alle precedenti considerazioni, ha legittimamente indotto la Corte territoriale a ritenere la denunciata aggressione come un espediente preordinato a contenere le conseguenze della condotta criminosa posta in essere dall’imputato.

B) Infondato è, altresì, il terzo motivo di ricorso, con il quale si censura la mancata assunzione della testimonianza di S. A., e la mancanza di motivazione sul punto.

In proposito, invero, occorre rilevare che, se è vero che la testimonianza dello S. era stata proposta nei motivi d’appello anche con riguardo al delitto di furto, è anche vero che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte, il giudice d’appello è tenuto a motivare sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso in cui ritenga di accedere alla richiesta di integrazione probatoria, mentre al rigetto della stessa può anche pervenire attraverso una motivazione implicita, evidenziando la presenza di un quadro probatorio esauriente e definito, non bisognevole di ulteriori approfondimenti (Cass. nn. 40496/09, 47095/09, 24294/10). Come deve ritenersi essere avvenuto nel caso di specie, alla luce dell’ampio e significativo contesto probatorio acquisito e dell’attenta valutazione dello stesso da parte dei giudici del merito.

Il motivo proposto, peraltro, si presenta generico e vago a fronte della messe di elementi probatori indicati dagli stessi giudici che hanno, del resto, richiamato la presenza nella abitazione non di "utensili e similari", della cui presenza in casa del T. lo S. avrebbe potuto testimoniare, ma degli oggetti specificamente individuati e riconosciuti appartenere all’ A.;

mentre non si chiarisce in che termini, e con riguardo a quale circostanza, lo stesso S. avrebbe potuto fornire "ampio aiuto nella contestazione della ricostruzione storica effettuata dal collegio del Tribunale di Forlì e confermata dalla Corte d’Appello". C) Analoga infondatezza presenta il quarto motivo di ricorso, con il quale viene contestata l’affermazione di responsabilità quanto al delitto di minacce ed alla ritenuta aggravante.

Anche con riguardo a tale delitto, invero, i giudici del merito hanno fornito coerenti argomenti a sostegno della tesi d’accusa fondata, oltre che sulle precise dichiarazioni della persona offesa – legittimamente ritenute attendibili anche perchè riscontrate dalle dichiarazioni di B.R., figlio della persona offesa, al quale costei aveva immediatamente riferito delle minacce ricevute, e dalle annotazioni contenute negli appunti manoscritti prodotti – dallo stesso contesto degli avvenimenti che hanno preceduto e seguito le telefonate minatorie (il proditorio ed aggressivo ingresso dell’imputato, a bordo della propria auto, nel cortile dell’abitazione ed il danneggiamento dell’aiuto dell’ A., il successivo danneggiamento dell’abitazione della stessa). Avvenimenti, pacificamente accertati, ritenuti giustamente sintomatici di uno stato d’animo alterato e rancoroso, tale da rendere del tutto verosimile il ricorso, da parte dell’imputato, alle telefonate minatorie.

Quello stesso contesto, d’altra parte, e le modalità delle condotte accertate, ampiamente rivelano la gravità delle minacce ed il conseguente grave turbamento che le stesse hanno determinato nella persona offesa.

D) Non presenta vizio alcuno la decisione di ritenere equivalente all’aggravante ed alla recidiva l’attenuante di cui all’art. 89 c.p..

In proposito, il giudice del gravame, oltre a rappresentare l’impossibilità, alla stregua del disposto dell’art. 69 c.p., di ritenere la richiesta prevalenza, in presenza di una recidiva reiterata, solo assertivamente contestata dal ricorrente, ha aggiunto che, in ogni caso, la gravità dei fatti e dell’opera persecutoria condotta nonchè la negativa personalità dell’imputato impedivano un più favorevole giudizio di comparazione. Considerazioni del tutto coerenti e condivisibili, sulle quali nulla ha osservato il ricorrente.

E) Manifestamente infondato è il motivo riguardante la durata della misura di sicurezza detentiva imposta. Tale durata, invero, è prevista dalla legge, con riguardo ai delitti per i quali l’imputato è stato condannato, per un tempo "non inferiore a sei mesi".

Proposizione che, evidentemente, vieta al giudice di indicare una durata inferiore, ma gli consente di individuarne una maggiore, come legittimamente ha deciso, nel caso di specie, la Corte territoriale.

La durata delle misure di sicurezza, d’altra parte, non è mai condizionata dalla decisione del giudice del fatto, posto che i termini dallo stesso indicati possono essere variati, in più o in meno, nel corso dell’esecuzione della misura, in relazione alle variazioni, in positivo o in negativo, che si registrano nella condotta e nella personalità del soggetto.

F) Manifestamente infondato è, infine, anche l’ultimo dei motivi di ricorso, con il quale si contesta la mancata assunzione di una prova decisiva, rappresentata dalla perizia, disposta nell’ambito di altro procedimento, che attesta l’assenza attuale di pericolosità sociale dell’imputato. In realtà, il giudice del gravame non ha omesso di considerare i giudizi espressi, in tema di pericolosità sociale da altro perito in altro procedimento penale ed ha legittimamente ritenuto di doverli disattendere e di valorizzare il diverso giudizio espresso dal perito nell’ambito del presente procedimento.

Opportunamente, peraltro, lo stesso giudice ha rilevato come l’applicazione e la durata della misura dipenderanno dall’osservazione dell’imputato durante la detenzione e dalla verifica, al momento opportuno, della persistenza o meno della pericolosità sociale in capo allo stesso.

2- Il ricorso deve essere, in definitiva, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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