Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-07-2011) 25-10-2011, n. 38715

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1- A.F. propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, del 21 giugno 2010, che ha confermato la sentenza del tribunale della stessa città, del 3 ottobre 2007, che lo ha ritenuto colpevole del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, in pregiudizio di M.E., che stava attraversando la strada nei pressi di un passaggio pedonale, e lo ha condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante contestata, alla pena (sospesa alle condizioni di legge) di mesi otto di reclusione, con sospensione della patente di guida per il periodo di quattro mesi.

Secondo l’accusa, condivisa dai giudici del merito, l’imputato, trovandosi alla guida della propria auto, per colpa generica e specifica, consistente, quest’ultima, nella violazione degli artt. 141 e 142 C.d.S., avendo tenuto una velocità non adeguata alle condizioni di luogo e di tempo (prossimità di un passaggio pedonale, ora notturna, scarsa illuminazione) ed una condotta di guida disattenta, non essendosi accorto della presenza del pedone, e non avendo posto in essere un’efficace manovra diretta ad evitare lo scontro, lo ha investito provocando allo stesso gravi lesioni rivelatesi mortali.

Nel ricostruire i fatti, la corte territoriale, richiamate le argomentazioni e le conclusioni rassegnate dal perito – incaricato dal primo giudice, in considerazione della diversità di giudizi espressi dai consulenti delle parti, di accertare le modalità dell’incidente e le relative responsabilità – ha rilevato che, al momento dello scontro, l’auto viaggiava ad una velocità posta tra i 40 ed i 65 km. orari e che il pedone stava attraversando la sede stradale da sinistra verso destra, rispetto alla direzione di marcia del veicolo. Circostanza, quest’ultima, ritenuta certa in considerazione, oltre che delle argomentazioni di natura tecnica svolte dal perito, anche dalla circostanza che proprio sulla sinistra, rispetto al richiamato senso di marcia, si trovava l’abitazione della vittima che, data l’ora (le cinque del mattino), era appena uscita da casa per recarsi al lavoro. Tale ricostruzione, inoltre, non è stata ritenuta in contrasto con la localizzazione delle ferite riscontrate sul corpo della vittima nè con i danni rilevati sul veicolo investitore, nè con la posizione finale assunta dallo stesso veicolo dopo lo scontro. Ha escluso, altresì, la stessa corte che potesse addebitarsi al pedone un qualsiasi profilo di colpa.

2 – Avverso tale sentenza ricorre, dunque, l’ A. che deduce:

a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo dell’assenza, illogicità e contraddittorietà della stessa, in punto di affermazione della responsabilità. Lamenta, anzitutto, il ricorrente che il giudice del gravame si sia limitato al mero richiamo, per relationem, alla sentenza di primo grado ed alle conclusioni del perito, senza affrontare le considerazioni tecniche dedotte nei motivi d’appello, e comunque senza indicare le ragioni della non condivisione degli stessi;

b) Violazione di legge, laddove il giudice del gravame, invece di determinare, come chiesto dall’imputato nei motivi d’appello, la misura del concorso di colpa rilevato dal primo giudice, ha escluso qualsiasi ipotesi di concorso, in violazione del principio devolutivo dell’impugnazione, stabilito dall’art. 597 c.p.p., comma 1 posto che il tema del concorso di colpa dalla vittima non era stato oggetto d’impugnazione.

Conclude, quindi, il ricorrente, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Con motivo personalmente proposto, l’imputato deduce violazione di legge per inosservanza degli artt. 171, 177, 178 e 179 c.p.p., in relazione all’omessa notifica allo stesso dell’avviso di cui all’art. 601 c.p.p..

Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte, la parte civile M.M. contesta la fondatezza del ricorso, del quale chiede dichiararsi l’inammissibilità, ovvero il rigetto, con conferma dell’assenza di concorso di colpa della vittima.

Motivi della decisione

1 – Il ricorso è infondato, essendo certamente inesistenti i dedotti vizi motivazionali, alla luce delle coerenti argomentazioni poste dai giudici del merito a sostegno della sentenza impugnata.

Deve, in proposito, anzitutto osservarsi che questa Corte ha costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorchè il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l’iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata. Il vizio è altresì ritenuto presente nell’ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.

Orbene, nel caso di specie le censure mosse dall’imputato, in buona parte riproponenti questioni già poste all’attenzione dei giudici del merito, si rivelano, in realtà, quali astratte enunciazioni critiche nella denuncia di pretese carenze di motivazione della sentenza impugnata che, viceversa, presenta una struttura argomentativa adeguata e coerente sotto il profilo logico, del tutto in sintonia con gli elementi probatori acquisiti.

Riprendendo le linee argomentative tracciate dal primo giudice a sostegno della propria decisione, legittimamente e correttamente richiamate, i giudici del gravame hanno esaminato ogni questione sottoposta al loro giudizio e, dopo avere ricostruito i fatti, hanno adeguatamente motivato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle argomentazioni ed osservazioni dell’appellante ed hanno ribadito che l’incidente del quale è rimasto vittima il M. era stato causato dall’imprudente e disattenta condotta di guida dell’imputato.

In particolare, gli stessi giudici hanno ribadito, richiamando le osservazioni e le conclusioni rassegnate dal perito, che il pedone è stato investito dall’auto condotta dall’imputato mentre stava attraversando la strada, procedendo da sinistra verso destra rispetto al senso di marcia del veicolo e quando era ormai giunto al centro della carreggiata; avendo quindi avuto l’imputato tutto il tempo di scorgerlo e di evitare lo scontro, sol che avesse proceduto con la necessaria prudenza e con la dovuta attenzione.

Nel pervenire alla contestata decisione, il giudice del gravame non ha omesso di considerare le osservazioni svolte dall’appellante, in specie in ordine alla direttrice di marcia del pedone, ed ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto che tale direttrice fosse quella sopra indicata. Alla predetta conclusione lo stesso giudice è pervenuto considerando, alla stregua degli accertamenti peritali in atti, la tipologia e l’ubicazione sia delle lesioni subite dal pedone sia dei danni riportati dall’auto investitrice, ed inoltre alla stregua dell’ulteriore considerazione logica secondo cui, essendo l’incidente avvenuto alle sei del mattino, orario in cui la vittima raggiungeva il posto di lavoro, questa non poteva che sopraggiungere dalla sinistra, rispetto alla direttrice di marcia dell’auto, poichè proprio sul lato sinistro era sita l’abitazione dalla quale la stessa vittima era appena uscita.

Argomentazioni del tutto coerenti sul piano logico e pienamente condivisibili, alle quali il ricorrente oppone considerazioni che si caratterizzano per la loro improponibilità nella sede di legittimità, non solo perchè ripetitive di questioni già poste all’attenzione dei giudici del merito e dagli stessi compiutamente esaminate e definite con motivazione esente da vizi, ma anche perchè consistenti in valutazioni di mero fatto, non deducibili in detta sede.

B) Quanto al secondo dei motivi proposti, osserva la Corte che l’art. 597, comma 1, evocato dal ricorrente, prevede che l’"appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi".

Nel caso di specie, l’imputato aveva chiesto al giudice del gravame di determinare la misura del concorso di colpa rilevato dal primo giudice, in relazione a possibili riduzioni sia della pena inflitta in primo grado sia della provvisionale assegnata. Il "punto" oggetto dell’appello – il "devolutum" – era quindi costituito dalla individuazione della misura dell’incidenza causale sull’evento della condotta colposa attribuita dal primo giudice alla vittima.

Orbene, a tanto si è attenuta la corte territoriale che, rivalutati i fatti in termini parzialmente diversi da quelli indicati dal primo giudice – avendo ritenuto che il pedone aveva la precedenza assoluta nell’attraversamento della sede stradale, peraltro per buona parte già compiuto -, chiamata ad individuare la percentuale della colpa attribuibile al M., ha necessariamente dovuto affermare che in nessuna misura l’evento di cui lo stesso era rimasto vittima poteva essergli attribuito. La predetta corte, cioè, richiesta di quantificare in termini percentuali il grado di responsabilità attribuita dal giudice di primo grado alla vittima, altro non ha fatto, alla stregua della parzialmente diversa valutazione dei fatti e dei comportamenti delle persone coinvolte nell’incidente, che concludere nel senso che in nessuna misura l’evento poteva essere attribuito alla condotta della vittima.

Decisione necessariamente coerente rispetto alle convinzioni espresse in punto di conferma della responsabilità dell’imputato – oggetto di specifico motivo d’appello -, per nulla travalicante il "devolutum" Peraltro, occorre rilevare che l’individuazione, da parte del giudice di primo grado, di un contributo della vittima nella determinazione dell’evento, si presenta, oltre che sostenuta in termini assolutamente generici, del tutto residuale, giunta al termine di un’analisi diretta solo a sostenere la responsabilità dell’imputato, in realtà chiaramente diretta essenzialmente a giustificare il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante contestata. Residualità e genericità, quindi, che ancor più legittimo rendono l’intervento del giudice del gravame.

Nè potrebbe sostenersi, ed in effetti il ricorrente non lo afferma, che lo stesso giudice abbia, con la decisione contestata, violato il principio del divieto della reformatio in peius. Questa Corte, invero ha ripetutamente e condivisibilmente sostenuto che, laddove il primo giudice abbia affermato il concorso di colpa della persona offesa ed il solo imputato abbia proposto appello per sostenere la propria innocenza, il giudice del gravame è libero di rivalutare il grado della colpa fino a giungere ad affermare l’esclusiva responsabilità dell’imputato, purchè restino immutate la specie e la misura della pena inflitta, che costituiscono le parti della decisione certamente immutabili in pregiudizio dell’imputato esclusivo appellante (Cass. nn. 2722/90, 38976/09).

C) Infondata è anche la doglianza proposta personalmente dall’imputato.

In tema di notificazione all’imputato del decreto di citazione in appello, invero, questa Corte, anche a Sezioni Unite (rv. 229539), ha costantemente affermato il principio secondo cui la nullità assoluta ed insanabile prevista dall’art. 179 c.p.p., ricorre unicamente nel caso in cui la notifica della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato. Ha altresì affermato che detta nullità non ricorre, invece, nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione della notifica, nel qual caso la nullità deve ritenersi relativa e, riguardando un atto preliminare al dibattimento, deve essere eccepita nei termini previsti dall’art. 491 C.d.S..

Orbene, nel caso di specie è avvenuto che la notifica del decreto di citazione, pur non eseguita presso il domicilio eletto o dichiarato dall’imputato, è avvenuta ai sensi dell’art. 161, cioè presso lo studio del difensore di fiducia; con modalità, quindi che, in vista del rapporto fiduciario che intercorre tra difensore ed imputato, devono ritenersi in concreto certamente idonee a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato. Si sarebbe, quindi, nel caso di specie, in presenza di una nullità relativa che, non essendo stata eccepita, all’udienza di costituzione delle parti, dal difensore di fiducia, pur presente, ma solo con il ricorso davanti a questa Corte, deve ritenersi sanata.

2 – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese del presente di giudizio in favore della parte civile costituita, che si liquidano in complessivi Euro 2.150,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della parte civile costituita e liquida le stesse in Euro 2.150,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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