Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 14-06-2011) 25-10-2011, n. 38709

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Catanzaro con sua sentenza del giorno 11/11/2010 ha dichiarato, a fronte di due appelli proposti dall’imputata P.M.A., inammissibile l’appello del 12/5/2008 proposto prima del deposito della motivazione della sentenza impugnata dalla imputata contro la sentenza di condanna del giudice monocratico di Cosenza del 5/5/2008 e infondato il secondo appello con conseguente conferma della sentenza impugnata.

L’imputata P.M.A. ha proposto ricorso per Cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.

Parte ricorrente denunzia 1 violazione dell’art. 606 c.p., per erronea applicazione della legge penale, e per mancata corrispondenza tra fatti addebitati e fatti ritenuti con violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p..

2. violazione degli artt. 187, 190 e 192 c.p.p., per non avere il giudice dell’appello provveduto alla rinnovazione del dibattimento con rinnovazione di ufficio di prove essenziali;

3. contraddittorietà della motivazione e sua omissione in punto di divergenze testualmente rilevabili dagli stessi capi di imputazione di volta in volta riferiti a furto di assegno in bianco, a uso di assegno falsamente compilato, a incasso del detto assegno con sola apposizione di firma falsa;

4. erronea e ingiusta dichiarazione di inammissibilità del primo atto di appello.

All’udienza pubblica del 14/6/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

Il Tribunale di Cosenza aveva ritenuto P.M.A. responsabile dei reati di cui all’art. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 4, art. 61 c.p., n. 11 (rubrica capo a), nonchè art. 61 c.p., n. 2, artt. 489 e 491 c.p. (rubrica capo b) e, infine art. 640 c.p. (rubrica capo c), tra loro unificati nel vincolo della continuazione, e aveva concesso le attenuanti equivalenti alla contestata aggravante così irrogando una pena finale di anni uno di reclusione ed Euro 600,00 di multa e inoltre condannando l’imputata al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

La sentenza di appello motiva adeguatamente sulla inammissibilità di una impugnazione proposta prima che siano state rese pubbliche le ragioni giustificative della decisione impugnata. E risulta chiara la ragione della inammissibilità di una impugnazione che manca di oggetto fino a che la decisione impugnata non sia giustificata da una motivazione articolata in capi e punti ai sensi dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a), contro la quale sia possibile opporre reali e concrete doglianze. Tanto determina il rigetto, in un ordine di priorità logica, del quarto motivo di censura. Anche la prima censura deve essere rigettata. La sentenza impugnata conferma la sentenza di primo grado che condannando la imputata per i capi a) b) e c) della imputazione (tutti riuniti nel vincolo della continuazione) ha adottato una decisione rigorosamente inscritta nella relazione di corrispondenza tra imputazione contestata e decisione adottata e, di conseguenza, non è incorsa in alcuna violazione dell’art. 522 c.p.p., per non essere la sentenza impugnata pronunziata, diversamente da quanto assume il ricorso, pronunziata per fatti diversi da quelli contestati.

La seconda censura è infondata. Quanto al difetto di rinnovazione della istruttoria in appello occorre anzitutto ricordare che tale rinnovazione era stata chiesta domandando un "confronto" tra CTU e consulente di parte. Occorre aggiungere che il potere conferito al giudice dall’art. 507 c.p.p., è un potere suppletivo contro la negligenza e l’inerzia delle parti (Così Corte Cost. 26/3/1993 n. 111) e che tale potere può essere esercitato solo a condizione che emerga l’assoluta necessità di assumere anche d’ufficio nuovi mezzi di prova (Cass. Pen. Sez. 5, 27/4/2005 n. 15631). La sentenza impugnata, con ricchezza di motivazione, (specialmente centrata sulla provata operazione di incasso effettuata dalla P. per l’assegno da mille euro), ha affermato che la lunga istruttoria dibattimentale, unitamente agli esiti della CTU, ha permesso di accertare oltre il ragionevole dubbio, la responsabilità dell’imputata in ordine alla prime tre ipotesi di reato. La sentenza impugnata ha dunque logicamente e compiutamente motivato (implicitamente ed esplicitamente) sulla non decisività del supplemento istruttorio richiesto e sulla mancanza di qualsiasi necessità di esercizio del potere suppletivo del giudice. Da ultimo deve essere rigettato il terzo motivo di ricorso posto che le ragioni della condanna, enucleate sul filo conduttore dei capi di imputazione, non sono affatto contraddittori ma identificano una condotta progressiva che ha realizzato i reati contestati entro un quadro unitario e per nulla inficiato da aporie o discontinuità.

Il ricorso deve essere rigettato nella sua interezza e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese, liquidate in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge, in favore della parte civile costituita.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita e liquida le stesse in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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