Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-07-2011) 25-10-2011, n. 38755

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza pronunziata in data 24 gennaio 2008, il GIP del Tribunale di Verbania dichiarava non luogo a procedere, ex art. 425 cod. proc. pen., nei confronti di S.P., in ordine al delitto di cui all’art. 140, art. 141, comma 3, art. 145 C.d.S., comma 1 e 589, commi 1 e art. 2 cod. pen – incidente avvenuto il (OMISSIS); evento mortale verificatosi in (OMISSIS) – in danno di Z.R., perchè il fatto non sussiste.

Assumeva il GIP che, in base all’accertata dinamica della collisione avvenuta tra il furgone condotto dall’imputato e la bicicletta con la quale la vittima, nel l’immettersi sulla SP n. (OMISSIS) provenendo dalla laterale via (OMISSIS) per svoltare a sinistra mentre l’impianto semaforico installato all’incrocio funzionava con luce lampeggiante gialla, doveva concludersi che il ciclista aveva omesso di arrestarsi al segnale di STOP, tagliando letteralmente la strada al furgone. Nè era possibile ritenere sussistenti, in esito agli atti di P.G. acquisiti, elementi atti a dimostrare qualsivoglia nesso causale tra l’evento mortale e la condotta di guida dell’imputato, solo presuntivamente qualificata dall’accusa, come imprudente e negligente. Nulla in particolare consentiva di ritenere che questi procedesse ad una velocità superiore al limite consentito di 50 km/orari. Ed anche l’impiego della massima diligenza esigibile dall’automobilista – modello nel verificare, preventivamente il sopraggiungere all’incrocio, di altri veicoli dalla strada laterale destra, senza diritto di precedenza e nell’adeguare la velocità ad una siffatta emergenza pur in astratto prevedibile, non avrebbe potuto scongiurare l’impatto con il velocipede.

Avverso la sentenza proponeva appello il Procuratore della Repubblica di Verbania invocando l’emissione del decreto di rinvio a giudizio dell’imputato.

Il Giudice di prime cure avrebbe compiuto, ad avviso dell’appellante, un’errata valutazione delle risultanze, con specifico riferimento all’esclusione di elementi atti a dimostrare che l’imputato, all’atto della collisione, procedesse a velocità non adeguata all’incrocio al quale stava approssimandosi; velocità che, risultando peraltro l’incrocio regolato da impianto semaforico a quell’ora funzionante solamente con luce gialla lampeggiante, non avrebbe potuto giudicarsi prudenziale anche se contenuta entro il limite massimo di 50 km./ orari stabilita per i centri abitati.

Dalla deposizione resa dall’unico teste oculare B.R. (trasportato sul furgone e collega di lavoro dell’imputato) era altresì emerso che questi,notando l’ostacolo che gli si stava parando dinanzi, aveva frenato e sterzato. Il che avrebbe dovuto indurre a ritenere che l’immissione del ciclista non era stata improvvisa e che quindi, ove il prevenuto avesse proceduto a velocità moderata o comunque prudenziale, avrebbe potuto con successo evitare l’impatto con il ciclista,attesa l’iniziale manovra di sterzata a sinistra, a tale scopo messa in atto.

E’ insegnamento costante della Suprema Corte in materia – sottolinea infine l’appellante – quello secondo cui il conducente, che impegna un incrocio godendo del diritto di precedenza, non è esonerato dall’usare la dovuta prudenza quanto alla regolazione della velocità, in vista di eventuali comportamenti illeciti od imprudenti di altri utenti della strada che non rispettino il "rosso" o che non rispettino l’obbligo di dare la precedenza.

Con missiva in data 6 dicembre 2010 il Presidente della 1 Sezione penale della Corte d’appello di Torino disponeva la restituzione degli atti al Tribunale di Verbania – Ufficio del GIP, ai fini del successivo inoltro a questa Corte, attesa l’inappellabilità delle sentenza di proscioglimento emesse ex art. 425 c.p.p., come sancita dall’art. 428 c.p.p., novellato con L. n. 46 del 2006.

Motivi della decisione

Giova premettere che l’udienza preliminare ha natura prevalentemente processuale essendo finalizzata, nonostante l’intervenuto ampliamento dei poteri officiosi attribuiti al giudice in materia di prova, ad evitare dibattimenti inutili anzichè ad accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Ciò è desumibile anche dalla lettera dell’art. 425 c.p.p., comma 3, ove è stabilito che il giudice pronunzia "sentenza di non luogo a procedere" anche quando gli elementi acquisiti risultano "insufficienti, contraddittorio comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio": per l’effetto il giudice, contemperando l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale ( art. 112 Cost.) con i criteri di economia processuale prescritti dall’art. 111 Cost. deve disporre per l’ulteriore corso processuale anche se si trova in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori i quali però risultino destinati, con ragionevole previsione, ad essere chiariti ed integrati in dibattimento. La pronunzia della sentenza di non luogo a procedere deve quindi ritenersi legittima nel solo caso in cui ricorra una situazione di innocenza dell’imputato tale da apparire non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente l’art. 425 c.p.p., comma 3, "gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio". Siffatta disposizione altro non è se non la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì – pur in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell’eventualità del dibattimento) – l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio (cfr. Sez 5 n. 22864 del 2009; Sez. 4 n. 13163 del 2008; Sez. 4 n. 47169 del 2007; Sez. 2 n. 35178 del 2008). Ergo, secondo il consolidato indirizzo interpretativo delineatosi nella giurisprudenza di questa Corte, circa la portata normativa dell’art. 425 c.p.p., comma 3 nel testo modificato dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 23, comma 1, "l’insufficienza o la contraddittorìetà delle fonti di prova a carico degli imputati ha quale parametro la prognosi dell’inutilità del dibattimento, sicchè correttamente deve essere escluso il proscioglimento in tutti i casi in cui tali fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte" (cfr. Sez. 6, n. 45275 del 2001).

Tutto ciò premesso, non ritiene il Collegio che il Giudice di prime cure si sia attenuto ai principi ed alla regola di giudizio fin qui richiamati.

Come rilevato con il proposto gravame, dal Procuratore della Repubblica, il GIP ha motivato la pronunzia di proscioglimento adottata, ribadendo che nessun elemento già acquisito agi atti avrebbe consentito di dimostrare che l’imputato, nell’approssimarsi all’intersezione de qua, aveva superato il limite di 50 km/orari e che comunque, anche usando la massima prudenza esigibile dall’automobilista medio che avesse proceduto a velocità ancor più ridotta, non sarebbe stato possibile avvistare tempestivamente il ciclista, improvvisamente apparso sotto il semaforo, provenendo da strada laterale priva del diritto di precedenza.

Ha invece il Procuratore della Repubblica correttamente denunziato la illogicità e la contraddittorietà di siffatte argomentazioni (posta la specifica regola di giudizio che legittima la pronunzia della sentenze di proscioglimento ex art. 425 cod. proc. pen. nel solo caso in cui gli elementi acquisiti, pur insufficienti o contraddittori, non siano comunque idonei a sostenere l’accusa in giudizio) giacchè, pur essendo ineludibile la verifica in dibattimento dell’attendibilità dell’unico teste oculare B.R. (trasportato sul furgone di proprietà aziendale, condotto dal prevenuto quale suo collega di lavoro) già emergevano significativi elementi di convincimento atti, allo stato, a smentire sia che l’imputato procedesse ad una velocità moderata o comunque prudenziale sia che il ciclista abbia subito l’evento lesivo solo a causa dell’imprevedibile ed improvvisa condotta di inopinato attraversamento dell’incrocio. Il teste – ha rimarcato l’impugnante – ebbe invero a dichiarare che l’imputato aveva notato l’ostacolo che gli si stava parando dinanzi e quindi aveva frenato e sterzato. Il GIP avrebbe inoltre del tutto omesso di tener conto dell’entità dei danni riportati dall’autovettura quale ulteriore indizio della velocità non moderata alla quale il mezzo procedeva al momento della collisione con il ciclista la cui immissione da destra non poteva dirsi "improvvisa ed imprevedibile" tant’è vero che l’imputato, avendolo avvistato (anche grazie all’ampia visuale consentita dalle rilevanti dimensioni della zona dell’incrocio e dall’ampiezza delle carreggiate, evidenziate peraltro nell’atto di gravame) aveva messo in atto istintivamente manovre volte ad evitare l’impatto, frenando e sterzando; manovre che, in caso di velocità adeguata alle condizioni del luogo e di tempo (incrocio regolato in ora notturna da impianto semaforico con luce lampeggiante gialla) avrebbero potuto scongiurare l’impatto. Costituisce insegnamento del tutto pacifico della giurisprudenza di legittimità, come è peraltro precisato nell’atto di gravame, quello secondo cui anche il conducente che goda del diritto di precedenza sia obbligato, nell’approssimarsi ad un incrocio anche se regolato da impianto semaforico, a procedere con prudenza, in particolare riducendo la velocità anche in relazione ai pericoli derivanti da eventuali comportamenti illeciti od imprudenti di altri utenti della strada che non si attengano al segnale di arresto o di dare la precedenza (cfr. ex multis: Sez 4 n. 40301 del 2007).

Concludendo deve quindi osservarsi che le risultanze acquisite (oltre a quant’altro emerso in esito alla fase delle indagini preliminari e non considerato nella sentenza impugnata) avevano già offerto al GIP elementi indiziari gravi e precisi a suffragio della ricorrenza del nesso di causalità e degli addebiti colposi, prospettati dall’accusa nel capo di imputazione, a carico del prevenuto, alla cui stregua non era di certo possibile escludere una ulteriore evoluzione del quadro probatorio nel giudizio, magari alla luce e sulla scorta di più approfonditi accertamenti peritali o di altri incombenti istruttori, non valendo gli elementi già in atti ad accreditare una valutazione prognostica (in termini di ragionevole prevedibilità) di superfluità dell’ulteriore verifica del giudizio, giustificabile solo, giova ribadirlo, in presenza di un compendio probatorio da considerarsi irrimediabilmente statico ed insuscettibile di evoluzione.

La sentenza deve essere pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Verbania, che si atterrà ai principi sopraindicati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Verbania.

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