Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-04-2012, n. 6005

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 30/5/2001 la società Fenice s.a.s. conveniva in giudizio la soc. Prenatal S.p.A. per sentire dichiarare la legittimità del proprio recesso per giusta causa da due contratti di agenzia stipulati nel 1997 con la convenuta della quale chiedeva la condanna al pagamento dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c. o a quella di fine rapporto prevista dagli Accordi Economici Collettivi (AEC), oltre al risarcimento dei danni per perdita di avviamento o, in subordine l’indennizzo per ingiustificato arricchimento; il tutto previa declaratoria di vessatorietà delle clausole 1, 2, 3, 6, 8, 10, 13, 15 dei contratti, con l’ulteriore condanna della convenuta alla restituzione di quanto versato a titolo di copertura dei costi.

L’attrice esponeva che le menzionate clausole, che ponevano interamente a carico dell’agente i costi di gestione senza riconoscergli alcun potere decisionale, erano vessatorie e quindi inefficaci in mancanza di specifica sottoscrizione o comunque mille;

per altro verso, la mancata contribuzione ai costi di gestione e la mancata erogazione di contributi ad integrazione dei compensi costituivano giusta causa di recesso.

La convenuta, costituendosi, assumeva di avere sempre corrisposto il dovuto in base agli accordi e che il tipo di contratto era stato ritenuto compatibile con la disciplina del contratto di agenzia dal Ministero del Lavoro; in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attrice al risarcimento del danno e al pagamento del mancato preavviso.

Con sentenza del 29/12/2005 il Tribunale di Milano escludeva la sussistenza della giusta causa di recesso e la natura vessatoria delle clausole che, invece, erano applicazione dei principi regolatori del contratto di agenzia stabiliti dagli artt. 1746 e 1748 c.c., e, in particolare, con specifico riferimento alla clausola escludeva il rimborso spese, che la clausola era conforme alla previsione dell’art. 1748 c.c., u.c., che stabilisce che l’agente non ha diritto al rimborso delle spese di agenzia; riteneva inoltre insussistente il presupposto di un ingiustificato arricchimento e accoglieva la riconvenzionale per il mancato preavviso.

La società Fenice s.a.s. proponeva appello al quale resisteva Prenatal S.p.A.; l’appello era affidato a tre motivi:

1) il vizio di motivazione circa la natura delle contribuzioni erogate dalla preponente all’agente che non potevano considerarsi straordinarie ed occasionali, ma rientravano nel sinallagma contrattuale e sosteneva che la reiterazione del tempo aveva creato un affidamento;

2) il vizio di motivazione e l’erroneità della decisione di non ammettere le prove orali: a suo dire senza motivazione il Tribunale aveva escluso la giusta causa di recesso pur riconosciuta dal CTU e inoltre non aveva ammesso le prove richieste;

3) la non debenza dell’indennità di mancato preavviso in quanto il preavviso era stato dato con il termine di b mesi previsto dall’art. 9 dell’Accordo Economico Collettivo (AEC); in subordine il preavviso era dovuto per i 12 giorni mancanti e non per un intero mese.

La Corte di Appello di Milano con sentenza del 21/10/2009 rigettava l’appello rilevando:

quanto al primo motivo, che era corretta la motivazione del primo giudice circa la natura straordinaria e non obbligatoria delle contribuzioni erogate negli anni dalla preponente (sotto forma di contributi ai costi o di sovvenzioni a titolo gratuito); l’aiuto finanziario della preponente mai era venuto meno salvo che nel 2001, ma a cagione del fatto che l’agente aveva comunicato il recesso; le contrazioni, di guadagni dell’Agenzia nel corso degli anni era da ricondurre al rischio di impresa; le suddette erogazioni non trovavano titolo in alcuna previsione contrattuale; la preponente non ora tenuto meno all’obbligo di correttezza e buona fede perchè aveva sempre fornito un sostegno finanziario attraverso le contribuzioni straordinarie, mancando di provvedervi, solo dopo l’intimato recesso;

il capitoli di prova sulle contribuzioni straordinarie, non ammessi, deponevano proprio per il carattere non obbligatorio delle contribuzioni tutte le clausole contrattuali erano coerenti con le norme civilistiche che disciplinato il contratto di agenzia;

quanto al secondo motivo, che le prove orali non ammesse dal primo giudice erano ininfluenti ai fini della decisione in quanto dirette ad accertare l’esistenza di una prassi dalla quale, comunque, non avrebbe potuto evincersi l’obbligatorietà delle sovvenzioni;

quanto al terzo motivo, relativo al termine di preavviso, che l’art. 8 dei due contratti fissava in sei mesi il termine di preavviso, conforme a quanto previsto dall’art. 9 AEC per i rapporti di durata superiore agli otto anni; in ogni caso le norme AEC, anche se più favorevoli, non potevano prevalere sulla specifica, contraria volontà contrattuale, essendo richiamate dall’art. 14 del contratto solo per quanto non diversamente disciplinato; il quantum della pretesa per il mancato preavviso era stato correttamente determinato e ridotto secondo i criteri fissati dall’art. 9 AEC. La Fenice s.a.s. propone ricorso affidato a 11 motivi e deposita memoria. Resiste con controricorso Prenatal S.p.A..

Motivi della decisione

L’eccezione preliminare della controricorrente di inammissibilità del ricorso per mancanza di conclusioni specifiche è infondata in quanto la ricorrente ha richiesto la cassazione della sentenza impugnata sulla base dei motivi esposti e tanto è sufficiente ai fini dell’ammissibilità. 1. Con il primo motivo la ricorrente, deducendo il vizio di motivazione lamenta che il giudice di appello non avrebbe considerato che negozi Prenatal, ancorchè affidati a società distinte, erano a tutti gli effetti unità di vendita della preponente e, quindi, avevano diritto a quelle contribuzioni in mancanza delle quali l’attività non avrebbe potuto essere esercitata e veniva a mancare la stessa possibilità di guadagno per l’agente e così verificandosi una situazione di squilibrio contrattuale.

1.1 il motivo è infondato: l’elemento valutativo che si assume trascurato è un elemento di natura economica (la capacità di una società commerciale che svolge la sua attività a favore di un solo cliente a produrre utili) e non giuridica e da nessuna norma può desumersi l’obbligo di far diventare conveniente un contratto mediante l’imposizione di contribuzioni all’altro contraente in assenza di pattuizione espressa.

L’onere di contribuzione, laddove finalizzato a garantire comunque un utile all’agente (che si vorrebbe configurare come preposto ad un reparto commerciale di Prenatal) dovrebbe essere fondato su una configurazione del rapporto di tipo diverso rispetto alla qualificazione che le parti hanno dato al rapporto in termini di contratto di agenzia concluso tra due imprenditori.

2. Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo il vizio di motivazione, censura la qualificazione in termini di atti di liberalità alle contribuzioni erogate negli anni (dal 1997 al 2000) dalla preponente all’agente, mentre proprio la reiterazione nell’ambito del rapporto contrattuale e la mancanza di ogni riferimento a particolari livelli di vendita o a particolari situazioni di mercato, doveva farle ritenere atti di adempimento di un obbligo.

2.1 Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza perchè la sentenza di appello ha dato atto che le contribuzioni straordinarie si sono interrotte solo a seguito del recesso intimato dall’agente, così che la condotta pretesamente rimasta inadempiuta è, invece, sempre stata tenuta nel corso del rapporto, essendo venuta meno solo dal momento della comunicazione del recesso che ha fatto venir meno l’interesse della società preponente alla loro erogazione; in tal senso occorre rilevare che le contribuzioni non costituivano atti di liberalità, ma semplicemente atti a titolo gratuito che rispondevano all’interesse della preponente a sostenere finanziariamente l’agenzia; è invece infondata la doglianza circa l’ammontare delle sovvenzioni e la loro progressiva riduzione, posto che non è desumibile alcun obbligo dei preponente di garantire un utile all’agenzia.

3. Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo il vizio di motivazione, lamenta che sia il giudice di primo grado che il giudice di appello hanno disatteso senza motivazione le conclusioni del CTU secondo le quali sussistevano elementi sufficienti per ritenere che i comportamenti di Prenatal avevano condizionato i guadagni dell’agente configurandosi come atti discrezionali; il CTU concludeva, quindi, nel senso che "sembrerebbero" essersi realizzati gli elementi richiamati da Fenice per giustificare il recesso per giusta causa o la risoluzione per colpa del preponente.

3.1 Il motivo è infondato. Occorre premettere che la giusta causa di recesso del rapporto di agenzia secondo l’indirizzo da considerare oramai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – costituisce una ipotesi normativa che è desumibile per analogia dalla norma sul licenziamento per giusta causa nel lavoro subordinato, come ora confermato dall’art. 1751 cod. civ., che, nel testo di cui al D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 3, si riferisce – ai fini dell’esclusione del diritto all’indennità di cessazione del rapporto – alla "inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto".

Detta ipotesi normativa, non diversamente da quella relativa al lavoro subordinato, è caratterizzata da una certa genericità e richiede di essere adeguatamente interpretata in sede applicativa in correlazione allo specifico tipo di situazione oggetto di esame. Il giudizio sulla esistenza di una giusta causa di recesso è rimesso, pertanto, al Giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da un accertamento sufficientemente specifico degli elementi di fatto e da corretti criteri di carattere generale ispiratori del giudizio di tipo valutativo (Cass. 17/2/2011 n. 3869; Cass. 12/1/2006 n. 422; Cass. 15661 12/12/2001, 25/9/2002 n. 13944, 24/6/2004 n. 11770, 12/7/2004 n. 12873).

Con riferimento al caso di specie, La Corte territoriale ha valutato c circostanze di fatto riferite dal CTU, oggetto dell’indagine, mentre non era compito del CTU, ma del giudice valutare se le condotte (accertate dal CTU) costituissero o meno giusta causa di recesso; sia in giudice di primo grado che il giudice di secondo grado hanno motivatamente ritenuto che non lo fossero, senza per questo essere tenuti ad alcuna motivazione rispetto al giudizio, espresso peraltro solo in via ipotetica, dal CTU secondo il quale "sembrerebbero realizzarsi gli elementi richiamati da Fenice per giustificare il recesso per giusta causa"; infatti, quegli stessi elementi non erano ritenuti, dai giudici, tali da giustificare il recesso, avendo un rilevanza economica con riferimento all’interesse dell’agente, ma non assumendo una rilevanza giuridica nel senso di imporre alla preponente di finanziare l’agente o contribuire allo sue spese, stante che ciò era escluso sia dal contratto che dall’art. 1748 c.c., u.c..

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1375 c.c.. Essa assume che l’obbligo di sostegno finanziario deriverebbe dall’art. 1375 c.c., e che i giudici avrebbero violato tale norma in entrambi i gradi di giudizio non considerando che Prenatal era a conoscenza che Fenice mai avrebbe potuto far fronte agli impegni finanziari della gestione di due punti vendita senza il suo contributo; pertanto la progressiva riduzione e la successiva abolizione del sostegno costituiva condotta contraria agli obblighi di solidarietà e di tutela dell’interesse di controparte che si compendiano nel l’obbligo di correttezza e buona fede, ingiustamente disconosciuto dalla Corte di Appello.

4.1 Il motivo è infondato.

Occorre premettere, in fatto, che dalla tabella del CTU (prospetto riepilogativo degli utili e delle perdite con e senza interventi su costi e ricavi)inserita alle pagine 28 e 29 del ricorso, nei quattro anni di rapporto l’ipotesi di perdita in assenza di interventi finanziari decresce progressivamente e, anzi, nel 1999 si registra un utile anche senza interventi.

I giudici di merito non hanno disconosciuto l’esistenza degli obblighi di buona fede e correttezza, ma hanno ritenuto insussistente il presupposto di fatto della denunciata violazione in quanto gli interventi di sostegno economico – finanziario non erano mai mancati (tanto che gli utili erano progressivamente cresciuti nel quadriennio considerato), ma erano venuti meno solo dopo la comunicazione del recesso per giusta causa da parte dell’agente.

A questo rilievo La Fenice nel motivo di ricorso obietta di avere comunicato il recesso per il mancato rispetto degli impegni economici assunti per quanto attiene la contribuzione da parte della preponente, ma la lettera di recesso reca la data dell’11/10/2000 e dalla tabella inserita alla pag. 29 del ricorso risulta che nel 2000 Prenatal era intervenuta con L. 119 milioni sui costi e con L. 8 milioni sui ricavi, tanto che l’agente aveva realizzato un utile di 103 milioni; la ricorrente ulteriormente osserva che alla sua contestazione di mancata contribuzione Prenatal avrebbe taciuto e non l’avrebbe rassicurata sull’erogazione anche per l’anno 2001, ma non si vede da quale principio possa scaturire un obbligo di rassicurazione verso un agente che recede imputando al preponente responsabilità insussistenti.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1340 c.c.; in particolare, essa lamenta il mancato accoglimento della censura sulla mancata ammissione delle prove per testi; sostiene che la motivazione del rigetto della richiesta istruttoria sarebbe fondata su una errata interpretazione dell’art. 1340 c.c., essendosi affermato che la prassi contrattuale è incompatibile con una situazione di diritto di natura obbligatoria e vincolante.

5.1 Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo: sia perchè la Corte territoriale ha rilevato, a fondamento del giudizio di irrilevanza, anche che le circostanze oggetto di prova erano già state in linea di fatto dal CTU e, quindi, il rigetto della richiesta istruttoria è fondato su altra autonoma cagione che non ha costituito oggetto di censura; inoltre gli usi negoziali, oggetto della giurisprudenza richiamata nel motivo sono confusi dalla ricorrente con le clausole d’uso disciplinate dall’art. 1340 c.c., che riguardano la diversa fattispecie nella quale le parti stipulano un contratto in un dato luogo e settore di affari in cui è d’uso seguire determinate pratiche commerciali, mentre la circostanza che un singolo imprenditore riconosca indeterminate contribuzioni extra contratto ad alcuni o anche a tutti i suoi contraenti non integra un uso negoziale che, per giunta, nel caso concreto sarebbe contraddetto dalla previsione contrattuale (e codicistica ex art. 1748 c.c.) che esclude il diritto dell’agente al rimborso delle spese di agenzia.

La nozione di uso aziendale sorge invece nell’ambito del contratto di lavoro subordinato e in funzione della tendenziale applicazione uniformo dei trattamenti alla collettività impersonale dei dipendenti; presuppone sempre un’indagine, da parte del giudice di merito, circa la sussistenza in capo al datore di lavoro nel momento in cui ha dato origine alla prassi dello specifico intento negoziale all’assunzione di specifici obblighi di carattere collettivo (v.

Cass. 27/5/2008 n. 13816).

6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce un error in procedendo e richiama l’art. 360, n. 5, che invece attiene al vizio di motivazione; in concreto lamenta l’omessa ammissione delle prove orali delle quali aveva reiterato la richiesta con l’atto di appello e sostiene che per la vessatorietà e inefficacia delle clausole di cui ai nn. 1, 2, 3, 6, 8, 10, 13 e 15 dei contratti, essa aveva diritto al rimborso dei costi di competenza esclusiva di Prenatal, per personale, canoni di locazione, arredi e utenze; le domande erano state riproposte con alcune modifiche in appello ed erano dirette alla declaratoria della legittimità del recesso, alla condanna della preponente al pagamento dell’avviamento e all’indennizzo per indebito arricchimento; pertanto, anche a ritenere esclusa la giusta causa di recesso, le prove dirette ad accertare la vessatorietà delle clausole, con particolare riferimento al capitolo n. 10, con il quale si voleva dare dimostrazione che i contratti sottoscritti avevano natura di contratti standard, dovevano essere ammesse.

6.1 Il motivo e manifestamente infondato; non sussiste l’error in procedendo; la ricorrente lamenta la mancata ammissione delle prove e non l’omessa pronuncia e, quindi, non deduce un error in procedendo, in quanto la mancata ammissione di mezzi di prova attiene alla valutazione di merito del giudice, censurabile come vizio di motivazione.

Dalla lettura delle conclusioni assunte in grado di appello risulta che la richiesta di ammissione delle prove era subordinata ad una valutazione di opportunità del giudice di appello.

In ogni caso, la Corte di appello ha motivatamente confermato la decisione del giudice di prime cure secondo la quale le clausole delle quali si affermava la vessatorietà non erano vessatorie perchè l’esclusione del potere decisionale dell’agente era pienamente compatibile con il contratto di agenzia che riserva al preponente il potere di impartire istruzioni anche molto dettagliate (v. pag. 11 della sentenza di appello); la Corte di appello ha altresì rilevato che tutte le clausole contestate come vessatorie erano compatibili con il contratto di agenzia e che l’obbligo dell’agente di sostenere i costi di gestione era espressamente previsto dall’art. 1749 c.c. e pertanto il capitolo di prova diretto a dimostrare che il contratto era un contratto standard non assumeva rilevanza, nè la ricorrente ha fornito elementi per individuare la rilevanza degli ulteriori capitoli di prova, una volta esclusa l’imputabilità del recesso alla preponente ed essendo passata in giudicato il rigetto della domanda di indebito arricchimento.

7. Con il settimo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza del presupposto per la spettanza dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, costituito dall’incremento del fatturato e della clientela e dai vantaggi derivanti alla preponente.

7.1 Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza in quanto, essendo esclusa la spettanza dell’indennità per l’intervenuto recesso dell’agente non giustificato da circostanze attribuibili al preponente ( art. 1751 c.c., comma 4) l’indennità non è comunque dovuta.

8. Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 9 AEC sulla durata del preavviso e sostiene che la Corte di Appello ha inteso la disposizione come impositiva, a carico dell’agente, di un preavviso di sei mesi, mentre la disposizione prevede un preavviso di mesi cinque, in concreto rispettato dall’agente.

8.1 il motivo è infondato in quanto la Corte, per determinare il termine obbligatorio di preavviso, non ha applicato l’art. 9 AEC (richiamato solo incidentalmente), ma l’art. 8 del contratto che fissa in sei mesi il termine del preavviso.

9. Con il nono motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione perchè la Corte di appello avrebbe disatteso, senza motivazione, le conclusioni del CTU che aveva ritenuto applicabile, per il preavviso, il termine non superiore ai cinque mesi, previsto dal contratto collettivo.

9.1 Il motivo è infondato in quanto la Corte di appello ha esaurientemente motivato rilevando la prevalenza della previsione contrattuale sulla disposizione del contratto collettivo.

10. Con il decimo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2077 c.c., secondo il quale le clausole dei contratti individuali difformi da quelle dei contratti collettivi sono sostituite di diritto con quelle del contratto collettivo salvo che contengano disposizioni più favorevoli.

10.1 Il motivo è infondato perchè nella concreta fattispecie, la qualità di agente è assunta da una società di persone; qualsiasi società, per quanto semplice sia la sua struttura, comporta l’esercizio collettivo di un’impresa e, postulando un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi, non si può concretizzare in una prestazione di opera prevalentemente personale (Cass. 21/3/1997 n. 2509).

Da ultimo questa Corte (Cass. 14/7/2011 n. 15535 Ord.) ha ribadito che la società in accomandita semplice, quale che ne sia il numero di soci, costituisce comunque un centro autonomo d’imputazione di rapporti giuridici rispetto ai soci stessi; pertanto, concluso un contratto di agenzia tra l’impresa preponente ed una società in accomandita semplice, la controversia esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro, a nulla rilevando che uno dei soci abbia materialmente svolto attività personale di agente, in quanto tale attività viene necessariamente mediata dalla società, perdendo il carattere della personalità nei confronti del preponente.

Essendo tale la caratteristica dell’attività di agenzia prestata dalla società commerciale, resta preclusa l’applicabilità della norma di cui all’art. 2077 c.c., che regola i contratti dr lavoro conclusi, tra imprenditori e lavoratori subordinati o parasubordinati.

11. Con l’undicesimo motivo la ricorrente deduce la violazione art. 9 AEC (applicato nel caso concreto dal giudice di appello) in ordine al quantum dell’indennità di mancato preavviso.

Essa sostiene che il termine di preavviso non era stato rispettato nella misura di soli 12 giorni e che pertanto l’indennità di mancato preavviso avrebbe dovuto essere calcolata su tale minore termine e non su un mese e di conseguenza chiede che la condanna sia limitata alla somma di 12 trentesimi di quella liquidata.

Secondo la disposizione richiamata spetta, per mancato preavviso, una somma pari a tanti dodicesimi del complessivo importo delle provvigioni liquidate in un anno, quanti sono i mesi di preavviso spettanti, o una somma a questa proporzionale; ciò significa che per ogni mese di mancato preavviso spetta un dodicesimo dell’importo delle provvigioni liquidate nell’anno; siccome la proporzione può essere applicata anche per giorni (o comunque la disposizione non lo esclude) il motivo è fondato e il conteggio deve essere rielaborato calcolando il numero di giorni di mancato preavviso.

12. In conclusione deve essere accolto l’undicesimo motivo e devono essere rigettati tutti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve perciò essere cassata limitatamente al motivo accolto e la causa deve essere rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Milano per la rideterminazione, sulla base dell’indicato criterio per numero di giorni, dell’indennità di mancato preavviso spettante alla Prenatal S.p.A. ricorrente.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie l’undicesimo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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