Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-05-2011) 25-10-2011, n. 38704 Controversie tra l’appaltatore e l’amministrazione appaltante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 25 novembre 2010, la Corte d’appello di Roma, riformando la sentenza 6 marzo 2008 del Tribunale di Roma in accoglimento degli appelli proposti dal Procuratore della Repubblica e dalle parti civili, dichiarava P.M. responsabile del delitto di cui all’art. 40 c.p., comma 2 e art. 589 c.p., commesso in (OMISSIS) in danno di S.E..

Condannava per l’effetto l’imputato, concesse le attenuanti generiche, alla pena di mesi SEI di reclusione (pena base: mesi nove recl. ridotta di un terzo) oltrechè – in solido con i responsabili civili: Comune di Roma e s.p.a. Toro Assicurazioni – al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi il separata sede, fatta eccezione per le provvisionali accordate a ciascuna delle stesse.

Al P. si addebitava di aver concausalmente contribuito a cagionare la morte del motociclista S.E. che, transitando su di un tratto di viale (OMISSIS) (in direzione di via (OMISSIS) ed in prossimità dell’incrocio con via (OMISSIS)) alla velocità stimata di 85 km/orari (superiore al limite consentito), aveva perduto l’equilibrio cadendo rovinosamente al suolo (così riportando gravissime lesioni che ne avevano determinato l’immediato decesso) per effetto dell’ingovernabile sbandamento del motoveicolo tg. (OMISSIS), da lui condotto nel momento in cui era giunto a sormontare il dissestamento del piano viabile, caratterizzato da evidenti e plurimi sconnessioni ed avvallamenti, in un punto in cui la strada piegava leggermente a sinistra. All’imputato veniva fatta risalire la responsabilità dell’evento poichè, quale legale rappresentante della s.r.l.

EDILEMME, appaltatrice, per l’intero anno 2003, delle opere di pronto intervento, sorveglianza e manutenzione ordinaria di strade e di manufatti stradali di proprietà del Comune di Roma, ricadenti nel territorio del 12^ Municipio, aveva omesso di verificare preventivamente la pericolosità di quel tratto di strada ove, per i dissesto del piano viabile, si era verificato l’incidente stradale, versando in colpa generica ed in colpa specifica, per inosservanza degli specifici obblighi derivanti dal contratto d’appalto e dal relativo capitolato d’appalto speciale che gli imponeva l’obbligo di curare la completa ed efficace sorveglianza su tutta la zona dei lavori, al fine di individuare le aree degradate necessitanti di interventi di sistemazione.

La Corte d’appello, sulla base dei rilievi fotografici acquisiti al fascicolo del dibattimento oltrechè delle diverse fonti testimoniali e degli accertamenti peritali, ha ritenuto che l’insieme delle anomalie riscontrate sul piano viabile costituite in particolare da due sconnessioni intervallate da un solo metro, l’una dall’altra, tali da rendere probabile il verificarsi di sinistri stradali dovuti alla perdita di aderenza dei veicoli in transito, costituissero una vera e propria "insidia" ovverosia una interruzione del piano stradale,connotata dalla non visibilità e dall’imprevedibilità tale da determinare l’impossibilità del tempestivo avvistamento per evitarla, facendo uso della normale diligenza e prudenza nella guida.

Ora, posto che la manutenzione ordinaria di quel tratto di strada era affidata alla EDILEMME s.r.l. (facente capo all’imputato) e che grazie ad un intervento di consolidamento del piano stradale rientrante nell’ordinaria manutenzione – invece negligentemente omesso l’insidia avrebbe potuto esser pacificamente evitata, hanno ritenuto i Giudici d’appello che, esulando dalla condotta di guida della vittima i caratteri dell’eccezionalità ed abnormità, la caduta al suolo del motociclista si fosse verificata proprio a causa del passaggio sulla rilevata sconnessione del manto stradale, avuto riguardo in particolare alle incontestabili deduzioni formulate dal perito sulla base dei rilevati punti di caduta e d’inizio della traccia di scarroccio. Non aveva avuto alcuna incidenza sulla produzione dell’evento, come invece ritenuto dal Tribunale, la velocità stimata di km/orari 74 – superiore al limite consentito – alla quale procedeva il motociclista. La Corte distrettuale ha invero condiviso l’opinione del perito che ha escluso che la velocità potesse aver fatto perdere aderenza al motoveicolo sì da provocare la caduta del S., dovendo invece concludersi che, anche qualora avesse marciato a 50 km/orari, si sarebbero determinate conseguenze identiche, al momento del passaggio sulla sconnessione del manto asfaltato. Ricorre per cassazione il P., per tramite del difensore, articolando tre distinti motivi.

Con la prima censura lamenta la difesa la violazione dell’art. 525 c.p.p., comma 2 e art. 599 c.p.p., comma 3 nonchè il vizio di difetto di motivazione in ordine alle specifiche eccezioni sollevate nel giudizio d’appello. L’esame del perito ing. F., effettuato all’udienza del 4 novembre 2011 al pari della relazione dallo stesso redatta, sono entrambi inutilizzabili ai fini della decisione per aver in realtà il perito fatto riferimento agli accertamenti ed alle valutazioni dal medesimo compiute in loco ed alla consulenza tecnica in precedenza redatta, benchè formalmente dichiarata inutilizzabile per effetto del mutamento del collegio, ma di fatto invece utilizzata in quanto non stralciata e presente agli atti. Inoltre avrebbe dovuto la Corte d’appello fissare altra udienza per l’espletamento di atti d’istruzione dibattimentale, stante l’assenza dei difensore del responsabile civile: Comune di Roma.

Con il secondo motivo censura il ricorrente la mancata assunzione di una prova decisiva, avendo la Corte distrettuale respinto la richiesta di esame dei tre consulenti di parte, avanzata dall’imputato, in ordine all’effettiva sussistenza del fatto storico riferito dal perito d’ufficio ing. F., concernente l’avvenuto tracciamento in loco di una linea riproducente la traiettoria seguita dal motoveicolo in transito sul punto interessato dalle pretese sconnessioni del manto stradale. Indubbio era l’interesse dell’imputato al fatto che restasse esclusa la circostanza in modo tale che il processo potesse concludersi in suo favore, in difetto di prova, aliunde ricavabile, del punto in cui la vittima era transitata.

Con la terza doglianza dedotta, il difensore denunzia il difettosa contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione nonchè il travisamento della prova in relazione all’insussistenza dell’insidia (conoscendo la vittima perfettamente quel tratto di strada) e dell’obbligo del P. di intervenire sul manto stradale con un c.d. rappezzo, peraltro sconsigliato potendo peggiorare le condizioni della strada, già note del resto all’Ente proprietario.

Conclusivamente il ricorrente richiede l’annullamento della impugnata sentenza. Ricorre altresì il responsabile civile Roma Capitale per la cassazione della suddetta sentenza nonchè, per quanto occorrer possa, dell’ordinanza emessa in data 4 novembre 2010 dalla Corte d’appello di Roma, articolando quattro distinti motivi così sintetizzati.

Con la prima censura denunzia la violazione dell’art. 185 c.p. e art. 651 c.p.p. non sussistendo, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello di Roma, alcun obbligo di natura civilistica in capo al Comune di Roma (ora Roma Capitale) a tutela od in solido con l’imputato, non essendo intercorso tra le parti alcun rapporto di lavoro subordinato. L’imputato non era infatti dipendente del Comune di Roma, ma rappresentante legale della società EDILEMME resasi aggiudicataria del contratto di appalto per la manutenzione e la sorveglianza della strada ove si era verificato il sinistro.

L’autonomia dell’appaltatore esclude ogni rapporto institorio tra committente ed appaltatore con la conseguente inapplicabilità dell’art. 2049 c.c., tanto più trattandosi di appalto pubblico.

Consolidata giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, anche qualora l’appaltatore abbia assunto contrattualmente un obbligo di controllo, da tale fonte non potrebbe scaturire una responsabilità dell’appaltante a norma dell’art. 185 c.p. che configura la responsabilità civile per fatto altrui nel solo caso in cui essa trovi titolo in una norma di legge.

Con il secondo motivo, si duole il ricorrente dell’inosservanza dell’art. 525 c.p., comma 2 avendo la Corte d’appello disposto, in diversa composizione, all’udienza successiva a quella di apertura del dibattimento in cui si era tenuta la relazione del processo, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nominando perito lo stesso perito già officiato, attesa l’opposizione di talune parti all’utilizzabilità degli atti compiuti in precedenza, senza però rinnovare la relazione introduttiva.

Denunzia il responsabile civile, con la terza doglianza, l’inosservanza dell’art. 191 c.p.p., per avere la Corte distrettuale consentito l’utilizzazione della relazione peritale svolta dallo stesso professionista nominato dal precedente collegio poi mutato (che, rispondendo ai quesiti in udienza, si era limitato a richiamare le operazioni peritali già svolte senza rinnovarle) pur in difetto del consenso delle parti.

Con il quarto motivo di ricorso, il difensore lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. per avere la Corte d’appello negato alle parti la possibilità di sentire in contraddittorio i rispettivi periti, già nominati nel corso del giudizio di primo grado, una volta escusso all’udienza del 4 novembre 2010 il consulente d’ufficio ing. F.;

donde la violazione del diritto alla prova e del disposto dell’art. 603 c.p.p..

Con memoria depositata il 12 maggio 2011 il difensore delle parti civili, confutando le censure introdotte dalle altre parti, conclude per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

Motivi della decisione

Il ricorso proposto dall’imputato P.M. è infondato e va quindi respinto, con il conseguente onere, a carico dello stesso, del pagamento delle spese processuali e di quelle in favore delle costituite parti civili, in dispositivo liquidate.

Quanto al primo motivo di ricorso, deve rilevarsi che, in conformità a consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare Sez. 4 n. 10713 del 2000), del tutto legittimamente, la Corte d’appello, sopravvenuta la modificazione della composizione del Collegio ed attesa la necessità di rinnovare la perizia già disposta ed espletata in ragione del dissenso di talune delle parti alla utilizzazione della stessa, aveva proceduto al conferimento dell’incarico al perito già nominato dal diverso Collegio, senza incorrere quindi nel divieto sancito dall’art. 222 c.p.p., lett. e).

Neppure appare sussistere alcuna violazione del disposto dell’art. 525 c.p.p., comma 2 per avere i Giudici di secondo grado, asseritamente eludendo la sanzione di inutilizzabilità della perizia in precedenza disposta e redatta su incarico conferito dal Collegio giudicante successivamente mutato, posto a base della decisione la precedente consulenza, solo formalmente dichiarata inutilizzabile, come eccepito dal ricorrente. In verità, a quanto si evince dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, la Corte distrettuale si è basata, ai fini della ricostruzione fattuale del sinistro stradale, sui rilievi fotografici dello stato dei luoghi (inclusi nel fascicolo del dibattimento – fgl. 3) riproducenti le sconnessioni interessanti il manto stradale in quel dato punto, descritte poi analiticamente dal perito nell’esposizione orale resa all’udienza 4 novembre 2010 in risposta ai medesimi quesiti già sottopostigli dal collegio nella precedente composizione e riformulatigli in sede di rinnovazione della consulenza dall’altro, nella definitiva composizione (fgl. 4).

Lo stesso perito, come rimarcato – a fgl. 5 della motivazione – allo scopo di determinare la velocità cui procedeva il motociclista all’atto di sormontare la suddetta sconnessione, si era basato sulle tracce rinvenute sull’asfalto, sui rilievi e sulle fotografie contenuti nel fascicolo e sugli accertamenti planimetrici eseguiti dai Carabinieri, formalmente acquisiti agli atti con specifica ordinanza pronunziata all’udienza del 4 novembre 2010. La Corte d’appello di Roma ha peraltro utilizzato, ai fini della formazione del proprio convincimento (fgl. 6 e 7), l’avviso espresso dal perito nel contraddittorio in sede di risposta diretta ai quesiti sottopostigli alla stessa udienza 4 novembre 2010 – ex art. 227 c.p.p., comma 1 e art. 501 c.p.p. – in ordine al fatto che la velocità più bassa, in un veicolo a due ruote, è in teoria causa di maggiore instabilità nonchè circa il dato, obiettivamente ricavato dallo stato dei luoghi da chiunque verificabile, costituito dalla misurazione del raggio della curva percorsa dalla vittima al fine di quantificare, con valutazione tecnica frutto delle conoscenze professionali del perito stesso,la velocità massima che, in difetto di anomalie, avrebbe consentito al motoveicolo di percorrere quel tratto di strada, conservando aderenza. Ne consegue che nessuna violazione al disposto dell’art. 525 c.p.p., comma 2. nè alcuna indebita elusione della stessa disposizione risulta configurabile, non essendo del pari censurabile la facoltà – prevista dal richiamato art. 227 c.p.p. – di rispondere direttamente ed oralmente in udienza ai quesiti in quella stessa sede formulati al perito.

Trattandosi del sostanziale rinnovo del medesimo incarico già espletato previa acquisizione e verifica degli stessi elementi fattuali accertati in precedenza ed entrati ovviamente nel bagaglio delle conoscenze del medesimo professionista, la rinnovazione,esclusivamente formale, anche di tali incombenti materiali null’altro effetto avrebbe sortito che quello di dilazionare irragionevolmente la trattazione del processo, in presenza dell’imminente compimento del termine di prescrizione senza che ricorresse alcun vulnus sostanziale al precetto dettato dall’art. 525 c.p.p., comma 2. Del tutto inconferente deve poi giudicarsi la dedotta violazione del disposto dell’art. 599 c.p.p., comma 3 (per il mancato rinvio dell’udienza stante l’assenza del difensore del responsabile civile Roma Capitale) applicabile esclusivamente in sede di trattazione del giudizio d’appello nelle forme del rito camerale, dovendo invece trovare applicazione nel procedimento trattato secondo il rito ordinario l’art. 603 c.p.p., che non prevede l’avviso al difensore assente. Nè può dirsi comunque l’imputato legittimato a sollevare siffatta obiezione, per evidente difetto di interesse.

Ineccepibile deve poi ritenersi – per ciò che attiene al secondo motivo di ricorso – la reiezione dell’istanza della difesa dell’imputato di far luogo alla rinnovazione dibattimentale previo rinvio dell’udienza onde consentire la partecipazione dei consulenti tecnici dell’imputato e dei responsabili civili che avrebbero tuttavia potuto presenziare all’udienza del 4 novembre 2010, già fissata dai procedente Collegio per l’esame del perito in contraddittorio. Osserva peraltro la Corte che l’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce un istituto di carattere eccezionale che deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso solo quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti. La determinazione del giudice d’appello, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cass. 4, 10 giugno 2003, Vassallo) come nel caso di specie in cui la Corte distrettuale ha richiamato sia il precedente esame cui era stato sottoposto lo stesso consulente dell’imputato sia la completezza dell’istruttoria espletata, non essendo riconducibile alla necessità della "rinnovazione dibattimentale" la mancata esposizione di osservazioni critiche alla relazione peritale orale resa all’udienza del 4 novembre 2011, unicamente dovuta alla negligente assenza dei consulenti di parte.

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

In linea di principio deve osservarsi che il controllo della logicità della motivazione va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicchè, nella verifica della fondatezza del motivo di ricorso ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il compito della Corte di cassazione non consiste nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma in quello – ben diverso – di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se, nell’interpretazione delle prove, abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è indispensabile dimostrare come il testo del provvedimento risulti manifestamente carente di motivazione e/o di logica, a nulla rilevando invece opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (cfr. Sez. 1, 21 settembre 1999, Guglielmi, rv. 214657).

Nel caso di specie, il ricorrente, anzichè sottoporre a critica la valutazione dei molteplici e convergenti indizi assumendo che la Corte d’appello abbia violato le regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, offre una propria diversa verità processuale (sindacando in particolare il contenuto delle deposizioni rese dai testi: Sp., Se., T., G. e M. dalle quali era emersa la sussistenza dell’insidia e la necessità, per l’imputato, di intervenire per eliminare la situazione di obiettivo pericolo, in adempimento degli obblighi contrattualmente assunti) la quale non può essere delibata in sede di legittimità allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata risulti dotata di una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia, senza contraddizioni o salti logici, saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica e delle massime di comune esperienza, al nucleo fondamentale delle risultanze del complessivo quadro probatorio.

Nella concreta fattispecie, la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali – quali sopra riportati in parte narrativa e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni – forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo. La trama argomentativi nella quale si articola la motivazione della sentenza impugnata si sottrae, perciò, agli asseriti vizi di illogicità.

Deve invece trovare accoglimento il ricorso proposto dal responsabile civile Roma Capitale, con specifico riferimento al primo dei motivi dedotti. Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex mulitis: Sez. 4 n. 39388 del 2005), la legittimazione passiva del responsabile civile in tanto sussiste in quanto nel processo penale sia imputato un soggetto del cui operato lo stesso debba rispondere in base alla legge civile, giusta il disposto dell’art. 185 c.p. "dovendo escludersi che risponda del fatto altrui in base ad un titolo contrattuale". Poichè il contratto d’appalto è caratterizzato dall’autonomia dell’appaltatore nell’organizzazione e nello svolgimento imprenditoriale dell’opera o del servizio alla cui esecuzione si è obbligato, egli è l’unico responsabile dei danni così cagionati ai terzi, escluso di regola ogni rapporto institorio tra committente ed appaltatore ed a fortiori ogni rapporto di subordinazione del secondo al primo, riconducibile al disposto dell’art. 2049 c.c..

Si pongono quali eccezioni a tale disciplina generale (pacificamente insussistenti nella concreta fattispecie) il caso di corresponsabilità di committente e di appaltatore qualora il primo, incorrendo in culpa in eligendo, abbia affidato l’esecuzione dell’opera o lo svolgimento del servizio a chi palesemente difettava delle capacità o dei mezzi tecnici indispensabili ovvero quello in cui l’appaltatore, a seguito delle ingerenze del committente, si riveli di fatto "nudus minister" di quest’ultimo, per aver proceduto a dare esecuzione al contratto non impiegando l’autonomia imprenditoriale ed agendo quindi, al pari di un lavoratore subordinato, quale mero esecutore di ordini. Nel caso di specie, in violazione del chiaro disposto dell’art. 185 c.p., la Corte d’appello ha ritenuto di affermare la responsabilità civile di Roma Capitale, quale committente dei lavori di sorveglianza e di manutenzione ordinaria delle strade ricadenti nel territorio del 12^ Municipio, sulla base di contratto d’appalto stipulato con la società di capitali della quale l’imputato era il legale rappresentante e quindi al di fuori di qualsivoglia vincolo di subordinazione tra il P. quale persona fisica ed il responsabile civile.

L’impugnata sentenza deve quindi esser annullata senza rinvio in punto alla condanna del responsabile civile Roma Capitale, restando pacificamente assorbiti in tale pronunzia gli altri motivi di ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di P.M. che condanna al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione, in favore delle costituite parti civili, delle spese di questo giudizio che, unitariamente e complessivamente, liquida in Euro 3.000,00 oltre spese generali, I.V.A e C.P.A., nelle misure di legge.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente alla condanna del responsabile civile Roma Capitale, statuizione che elimina.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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