Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-05-2011) 25-10-2011, n. 38702

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 3 maggio 2010, la Corte d’appello di Trieste, confermando la sentenza emessa in data 3 aprile 2008 dal Tribunale di Udine, giudicava B.A. responsabile del delitto di cui all’art. 590 c.p. (così qualificata l’originaria contestazione formulata ex art. 582 c.p.) per aver cagionato all’affine M. C., facendola oggetto di continue e pressanti vessazioni ed angherie di ogni genere, tanto da costringerla ad abbandonare la propria abitazione, lesioni personali di natura psicologica consistenti in un aggravamento di un disturbo depressivo nonchè in una sintomatologia fobico – ansiosa presente da molto più tempo, con condotta protrattasi fino al (OMISSIS).

La Corte distrettuale ha sottolineato in motivazione che la qualificazione delle condotte dell’imputata – pacificamente accertate – volutamente e pervicacemente vessatorie e persecutorie nei confronti della parte offesa, tali da risultare sorrette da un dolo significativamente intenso, non avrebbero in realtà potuto condurre a ravvisare il delitto di cui all’art. 590 c.p.: statuizione divenuta peraltro ormai immodificabile non risultando la sentenza di primo grado impugnata, sul punto.

Ricorre personalmente per cassazione la B. censurando la sentenza d’appello, in primo luogo, per vizio di motivazione, per avere i Giudici di secondo grado ritenuto attendibili la testimonianza della parte offesa nonchè le altre deposizioni rese dai testi indotti dalla parte civile, non sottoponendole a doveroso e rigoroso vaglio critico.

Con il secondo motivo, lamenta la ricorrente l’inosservanza od erronea applicazione della legge penale e la mancata assunzione di una prova decisiva (perizia psichiatrica sulla persona della denunziante) richiesta anche nel corso dell’istruttoria dibattimentale ex art. 495 c.p.p., comma 2, atteso il diniego dei consulenti dell’imputata di partecipare alla perizia psichiatrica da eseguire sulla persona offesa – denunziante: prova richiesta non solo tempestivamente dalla difesa in sede predibattimentale di primo grado, ma anche in grado d’appello tramite rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e da ritenersi decisiva al fine di accertare la natura dei malesseri lamentati dalla parte offesa siccome causati da patologie diverse che nulla avevano a che vedere con la condotta ascritta alla imputata.

Insta conclusivamente la ricorrente per l’annullamento della sentenza impugnata.

Con motivi aggiunti depositati in cancelleria dal difensore d’ufficio in data 12 maggio 2011, si denunzia l’ulteriore violazione dell’art. 124 c.p. per tardività della querela, presentata il 5 aprile 2005 in relazione a fatti commessi fino al (OMISSIS) dei quali, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte distrettuale, la parte offesa aveva avuto contezza nello stesso mese di settembre 2004 (e non invece nel febbraio 2005, in cui prese atto del parere del consulente di parte) al pari della stessa riferibilità della lamentata patologia alle condotte dell’imputata.

Lamenta altresì il difensore come nè in primo nè in secondo grado si sia proceduto ad accertare la sussistenza del nesso di causa tra le condotte ascritte alla imputata e l’evento e come si sia proceduto ad una diversa qualificazione giuridica di un complesso di fatti in ordine ai quali l’imputata era stata già giudicata dal Giudice di pace, come riferito nella motivazione della sentenza impugnata.

Da ultimo si duole la difesa dell’illogicità della motivazione che ha condotto la Corte distrettuale a denegare le attenuanti generiche "per la speciale intensità del dolo" laddove si era ritenuta ormai irrettrattabile la qualificazione del fatto in termini di lesioni colpose.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

Osserva il Collegio che con il primo motivo la ricorrente ripropone invero, in sede di giudizio di legittimità, le medesime doglianze già dedotte con l’atto d’appello, senza nulla aggiungere di nuovo o di diverso.

Circa la valutazione e la rilevanza probatoria della deposizione testimoniale della parte offesa, va detto che anche nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice, detta testimonianza può pacificamente concorrere alla determinazione di tale convincimento, ove la stessa – ancorchè in astratto non immune dal sospetto indotto dall’essere, la teste, portatrice di interesse antagonistico a quello dell’imputato – sia sottoposta ad accurato ed approfondito vaglio ai fini della credibilità soggettiva ed oggettiva; essa tuttavia, diversamente da altre fonti di conoscenza – come le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati di reati connessi – non abbisogna necessariamente di riscontri esterni, essendo l’eventuale ricorso a questi ultimi solo funzionale al vaglio di credibilità (così anche: Sez. 1, 8 febbraiol999 n. 6502). Sicchè in linea di principio, il convincimento che il giudice del merito ne tragga è immune da vizi deducibili in sede di legittimità, ove sia sostenuto da adeguata e logica motivazione. Difatti, e sotto un più generale profilo, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr. S. U. 29 gennaio 1996 n. 930).

Nel caso di specie la Corte distrettuale (cfr. fgl. 5 e segg.), a suffragio dell’affermazione della penale responsabilità della imputata ha del tutto esaustiva mente richiamato, a riscontro della deposizione – ex se attendibile della parte offesa (significativamente circostanziata e scevra da animosità o da rancore) – le testimonianze, indotte dalle parti, rese sia dai parenti prossimi sia dai vicini di casa che da conoscenti (peraltro ampiamente valutati dal Giudice di prime cure con argomentazioni critiche fatte proprie dalla stessa Corte) nonchè le fotografie (idonee a provare la condotta vessatoria posta in atto dalla imputata, descritta in termini assai articolati nel capo di imputazione) oltrechè le certificazioni dei vari medici psichiatri che avevano giudicato affetta la parte offesa: M.C., in riferimento ad un arco temporale compreso tra il 1 agosto 2004 ed il 10 luglio 2006, da uno stato d’ansia ovvero da uno stato ansioso depressivo, secondario a problemi famigliari.

Egualmente inammissibile è la seconda doglianza proposta. Come statuito da questa Corte, Sez. 4 con la sentenza n. 4981 del 05/12/2003 (dep. 06/02/2004) Rv. 229665, "la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove il citato art. 606 c.p.p., attraverso il richiamo all’art. 495 c.p.p., comma 2, sì riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività".

In ogni caso la Corte distrettuale, con riferimento alle altre istanze proposte dal difensore a norma dell’art. 603 c.p.p., ha congruamente sottolineato la completezza dell’articolata attività istruttoria espletata nel corso del giudizio di primo grado, attesa la valenza sia qualitativa che quantitativa degli elementi di prova orale raccolti.

L’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce – com’è noto – un istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso solo quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti. La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cass. 4, 10 giugno 2003, Vassallo): ciò che nella specie, per quanto osservato, non è revocabile in dubbio. Deve da ultimo rilevarsi che resta escluso, in questa sede, l’esame dei "motivi aggiunti" proposti da difensore nell’imminenza dell’udienza odierna ex art. 585 c.p.p., comma 4 non costituendo essi una migliore illustrazione delle stesse doglianze tempestivamente introdotte con il ricorso, come consentito.

Ha invero più volte chiarito questa Suprema Corte che i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati indicati nell’originario atto di gravame, ai sensi dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a), (ex ceteris, Cass. Sez. Un., 25.2.1998, n. 4683; id., Sez. 2, 4.11.2003, n. 45739; id., Sez. 5, 22.9.2005, n. 45725; id., Sez. 6, 20.5.2008, n. 27325).

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente:cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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