Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 25-10-2011, n. 38493

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza 30.9.2010 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP della stessa sede giudiziaria nei confronti di C.N. imputato del delitto di cui agli artt. 110, 81 e 390 c.p., aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7 perchè in concorso con la moglie I.C., in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, aiutava B.G. a sottrarsi all’esecuzione della pena dell’ergastolo, mettendo a disposizione dello stesso un terreno di loro proprietà sito in (OMISSIS), in data antecedente e prossima al 16.2.2005.

Il sequestro preventivo era stato disposto, ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies (erroneamente indicata la norma come art. 12 quinquies), su una serie di beni immobili, appezzamenti di terreno e fabbricati, la cui provenienza non risulta giustificata in ragione del reddito ufficialmente prodotto, essendo il valore dei beni sproporzionato rispetto alla capacità patrimoniale dai due coniugi.

Afferma, quindi, il tribunale che dalla accertata attività di agevolazione prestata al B. per sottrarsi alla esecuzione della pena, aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7 perchè volta ad favorire una delle attività principali della cosca che è quella di assicurare l’assistenza ai membri latitanti, tanto più se esponenti di vertice, consegue la configurabilità dell’ipotesi di confisca obbligatoria prevista dall’art. 416 bis c.p., comma 7, applicabile anche ai beni nella titolarità di terzi estranei al delitto di cui all’art. 416 bis, qualora sussistano le condizioni, per presumere che l’intestazione in capo ai terzi sia fattizia, e quindi anche lo strumento prodromico a tale confisca costituito dal sequestro preventivo previsto dall’art. 321 c.p.p., comma 2. Sotto altro profilo rileva, poi che il sequestro dei beni trova fondamento nel combinato disposto dell’art. 321 c.p.p., comma 2 e L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, comma 4. 2.- Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione l’avvocato Gregorio Cacciola, difensore di C.N., deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 321 c.p.p. e D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies (erroneamente indicato come art. 12 quinquies).

Assume il ricorrente che il tribunale nel ritenere che i redditi dichiarati dai coniugi C. – I. non potessero giustificare il valore dei beni acquistati nel tempo, non ha tenuto conto delle deduzioni difensive, quali la consulenza tecnica, gli atti notarili di acquisto dei beni le note contabili relative alla corresponsione di ingenti somme alla I. per il conferimento di agrumi e, infine le sommarie informazioni testimoniali assunte con le indagini difensive. Si era dimostrato che i due coniugi avevano acquistato negli anni 1978/2005 beni immobili per un esborso effettivo di Euro 188.609,29 e che gli introiti percepiti risultavano assolutamente superiori alla spesa affrontata. Ma il tribunale con motivazione illogica ha ritenuto che i redditi indicati e documentati, non fossero sufficienti a superare la presunzione di non proporzionalità in ragione del fatto che da essi andavano sottratte le spese familiari. Ciò senza considerare che la famiglia ha sempre condotto un tenore di vita modesto e senza lussi e che le spese necessarie al sostentamento scaturivano anche dalla vendita al dettaglio dei prodotti coltivati nei loro terreni.

Inoltre riguardo ai diversi assunti difensivi omette il tribunale di considerare che onere gravante sulla difesa è quello di offrire ragioni che possano giustificare la legittima acquisizione dei beni e spetta invece all’accusa, dimostrare la non legittimità di tali acquisti. Non ha, poi considerato che il C. è persona estranea al reato di cui all’art. 416 bis c.p. essendo solo indagato per il delitto di cui all’art. 390, pur aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, per cui la simulazione della titolarità dei beni, essendo egli terzo, doveva essere valutata con rigoroso metodo probatorio. Nel caso di specie non sono emersi, e non esistevano, elementi sintomatici comprovanti la fittizia intestazione dei beni in capo ai coniugi C. – I. ed il tribunale si è limitato ad esporre diverse pronunce giurisprudenziali di legittimità senza valutare, con logica e coerenza, la loro applicabilità nel caso concreto.

3.- Il Procuratore Generale dott. Gabriele Mazzotta ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge riguardo al pagamento delle spese processuali e della sanzione in favore della cassa delle ammende.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1.- Rileva il Collegio che il giudizio di legittimità con riferimento alle ordinanze emesse dal Tribunale del riesame ai sensi degli artt. 322 bis e 324 c.p.p. in materia di misure cautelari reali è limitato, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1, al solo vizio di violazione di legge;

previsione, questa, alla quale, per costante giurisprudenza, può essere ricondotta anche la totale mancanza di motivazione ovvero l’esistenza di una motivazione puramente "apparente", nel senso che dalla stessa non sia in alcun modo ricavabile la effettiva ratio decidendi posta a base del provvedimento impugnato.

In altri termini è necessario che la motivazione manchi assolutamente, ovvero sia del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, sì da non essere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero che le linee argomentative del provvedimento siano così scoordinate da rendere impossibile la percezione delle ragioni che hanno giustificato il provvedimento (cfr., in termini, Cass. Sez. 2, sent. 16.11.2006 n. 5225).

2.- Invero con i motivi di ricorso il difensore pur citando formalmente la violazione di legge, che peraltro non individua e rispetto alla quale non offre argomentazione alcuna, deduce nella sostanza la sola illogicità e contraddittorietà dell’iter logico seguito dai giudici del riesame per pervenire alla decisione di reiezione del gravame, riproponendo le medesime questioni già affrontate e correttamente risolte dal tribunale.

L’ordinanza impugnata, invece, con argomentazione diffusa, congrua e aderente ai principi di diritto in materia, rileva che in periodo compreso tra il 1991 ed il 2004 il C. e la moglie hanno acquistato numerosi fondi agricoli siti nelle campagne di Rosarno, area notoriamente sottoposta al controllo mafioso dei Bellocco e specificamene usata per assicurare la latitanza dei maggiorenti della omonima cosca, il cui valore è sproporzionato rispetto ai proventi della loro attività di coltivatori.

Confuta poi gli assunti difensivi in proposito, consistenti in una articolata analisi dei redditi conseguiti dal 1999 al 2009, in base alla quale dovrebbe ricavarsi la congruità e proporzione delle acquisizioni patrimoniali suddette, osservando che tali assunti, in primis, pongono alla base della valutazione di congruità non i redditi imponibili ma i ricavi complessivi, ulteriormente accresciuti dai ricavi indicati come provenienti dalla azienda agricola, laddove l’importo che può essere destinato per acquisti immobiliari, da considerare proporzionale agli stessi, non può coincidere con il totale di ricavi ma, piuttosto con ciò che residua, al netto delle spese, non solo relative all’esercizio dell’attività economica ma anche necessarie per la normale gestione della famiglia.

Osserva che può tenersi conto solo dei redditi prodotti anteriormente agli acquisti, a meno che non si dimostri la contrazione di prestiti, con ragionevole piano di ammortamento. Non rileva, quindi, nel caso di specie l’affermazione di C. G., fratello di N., di aver contratto un mutuo fondiario nell’ottobre 2004, il cui intero importo sarebbe stato fruito esclusivamente dall’indagato, non è dimostrato, infatti, che le rate siano state pagate da C.N. e non si comprende perchè questi non avrebbe potuto personalmente contrarre il mutuo.

Prive di riscontro ritiene, infine, le dichiarazioni relative a donazione ricevuta dal C. dai genitori e ed al conseguimento della somma 125 milioni di lire, quale quota della vendita di una attività di ristorazione in Germania e altrettanto non riscontrata la affermazione di I.C., secondo la quale i genitori avrebbero lasciato in eredità alla sorella C., moglie di C.N., la somma di settanta milioni di lire.

3.- Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, alla dichiarazione di inammissibilità consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille ai sensi dell’art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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