Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 25-10-2011, n. 38491

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza 27.5.2010 il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, confermava l’ordinanza 26.4.2010 con la quale il GIP della sede giudiziaria aveva applicato nei confronti di B.J. la misura cautelare della custodia in carcere siccome indagato in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 56 c.p., art. 629 c.p., comma 2, in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, e L. n. 231 del 1991, art. 7 commesso in Giffone tra il 5 agosto e l’ottobre 2008.

La vicenda emergeva dalle indagini condotte dai carabinieri di Taurianova nei confronti di L.F., già condannato per reati associativi in materia i stupefacenti ed intercettato in carcere ove era ristretto in custodia cautelare, sempre per reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990. Dal contenuto dei colloqui intercettati risultava, secondo i giudici di merito, una sistematica attività delinquenziale volta da più di un decennio alla perpetrazione di estorsioni in danno di imprenditori aggiudicatari di gare d’appalto per lavori da eseguire nel comune di Giffone ed in altri limitrofi, riconducibile a L.F. e L. G., operanti in sintonia e talvolta in disaccordo, affiancati da altri sodali.

Il modus operandi consisteva, di regola, nel verificare chi fossero gli imprenditori aggiudicatari degli appalti nei confronti dei quali, poi, seguiva la richiesta estorsiva con previsione del pagamento della tangente al momento della riscossione, da parte dell’imprenditore, delle spettanze sui lavori eseguiti, anche se se erano costanti sia i richiami agli impegni presi che le richieste di anticipo.

In tale quadro si inserisce l’estorsione tentata ai danni della società DEA Costruzioni dei fratelli D.A., aggiudicataria di un appalto per la costruzione di un muro di sostegno nell’agro del comune di Giffone, che secondo la ricostruzione accusatoria fu posta in essere da L.F., L.G., L. F., L.G.B., M.A. e B.J., vicenda ricostruita in base ai contenuti dei colloqui intercettati in carcere tra L.F. ed il figlio F. in particolare dalle conversazioni captate il 5.9.2008, il 23.9.2008, il 3.10 2008 e il 10.10.2008, nonchè dall’intercettazione della telefonata intercorsa il 27.9.2008 tra B.F. e L.F..

Il ruolo del B. è consistito nel fungere da intermediario tra L.F. e M.G., cognato di D.A. T. fratello dei titolari della società DEA, il quale ultimo grazie all’interessamento di P. (tale è l’appellativo con il quale l’indagato è conosciuto) doveva fissare l’appuntamento per l’incontro tra il L. ed i D.A., al quale avrebbe dovuto partecipare anche B. ricevendone in cambio un compenso.

Ricorre l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 stanti le modalità di intimidazione poste in essere dal gruppo dei Larosa nei confronti degli imprenditori operanti nel territorio di Giffone, disvelate dai colloqui intercettati e dalle indagini.

Quanto alle esigenze cautelari, esse sono riconducibili alla gravità dei fatti, alla non occasionalità del ruolo di intermediario svolto dal B. nella vicenda e dalla sua pericolosità, posto che egli fu individuato con determinazione da L.F. come persona, evidentemente, di fiducia alla quale rivolgersi, perchè parte del reticolo delinquenziale e disponibile a coadiuvare il capo della consorteria mafiosa, in atto detenuto. Inoltre la contestata aggravante ad effetto speciale, implica che l’unica misura cautelare adeguata, è quella della custodia in carcere, attesa l’assenza, secondo i giudici del riesame, di elementi dai quali risulti l’insussistenza delle normativamente presunte esigenze cautelari.

2.- Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’avvocato Mario Santambrogio, difensore di B.J., per i seguenti motivi:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 273 c.p.p., artt. 110 e 629 c.p.. Lamenta il difensore che gli elementi indiziari raccolti non siano qualitativamente e quantitativamente tali da poter ritenere altamente probabile che l’indagato abbia soddisfatto la richiesta di L.F. di fissargli un appuntamento con M.G. nella consapevolezza della genesi e della finalità illecita di tale richiesta e, soprattutto, con la consapevolezza di apportare, con la sua condotta, un contributo idoneo a farlo concorrere nel reato. Infatti la richiesta di L.F. di fargli incontrare un suo conoscente, il M.G., non disvelava di per sè stessa alcunchè di illecito, essendo ovvio che se anche, come affermato nel provvedimento gravato, egli era a conoscenza dello spessore criminale dei Larosa, la semplice provenienza da uno di loro di fungere da intermediario per un incontro con un suo conoscente, non è dimostrativa della consapevolezza in capo all’indagato di agire per assecondare una istanza strumentale alla perpetrazione di un’estorsione. Inoltre non vi è alcuna evidenza del fatto che il B. abbia partecipato all’incontro con i fratelli D. A.; nel colloquio del 3.10.2008 L.F. dice al padre di non aver ricevuto alcun appuntamento dal M., e neppure nei colloqui successivi i due accennano ad un incontro avvenuto tra L.F. ed i D.A.; dal contenuto dell’intercettazione del 10 ottobre 2008 poi, emerge chiaramente che non c’è stato alcun incontro essendosi limitato L.F. a "mandare un’ambasciata".

Dunque la motivazione è erronea ed illogica nella misura in cui ha utilizzato, a sostegno dell’iter logico, un dato di fatto erroneo o, quantomeno assolutamente congetturale. Quanto al requisito dell’elemento soggettivo non è risolutivo, a fini dimostrativi, il fatto che L.F. abbia invitato il figlio a rendere edotto il B. che a lui sarebbe andata parte del compenso estorsivo, posto che non vi è evidenza alcuna che dimostri che ciò sia avvenuto. Vi sono anzi elementi per inferire il contrario desumibili proprio dai colloqui tra i due L.. b) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7. Si duole il ricorrente che l’aggravate dell’impiego del metodo mafioso sia stata riscontrata in via generale senza, peraltro, essere rilevata in relazione al singolo reato nella sua concreta attuazione. Sostiene in proposito il ricorrente che la tentata estorsione in danno della DEA non ha disvelato l’impiego del metodo mafioso, atteso che nessun comportamento concreto è stato posto in essere da parte dei soggetti agenti per coartare in maniera più incisiva e pregnante la volontà delle vittime.

3.- Il Procuratore Generale Dott. Gabriele Mazzotta ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso è infondato.

2.- Invero il tribunale del riesame, con argomentazione compiuta e logicamente argomentata ha evidenziato che sussiste un grave quadro indiziario a carico di B.J., sicuramente identificato in virtù della circostanza che nel paese di Anoia egli è conosciuto da tutti con il soprannome di P., come dimostrato dal colloquio telefonico intercettato il 27.9.2008, nel corso del quale B. F., fratello di J., per farsi riconoscere da L. F. si presenta come fratello di P., inoltre L. F. non risulta avesse in Anoia altri punti di riferimento a nome P..

Il ruolo di intermediario in favore degli estorsori è dimostrato con chiara evidenza dai contenuti dei colloqui intercettati e non vi sono elementi, nè la stessa difesa in ricorso ne indica, dai quali desumere che l’indagato, certamente consapevole della caratura criminale dei Larosa, avesse potuto pensare ad una qualsiasi altra motivazione lecita sottostante alla richiesta formulatagli.

In particolare, nel colloquio del 5.9.2008 L.F., posto che ancora non era stato ottenuto l’anticipo sulla tangente dai titolari della DEA, i fratelli D.A., e che erano insorti dei contrasti con L.G., esorta il figlio F. a sollecitare il pagamento per il tramite di B.J., noto P., il quale vive ad Anoia paese nel quale abita anche M. G., cognato dei fratelli D.A.. Attraverso M. G. i Larosa intendevano avvicinare i titolari della DEA e nel colloquio veniva specificato che sarebbe stato utile avvalersi di un compaesano del M., identificato nel B.; scopo dell’incontro era invitare D.A.D. a dare un anticipo sulla tangente per i lavori avuti in appalto.

Nel successivo colloquio intercettato il 23.9.2008 L. F. riferiva al padre di aver incontrato, per il tramite di " P." ( B.J.), il M. il quale gli aveva assicurato che avrebbe fissato un appuntamento con il cognato,- che poi la richiesta estorsiva fosse stata formulata risulta, secondo le condivisibili argomentazioni dei giudici di merito, dal contenuto del colloquio del 10.10.2008, nel corso del quale F. comunica al padre di aver mandato "l’ambasciata" ai D.A. i quali avrebbero iniziato i lavori solo nell’aprile successivo.

Gli elementi evidenziati sono poi raccordati tra loro nell’ordinanza impugnata dalla considerazione che il rapporto tra l’indagato e i due L. doveva essere risalente e fiduciario, posto che L. F. non ha alcun dubbio nell’indicare al figlio B. J. quale punto di riferimento nel paese di Anoia e persona in grado di portare a compimento, come poi fece, l’incarico affidatogli.

La lettura del materiale indiziario infatti non può essere condotta solo in modo frammentario (S.U., sent. 12.7.2005, n. 33748, Rv.

231678) e non si esaurisce in una mera sommatoria dei singoli indizi ma richiede, dopo il necessario vaglio della portata di ciascuno degli elementi atomisticamente considerato, un esame globale e unitario degli stessi che, attraverso la composizione unitaria e la loro valutazione d’insieme, ne esalti la incidenza probatoria complessiva (Sez. 1, sent. 14.3.2010, n. 16548, Rv. 246935).

A fronte di una siffatta situazione la valutazione degli elementi indiziari, anche quelli relativi alla sussistenza dell’elemento psicologico in capo all’indagato, ai fini della prognosi circa la sua ipotizzarle colpevolezza, è stata condotta dai giudici del riesame in maniera incisiva e scrupolosa.

Essa infatti non si è basata, come difensivamente dedotto, solo su un dato congetturale ma ha correttamente proceduto al vaglio richiesto circa la gravità – intesa quale capacità di resistenza alle obbiezioni-, la precisione – cioè la non suscettibilità di diversa interpretazione e, quindi, la non equivocità-, la concordanza – intesa quale mancanza di contrasto tra loro e con altri dati certi risultanti in atti – dei singoli elementi acquisiti e circa la loro idoneità complessiva – una volta assemblati – ad assicurare una specifica e sufficientemente probabile previsione di colpevolezza.

Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso è da ritenere infondato.

3.- Considerazioni in parte analoghe valgono anche per l’altro motivo di ricorso.

Invero con argomentazione congrua e scevra da violazione di legge e vizi di motivazione i giudici del riesame individuano l’aggravante del metodo mafioso, speso nell’episodio estorsivo di cui trattasi, tanto con riguardo, in generale, al modus operandi tipico della consorteria facente capo al L.F. – solito adoperare nei confronti degli imprenditori operanti in Giffone violenze materiali (come danneggiamenti ai mezzi) e coartazioni psicologiche collegate al contesto delinquenziale di riferimento – che con specifico riferimento alla specifica circostanza, risultante dall’intercettazione del 16.9.2008, che l’estorsione ai D.A. andava agli stessi prospettata come un anticipo sulla somma finale che avrebbero dovuto in ogni caso pagare, in quanto titolari dell’impresa che si era aggiudicata l’appalto per la costruzione di un muro di sostegno in località Calvario dell’agro di Giffone, ai malavitosi che con metodo mafioso pretendevano tangenti da tutte le ditte esecutrici di lavori in quella zona.

4.- Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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