Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 25-10-2011, n. 38492

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1.- Con ordinanza 30.8.2010 il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, confermava l’ordinanza 4.8.2010 con la quale il GIP della stessa sede giudiziaria aveva applicato nei confronti di Z.V. la misura cautelare della custodia in carcere siccome indagato in relazione al reato di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, ed in particolare per avere fatto parte, con qualità di partecipe attivo, della "società" di Polistena, articolazione della associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria, nel territorio nazionale ed estero, reato commesso sino alla data di contestazione.

Il tribunale riteneva sussistente un solido e grave quadro indiziario in ordine all’esistenza ed operatività di un vasto sodalizio criminoso denominato ‘ndrangheta, con carattere transnazionale, articolato nel territorio della provincia di Reggio Calabria, in quello nazionale ed all’estero, in sub strutture denominate "locali" e "società", raggruppate e coordinate in tre mandamenti (Jonico, Tirrenico e Centro, o Reggio città) e con un organo di vertice denominato "Provincia".

In particolare emergeva l’esistenza della articolazione locale dellàndrangheta costituita dalla " società" di Polistena che, come rilevabile dalla conversazione intercettata il 14.6.2008 tra O.D. e G.N., avrebbe dovuto essere capeggiata da tale L.G. ma che a seguito del suo omicidio fu affidata al cugino L.V.. La gestione della carica da parte di L.V., sempre alla stregua del contenuto della captazione, che era stata agevolata dall’ O., aveva determinato attriti nell’ambito della consorteria a livello locale.

L.V. risultava poi, dal contenuto di altre conversazioni intercettate, ben inserito nelle questioni di ‘ndrangheta concernenti la gestione degli appalti nei territori di competenza delle diverse articolazioni territoriali del sodalizio, e il suo comportamento era nel corso di alcuni colloqui (in particolare quello del 23 dicembre 2008 tra G.N. e O.M.) oggetto di critiche da parte di G.N. – che lo aveva agevolato trattando con la cosca dei Serraino per consentirgli di svolgere, con la società dei fratelli Gu. a lui legati, dei lavori di ristrutturazione di un edificio scolastico a Reggio Calabria pagando tangente inferiore a quelle normalmente richieste – per non essersi "spontaneamente" ritenuto in dovere di versare una gratifica natalizia ai responsabili della struttura associativa di ‘ndrangheta sul territorio di competenza della quale i lavori si stavano svolgendo.

Premesse, quindi, delle articolate considerazioni sulla natura e la struttura del delitto previsto dall’art. 416 bis, quali delineate attraverso la giurisprudenza di legittimità, e considerati i criteri di valutazione probatoria in relazione agli elementi sui quali si fonda l’impianto accusatorio, costituiti essenzialmente dagli esiti di intercettazioni e dalle ulteriori e connesse attività investigative di supporto, il tribunale passava ad esaminare la posizione dell’indagato Z.V..

Il materiale indiziario emerso nei confronti di Z. si fonda essenzialmente sui contenuti di una conversazione captata il 24.12.2008 tra lui, O.D. e altri due soggetti.

Dall’esplicito contenuto dei dialoghi e dalle dichiarazioni autoaccusatorie rese in quel contesto dallo Z. si evincono, secondo i giudici del riesame, gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 416, bis c.p.: non emergono, infatti intenti millantatori o calunniatori in capo ai conversanti, e anzi le dichiarazioni appaiono genuine e veritiere e depongono inequivocamente per la intraneità dello Z. all’organizzazione mafiosa e per la sussistenza del suo ruolo partecipativo nell’ambito di essa.

In relazione alle esigenze cautelari, il tribunale, considerato il reato di associazione di stampo mafioso contestato, riteneva, in mancanza di elementi da cui desumere l’insussistenza delle esigenze stesse, che dovesse applicarsi la custodia cautelare in carcere, secondo la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, in considerazione del pericolo di reiterazione della condotta partecipativa a cagione del ruolo svolto dall’indagato nel contesto associativo.

2.- Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’avvocato Antonio Cimino, difensore di Z.V., adducendo a ragione:

a) mancanza e manifesta illogicità della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza della qualità di partecipe attivo nell’associazione di stampo mafioso;

b) violazione di legge con riferimento all’art. 125 c.p.p., n. 3;

art. 192 c.p.p., lett. c), artt. 309 e 266 c.p.p. in relazione all’art. 416 bis c.p. e vizio di motivazione sul punto.

Afferma il ricorrente che è principio di diritto che in caso di contestazione relativa a reato associativo, la motivazione del provvedimento cautelare non può essere cumulativamente riferita ad una pluralità di soggetti ma deve essere riferita specificamente ad ogni singola persona, essendo il contributo dei singoli, di norma diversificato e essendo comunque differenti la pericolosità e la capacità criminale dei medesimi. (Sez. 6 sent 30.12.2008 n. 48420);

lamenta, quindi che il tribunale del riesame non abbia messo in luce alcuna diversificazione in ordine ai singoli indagati nè ai singoli locali che asserisce essere operanti in posizione paritetica rispetto a tutti gli altri esistenti sul territorio; si limita, infatti, a riprodurre la ricostruzione operata dai PM e poi dal GIP per affermare, attraverso il richiamo a precedenti vicende processuali, l’esistenza di una associazione mafiosa operante nel territorio di Polistena e della quale Z. viene indicato come partecipe. Le premesse indicate dai giudici circa i criteri giuda per individuare gli elementi costitutivi della fattispecie associativa, quali la natura indiziante dei rapporti di parentela o di affinità, tra gli imputati del reato di cui all’art. 416 bis c.p., il valore confirmatorio di altre risultanze processuali, dei precedenti penali, e dei provvedimenti di prevenzione, sono contraddette nell’ordinanza stessa che nulla di tutto ciò rileva in capo all’indagato Z..

Nessuna condotta di partecipazione, in termini di ruolo dinamico e funzionale con conseguente messa a disposizione, viene indicata, nè la partecipazione è desumibile da indicatori fattuali precisi, di univoco significato, atti a dimostrare la costante permanenza del vincolo tra i soggetti presi in considerazione e l’associazione, con specifico riferimento al periodo temporale considerato nell’imputazione.

Il contenuto dell’ unica intercettazione ambientale riferibile allo Z. è funzionale a ritenere l’insussistenza del reato contestato,’ infatti la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la cd. affiliazione non è condizione certa di partecipazione e di contributo causale all’organizzazione, e la condotta di partecipazione è costituita, a prescindere dall’espletamento di riti e dichiarazioni di impegno, dall’apporto di stabile collaborazione con l’organizzazione mafiosa pur se in posizione defilata e gerarchicamente subordinata, che richiede la prova positiva di un contributo effettivo al perseguimento delle finalità del sodalizio.

Nel caso di specie non vengono individuati reati fine e dunque vi è una associazione mafiosa senza finalità delittuose, senza commissione di quei delitti che dovrebbero essere la base dell’associazione e, soprattutto, senza quella forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva. Di tutto questo si era argomentato nella richiesta di riesame, ma l’ordinanza gravata non ha fornito alcuna risposta, così come non vi è stata risposta in ordine alla identificazione, asseritamente, certa dello Z., se non un breve cenno all’autovettura intestata ad altri ma immotivatamente indicata in suo uso.

Considerata, quindi, l’evanescenza del quadro indiziario,anche le esigenze cautelari appaiono insussistenti, anche in considerazione del fatto che lo Z. ha fino ad oggi condotto una vita regolare, svolgendo attività lavorativa e mantenendo un tenore di vita tale da non consentire di ipotizzare la sua partecipazione ad attività illecite.

3.- Il Procuratore Generale dott. Gabriele Mazzotta ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso è infondato.

2.- Invero il percorso argomentativo del tribunale del riesame, per quanto reso con tecnica espositiva abbastanza farraginosa e di non agevole ricostruzione, è scevro dai denunciati vizi di motivazione.

Nella parte relativa alla ricostruzione del fenomeno associativo delinquenziale, per quel che qui interessa, i giudici del riesame ben individuano gli elementi dai quali è dato desumere che esista una articolazione locale operante a Polistena – cd. società – della associazione più vasta denominata ‘ndranghetta.

Depongono con indubitabile valenza indiziaria in tal senso, non solo le ricostruzioni preliminari delle tappe di disvelazione giudiziaria del fenomeno associativo-criminale radicato nel territorio calabrese e i dati concernenti le sua articolazioni nelle diverse zone e le strutture a livello gerarchico, ma soprattutto i contenuti delle intercettazioni ampiamente riportate in ordinanza, ed in parte riassunte nella parte narrativa che precede.

Dal contenuto dei diversi colloqui risulta, infatti, che: – la cd. società di Polistana fu costituita con decisione alla quale partecipò il "capo crimine" O.D.; – che capo della stessa, dopo l’omicidio dell’inizialmente designato L.G., divenne L.V.; – che le "doti" che consentivano a L. V. di ricoprire la carica gli erano state conferite grazie a O.D.; – che O.D., O. M. e G.N. (il quale ricopre un ruolo a livello della cd. provincia) si occupano delle vicende interne alla società di Polistena e dei rapporti dei suoi esponenti di spicco con i rappresentanti di altre articolazioni territoriali; – che L. V. aveva ricevuto altre cariche nell’ambito dell’associazione conferite su interessamento o designazione di personaggi quali P. V. e che altri personaggi di spicco, come il "mastro" C.G. ben erano a conoscenza di tali vicende; – che a L.V. sono riconosciuti poteri e doveri nell’ambito della società di Polistena con riferimento alla gestione dei comportamenti degli affiliati locali.

3.- Ricostruita, quindi, la molteplicità indiziario-probatoria concernente l’esistenza della società di Polistena, ampiamente ed organicamente collegata con le strutture sovraordinate dell’associazione criminale, i giudici del riesame, con iter argomentativo congruo e conseguente, procedono a valutare quali siano gli elementi che sostanziano l’affermato inserimento nell’ambito del sodalizio operante a Polistena.

Se è vero che i dati di prova a carico dell’indagato sono costituiti dal contenuto di una sola captazione, quella relativa alla conversazione intercettata il 24.12.2008 tra il capo crimine O.D., Z.V. ed altri due soggetti, ciò non sminuisce la rilevante valenza probatoria degli elementi che emergono dal contenuto del colloquio.

Nel corso della conversazione i presenti discutono di argomenti di ‘ndrangheta, i problematiche interne alla società di Polistena e si fa riferimento a L.V. e Gu.Gi. ed all’insoddisfazione per quel che accade tra i consociati a livello locale.

Lo Z. dimostra di essere a conoscenza delle dinamiche interne alla società di Polistena, di sapere quali soggetti sono attivi, sprona ad adottare provvedimenti punitivi nei confronti di coloro che non osservano le regole interne all’associazione criminale, richiama il periodo in cui egli era un semplice "contrasto"; dimostra di essere a conoscenza e di aver partecipato a precedenti riunioni anche in presenza di Gu.Gi., inserito nella società di Polistena ed in rapporti di affari con L.V..

Si tratta di dichiarazioni di evidente contenuto autoaccusatorio in relazione alle quali trova applicazione il principio di diritto secondo cui "Le dichiarazioni, captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria" (Cass. Sez. 4, sent. 2.7.2010, n. 34807, Basile Rv.

248089, Cass. Sez. 5, sent. 3.5.2001, n. 27656, Corso e altri, Rv.

220227).

Di più, come correttamente evidenziato, con ragionamento inferenziale ineccepibile dai giudici del riesame, la sola partecipazione dell’indagato alla riunione ed alla conversazione è specificamente idonea a dimostrare l’appartenenza dello stesso all’organizzazione criminale, posto che è risaputo e notorio che solo gli affiliati possono partecipare alle riunioni di ‘ndrangheta.

Quanto alla condotta partecipativa, come per tutte le strutture associative anche di provata onestà, l’inserimento come associato nell’ambito di un sodalizio criminale si concretizza in maniera dinamica e funzionale – con innegabile efficacia causale rispetto allo scopo di assicurare la sopravvivenza ed il funzionamento della compagine associativa (S.U. Sent. 12.7.2005, Mancino) – anche con il partecipare alle riunioni nelle quali si dibattono i problemi che attengono ai rapporti tra gli associati, agli eventuali contrasti relativi alle modalità operative e di gestione del sodalizio, mettendo a disposizione degli organismi, per così dire competenti e sovraordinati, i propri rilievi critici sull’andamento della vita associativa. Che è poi quello che lo Z. risulta aver fatto stando al tenore, peraltro non contestato, delle sue dichiarazioni nel corso della conversazione intercettata.

4.- Quanto all’identificazione di Z.V. quale partecipe alla conversazione intercettata gli elementi indiziari evidenziati dai giudici del riesame, in parte provenienti dal contenuto delle affermazioni circa la sua età, il furto di auto subito, fatte dallo stesso indagato nel discorrere con i suoi interlocutori, oltre all’identificazione della macchina con la quale raggiunse il luogo dell’incontro, sono sufficientemente adeguati in termini di rilevanza probatoria.

5.- Conclusivamente non sussistendo i vizi di motivazione e le violazioni di legge indicate a supporto del gravame, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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