Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-04-2012, n. 6006

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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 163 del 27 marzo 2006 la Corte di appello di Trieste confermò la pronuncia di primo grado che aveva respinto, per difetto di prova degli elementi costitutivi, la domanda proposta da N. M. e N.E. di essere dichiarati proprietari per usucapione di due magazzini siti nel Comune di Gorizia intestati a G.L. e G.R.. Il giudice di secondo grado motivò la decisione affermando che gli attori non avevano fornito la prova del possesso, atteso che dalle risultanze probatorie era risultato che i magazzini erano da loro utilizzati come deposito a servizio di un locale commerciale detenuto a titolo di locazione.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 30 giugno e 4 luglio 2006 ricorrono N.M. e N.E., affidandosi a sei motivi, illustrati anche da memoria.

G.L. e G.R. resistono con controricorso.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 257 e 359 cod. proc. civ., lamentando che la Corte di appello non abbia accolto la richiesta degli appellanti di rinnovare l’audizione dei testi Z. e P., nonostante che le loro dichiarazioni presentassero irregolarità e contraddizioni. In particolare, la teste P. aveva effettivamente affermato che "i magazzini servivano al negozio", ma aveva altresì riferito di conoscere i luoghi fin dal 1970, mentre la locazione del negozio era cominciata solo nel 1979, con ciò dimostrando che l’occupazione dei magazzini era indipendente ed estraneo alla locazione del negozio. La Corte triestina ha inoltre violato anche l’art. 112 cod. proc. civ., laddove, riferendo, per avvalorare la propria tesi, che il negozio era fornito soltanto di un piccolo retrobottega, si era pronunciata su una questione che esulava dalla domanda.

Il secondo motivo di ricorso, denunziando omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per non avere accolto, senza adeguata motivazione, l’istanza degli appellanti di rinnovare l’audizione dei testi Z. e P. e per non avere considerato il contrasto tra le dichiarazioni rese da quest’ultimo teste e quanto riferito dal teste V., commesso del negozio dei N., che aveva dichiarato di non essere mai entrato nel magazzino e che tale locale non faceva parte del negozio.

I motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione obiettiva, sono entrambi inammissibili.

Tale conclusione si impone, in particolare, per le censure che contestano la valutazione delle dichiarazioni testimoniali, investendo esse apprezzamenti di fatto su cui il giudice territoriale ha ritenuto di formare il proprio libero convincimento. E’ noto, per contro, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali rispetto a quello espresso dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione, che, se dedotto, conferisce alla Corte di legittimità il potere di controllare, sotto il profilo logico-formale, l’esame e la valutazione dei fatti compiuta dal giudice del merito posti a base del proprio convincimento, non già quello di effettuare un nuovo esame ed una nuova valutazione degli stessi (Cass. n. 14972 del 2006;

Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002).

Sulla scorta di tali principi, va valutata anche la censura che contesta il mancato accoglimento dell’istanza di rinnovazione dell’audizione dei testi Z. e P., la quale involge una valutazione di mera opportunità che la legge riserva alla esclusiva competenza del giudice di merito e che, di conseguenza, non è censurabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 9322 del 2010; Cass. n. 11436 del 2002).

Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e art. 115 cod. proc. civ., lamentando che la Corte di appello abbia male valutato la testimonianza resa dal teste V., secondo cui il magazzino non faceva parte del negozio, affermazione che confermava l’indipendenza ed estraneità del primo dal locale negozio condotto in locazione.

Il quarto motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, assumendo che la deposizione del teste V. è stata valutata in modo insufficiente e contraddittorio.

Il terzo motivo va dichiarato inammissibile per le ragioni sopra esposte, in quanto investe apprezzamenti di fatto e quindi valutazioni che la legge sottopone al libero convincimento del giudice.

Il quarto motivo è invece infondato, avendo la Corte di merito fornito un’adeguata motivazione in ordine alla testimonianza del teste V., assumendo che la sua dichiarazione che "il magazzino non faceva parte del negozio" stava ad indicare il dato, del tutto pacifico, che due locali erano fisicamente separati, aggiungendo che da essa non poteva "certamente trarsi il pur minimo spunto per giungere alla del tutto arbitraria conclusione che a tale separatezza fisica dovesse corrispondere una diversità di titolo giuridico in forza del quale i N. abbiano avuto la disponibilità delle rispettive unità immobiliari".

Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg. e art. 815 cod. civ., lamentando che il giudice di appello abbia ritenuto che i magazzini fossero da identificarsi con gli accessori menzionati nel contratto di locazione del negozio, in contrasto con il criterio letterale di interpretazione dei contratti, nonchè con la stessa relazione tecnica del geom. Pe.Ma. e con la planimetria allegata al Piano Tavolare, da cui emergeva chiaramente che il termine accessori era riferibile esclusivamente ai due vani del negozio destinati a bagno e disimpegno.

Il motivo è inammissibile.

Il mezzo, che critica l’interpretazione fatta propria dalla Corte di appello del contratto di locazione del locale ad uso commerciale intercorso tra le parti, per come formulato, non rispetta il principio di autosufficienza, il quale impone al ricorrente per cassazione che denunzi l’erronea valutazione degli atti negoziali di trascriverne integralmente il testo, al fine di consentire a questa Corte, che, attesa la natura non processuale del vizio denunziato, non ha accesso diretto agli atti, di valutare la rilevanza e decisività della censura (Cass. n. 19044 del 2010; Cass. n. 4178 del 2007). Analoga conclusione merita il riferimento alla relazione tecnica, che pure il ricorso non riproduce. Tali mancanze sono di per se sufficienti a sancire l’inammissibilità della censura, non avendo la Corte facoltà di verificarne la fondatezza.

Il sesto motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte di merito abbia identificato, senza adeguata motivazione, i magazzini con gli accessori menzionati nel contratto di locazione del negozio.

Il motivo è infondato.

L’affermazione della Corte di merito secondo cui i magazzini oggetto di controversia andavano identificati proprio con gli accessori menzionati nel contratto di locazione del negozio appare infatti adeguatamente motivata mediante esplicito riferimento allo "stato dei luoghi" ed all’"intrinseco collegamento operativo tra l’attività commerciale esercitata nel negozio e la destinazione d’uso impressa ai magazzini", elementi che integrano ragioni di fatto del tutto coerenti in via logica con la conclusione accolta e adeguate a sorreggerla.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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