Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-05-2011) 25-10-2011, n. 38487

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 28.1.2010 la Corte di appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza avanzata da B.D., volta ad ottenere la declaratoria del bis in idem e della sussistenza del post factum non punibile tra i fatti (capo e) giudicati con la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria in data 23.10.2006 (irrevocabile il 20.2.2009) e quella della Corte di appello di Milano in data 27.10.2006 (irrevocabile il 19.6.2007); accoglieva, invece, la richiesta subordinata di applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 cod. proc. pen..

In primo luogo, ad avviso del giudice dell’esecuzione, nella specie la eccepita violazione del divieto di bis in idem non poteva ritenersi preclusa, così come la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione, tenuto conto che la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria non ne aveva fatto oggetto di espressa valutazione ed aveva escluso i presupposti per la continuazione quando non si era ancora formato il giudicato in ordine ai fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Milano.

Nel merito la Corte territoriale evidenziava che:

a) il B. era stato tratto in arresto in data 5.12.2002 in Milano per la illecita detenzione in concorso con altri di kg. 13,9 netti di cocaina;

b) allo stesso erano stati contestati nel procedimento penale dinanzi alla A.G. di Reggio Calabria, il reato associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 ed i reati fine indicati ai capi b) e c) dell’imputazione, quest’ultimo – oggetto della richiesta in esame – relativo alla importazione dalla Spagna di kg. 150 di cocaina giunta in Italia tra l’ultima settimana di novembre e la prima di dicembre 2002;

c) nella sentenza del Gup del tribunale di Reggio Calabria si affermava che il quantitativo di stupefacente sequestrato il 5.12.2002 in Milano costituiva una minima parte di quello importato dalla Spagna sin dalla fine di novembre dal B. in concorso con altri e che il predetto aveva preso parte a tutte le fasi dell’attività delittuosa culminata con l’importazione del quantitativo di kg 150 di cocaina; inoltre, emergeva che lo stupefacente rinvenuto a Milano non costituiva parte residua del maggiore quantitativo importato e detenuto per intero dal B., bensì, una parte del quantitativo assegnato all’associato B. ai fini dell’autonoma attività di spaccio.

Riteneva, quindi, che, alla luce dei richiamati principi di diritto, nel caso di specie la condotta del B. aveva assunto distinto rilievo penale al momento dell’importazione e della successiva detenzione finalizzata allo spaccio dello stupefacente rinvenuto nella sua disponibilità; anche sotto il profilo temporale, ma soprattutto, dal punto di vista ontologico la condotta di detenzione finalizzata alla cessione del quantitativo rinvenuto rappresenta un’autonoma violazione della disposizione normativa rispetto alla condotta di concorso nella importazione del maggior quantitativo di stupefacente.

2. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso, a mezzo del difensore di fiducia, il B. deducendo la violazione di legge ed il vizio della motivazione con riferimento agli artt. 648, 649 e 669 cod. proc. pen..

Ad avviso del ricorrente, con riferimento al reato contestato al capo e) della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 23.10.2006 ed al reato di cui alla condanna della Corte di appello di Milano del 27.10.2006 era stata emessa condanna per il medesimo delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, in violazione del ne bis in idem.

Invero, dalla sentenza di condanna della Corte di appello di Reggio Calabria e da quella di primo grado si desumeva che lo stupefacente di cui alla condanna della A.G. di Milano costituiva una parte dell’intero quantitativo di quello importato dalla Spagna; essendo quello di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 reato a più fattispecie, si trattava di medesimo fatto ontologicamente, cronologicamente e psicologicamente.

In particolare, era stato evidenziato al giudice dell’esecuzione come dalla sentenza di primo grado emessa dal Gup del tribunale di Reggio Calabria il 30.5.2005 risultava che il fatto contestato al B. in quel processo andava dalla importazione alla detenzione della sostanza stupefacente sulla base di pregressi accordi tra il B. ed i correi. Infatti, il predetto si era impegnato, unitamente al R., ad organizzare l’acquisto, l’importazione, il trasporto ed il recupero a Milano della sostanza stupefacente, nonchè, la detenzione di parte di essa presso la sua abitazione.

Quindi, le diverse condotte poste in essere dal B. senza soluzione di continuità (detenzione, importazione) si riferivano alla medesima sostanza stupefacente ed erano state indirizzate al medesimo fine, così che avevano perso la loro individualità e costituivano una progressione criminosa con condotte plurime di un unico reato.

Ad avviso del ricorrente, nell’ordinanza impugnata vi era un palese travisamento della motivazione della sentenza di condanna laddove si affermava che dalla stessa si desumeva un’evidente soluzione di continuità tra la detenzione dello stupefacente e le altre condotte, atteso che proprio dalla lettura della sentenza citata emergeva chiaramente che i kg. 16 di cocaina rinvenuti presso l’abitazione del B. fossero una parte del maggior quantitativo di kg. 150 arrivati a Milano. Nè, invero, dalla sentenza si rileva che il B. avesse prelevato parte del quantitativo dello stupefacente ai fini di una sua autonoma attività di spaccio.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il principio ne bis in idem è, come è noto, finalizzato ad evitare che per lo "stesso fatto" – inteso, ai fini della preclusione connessa al predetto principio, come corrispondenza storico- naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi del reato (condotta, evento, nesso casuale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, (S. U., n. 34655, 28/06/2005, rv. 231799; Sez. 1, n. 19787, 21/04/2006, rv. 234176; Sez. 2, n. 21035, 18/04/2008, rv. 240106) – si svolgano più procedimenti e si adottino più provvedimenti anche non irrevocabili, l’uno indipendentemente dall’altro.

L’art. 669 cod. proc. pen., in applicazione di detto principio, prevede che se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto deve essere ordinata l’esecuzione della condanna meno grave.

La duplicità di condanne sussiste qualora i due giudici abbiano attribuito all’imputato lo stesso fatto, inteso – come già chiarito – come coincidenza fra tutte le componenti delle concrete fattispecie, considerati non solo nello loro dimensione storico- naturalistica (con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona), ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta violare contemporaneamente più disposizioni di legge.

Deve essere, altresì, precisato che lo scrutinio relativo alla sussistenza della violazione del divieto di bis in idem deve avere riguardo al fatto di cui alla contestazione ed oggetto dell’imputazione che deve essere distinto dagli elementi di prova valutati dal giudice ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato. Infatti, come è stato in più occasioni ribadito, l’Inammissibilità di un secondo giudizio impedisce al giudice di procedere contro lo stesso imputato per il medesimo fatto, già giudicato con sentenza irrevocabile, ma non gli preclude di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo liberamente ai fini della prova di un diverso reato (Sez. 2, Sentenza n. 6482, 13/01/2011, Buonlncontri, rv. 249467).

Con specifico riferimento, poi, alle fattispecie delittuose sanzionate dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 è orientamento costante quello secondo il quale "il concorso formale tra i reati di illecita detenzione e cessione di sostanza stupefacente è escluso nel caso in cui le condotte abbiano come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente, siano contestuali e poste in essere dal medesimo soggetto o dai medesimi soggetti che ne rispondano a titolo di concorso, poichè, in tal caso, la condotta illecita minore perde la propria individualità per essere assorbita in quella più grave". Diversamente, ove le condotte siano distinte sul piano ontologico e cronologico, si è in presenza di pluralità di reati, eventualmente unificabili per continuazione. (Sez. 3, n. 8163, 26/11/2009, Merano, rv. 246211).

Nello stesso senso è stato affermato che "la detenzione illecita di stupefacenti costituisce un’autonoma ipotesi di reato, con la conseguenza che l’acquisto a fine di vendita e la consecutiva vendita di tutto o parte del quantitativo acquistato integrano distinte condotte di reato; nè, a tal fine, rileva la brevità del tempo intercorso tra le stesse, in quanto ciò non esclude che ciascun fatto cagioni autonomi eventi di pericolo, determinati da più azioni sorrette da autonome volizioni, ancorchè poste in essere in esecuzione di un unico disegno criminoso (Sez. 5, n. 4529, 10/11/2010, Malkoc, rv. 249252).

2. Nella specie il giudice dell’esecuzione ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi di diritto, affermando che non poteva ritenersi l’identità del fatto trattandosi di diversi elementi costitutivi (condotta, evento e nesso di causalità) e risultando, pertanto, le condotte di cui alle contestazioni In oggetto erano distinte sul piano ontologico, temporale, psicologico e funzionale.

E’ stato, infatti, evidenziato che – premesso il dato fattuale quale emerge dalle sentenze divenute irrevocabili – il quantitativo dello stupefacente (kg. 16 lordi) sequestrato in Milano, per il quale il B. è stato condannato dalla Corte di appello di Milano, faceva parte del più ingente quantitativo di cocaina (kg. 150) importato dalla Spagna dai partecipi del sodalizio, tra i quali il predetto, di cui alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria, con condotte, quindi, non contestuali ed, altresì, distinte sul piano ontologico, psicologico e causale.

E’ stato, inoltre, sottolineato come la condotta contestata cui si riferisce la sentenza di condanna della Corte di appello di Reggio Calabria avesse riguardo all’attività di acquisto, importazione, trasporto e cessione del maggiore quantitativo di stupefacente e che tale fatto era costituito da più attività che si erano protratte nel tempo a partire dalla fine di novembre 2002, così che non poteva ritenersi in esse assorbita la distinta condotta della detenzione del quantitativo di kg 16 di cocaina costituito dalla parte dello stupefacente che il B. aveva ritirato nei primi giorni di dicembre in Milano presso il T..

A fronte di ciò le argomentazioni del ricorrente devono ritenersi non rilevanti con conseguente infondatezza delle censure mosse all’ordinanza impugnata.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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