Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-05-2011) 25-10-2011, n. 38486

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 19.10.2010 la Corte di appello di Caltanissetta, quale giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza avanzata da R.C., volta ad ottenere – per quanto qui interessa – l’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 cod. proc. pen., tra le sentenze emesse dalla medesima Corte di appello in data 28.4.2009 ed in data 5.5.2009, divenute irrevocabili.

La Corte, premetteva che:

a) con la sentenza del 28.4.2009 il R. era stato condannato per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commesso dal 1980 al 1993, in continuazione con altre violazioni in materia di stupefacenti e con il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. giudicati con le sentenze irrevocabili della Corte di appello di Milano in data 29.10.1986 e 27.5.1988 e della Corte di appello di Caltanissetta in data 25.7.2003, con determinazione della pena complessiva in anni trenta di reclusione (pena base anni ventisette di reclusione per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, aumentata nella misura massima consentita ad anni trenta per la continuazione con tutti i restanti reati di cui alle suddette sentenze);

b) con la sentenza emessa il 5.5.2009 il predetto era stato condannato alla pena di anni otto di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso nel 2003.

Rilevava, altresì, che il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. giudicato con la sentenza del 25.7.2003 era contestato come commesso nel 1993, con condotta permanente, quindi, doveva ritenersi consumato sino alla pronuncia della sentenza di primo grado del 16.12.1995, mentre le altre violazioni della disciplina degli stupefacenti giudicate con le sentenze emesse dalla Corte di appello di Milano del 29.10.1986 e 27.5.1988, risultano commesse tra il 1984 ed il 1986.

Evidenziava, ancora, che le condotte di cui all’art. 416-bis cod. pen. di cui alle predette sentenze (del 24.7.2003 e del 5.5.2009) non potevano ritenersi manifestazione di un unico reato permanente e, pertanto, assoggettato alla disciplina della continuazione, atteso che tra la cessazione della condotta ritenuta con la prima sentenza (1995) e l’inizio della condotta di cui alla seconda sentenza (2003) intercorre un arco temporale di ben otto anni.

Inoltre, dalla motivazione della sentenza del 5.5.2009 si rileva che il R. è stato assolto con sentenza non ancora irrevocabile da altra contestazione per il medesimo reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. contestato in relazione al periodo tra marzo 2000 ed il 13.2.2002.

Riteneva, quindi, la Corte di merito che alla luce di tale assoluzione e degli eventi che hanno caratterizzato il predetto lungo periodo di otto anni fino alla nuova condotta associativa cui si riferisce la successiva condanna (detenzione del R. e di molti partecipi all’associazione mafiosa facente capo allo stesso, spostamenti in diverse località italiane lontane da Gela centro decisionale della cosca, mutamento degli equilibri associativi e di vertice che hanno condizionato negativamente la possibilità per il R. di mantenere un ruolo attivo nei sodalizio a prescindere dalla immutabilità meramente formale della affiliazione nell’omonimo sodalizio mafioso operante a Gela) non ricorressero i presupposti per l’applicazione della disciplina della continuazione.

Tanto risultava confortato dal tenore della motivazione della sentenza del 5.5.2009, laddove, ai fini della valutazione della condotta associativa in contestazione non era stata considerata la posizione rilevante riconducibile alla risalente affiliazione, bensì, la manifestazione di un ruolo autorevole rispetto ad un intervento nelle dinamiche associative del periodo successivo al 2003, come riferite dal collaboratore T. e riscontrate dai risultati delle intercettazioni.

2. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso, a mezzo del difensore di fiducia, il R. deducendo la violazione di legge ed il vizio della motivazione con riferimento all’art. 671 cod. proc. pen..

Lamenta, in primo luogo, che la Corte territoriale ha omesso di indicare gli elementi fattuali sui quali ha fondato la cessazione della permanenza del reato associativo, non essendo sufficiente il richiamo all’esito del procedimento conclusosi con la sentenza di assoluzione, peraltro, non irrevocabile.

Rileva il ricorrente che, ribadito che il vincolo della continuazione non è incompatibile con la commissione di reati permanenti la cui consumazione sia frammentata da eventi interruttivi costituiti da detenzione o condanna, proprio nella sentenza emessa dalla Corte di appello di Caltanissetta in data 5.5.2009, con la quale è stata ribaltata la decisione di primo grado, i giudici non hanno ritenuto che ci fosse stata una recisione dei contatti tra il R. con la medesima organizzazione e, quindi, un nuovo inserimento dello stesso nel medesimo clan, ma al contrario, è stata affermata la partecipazione dei tre R. al sodalizio "cosa nostra" con un ruolo di direzione dell’omonimo gruppo a partire dalla fine degli anni ’80.

Il ricorso richiama, altresì, il principio secondo il quale in tema di continuazione il decorso del tempo non è ostativo alla configurabilità della univocità del disegno criminoso al fine di affermare che, nella specie, gli elementi probatori acquisiti nei due processi consentivano di ravvisare l’identità del disegno criminoso a prescindere dagli accadimenti esterni, stante la identità del reato in esame e la compatibilità strutturale, dovendosi ritenere poco plausibile sotto il profilo logico la partecipazione al sodalizio "cosa nostra" ad intermittenza.

Motivi della decisione

L’art. 671 cod. proc. pen. attribuisce al giudice il potere di applicare in executivis l’istituto della continuazione e di rideterminare le pene inflitte per i reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili secondo i criteri dettati dall’art. 81 cod. pen..

Ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. la cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumo essere in continuazione. Le sentenze devono essere poste a raffronto per ogni utile disamina, tenendo presenti le ragioni enunciate dall’istante e fornendo del tutto esauriente valutazione.

Nella specie – come si è detto – il giudice dell’esecuzione ha valorizzato al fine di escludere la continuazione, oltre l’elemento temporale in sè non decisivo, l’intervenuta assoluzione non definitiva del R. per il reato associativo contestato per il periodo compreso tra marzo 2000 e febbraio 2002, senza indicare gli elementi di fatto posti a fondamento di tale decisione; inoltre, sono state evidenziate circostanze quali lo stato di detenzione del R. e di molti partecipi all’associazione mafiosa facente capo allo stesso e lo spostamento in diverse località italiane lontane da Gela di alcuni di essi omettendo qualsivoglia disamina delle condotte tenute dal predetto nel periodo in esame.

Se è vero che la riferibilità ad un contesto delinquenziale organizzato non può essere invocata quale elemento in sè univocamente sintomatico dell’unicità del disegno criminoso, deve essere altresì ricordato che il vincolo della continuazione non è Incompatibile con la commissione di reati permanenti la cui consumazione sia frammentata da eventi interruttivi costituiti da fasi di detenzione o da condanne. Eventi imprevedibili come la detenzione o la condanna determinano una frattura che impedisce il mantenimento dell’identità del disegno criminoso che caratterizza la continuazione, tuttavia, ciò può non essere vero in contesti delinquenziali come quelli determinati dalle associazioni di stampo mafioso nei quali i periodi di detenzione o le condanne definitive sono accettate dai sodali come prevedibili eventualità. In tali casi il vincolo della continuazione non è incompatibile con un reato ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad una associazione di stampo mafioso, quando il segmento della condotta associativa successiva all’evento interruttivo trova la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio (Sez. 6, n. 8851, 13/03/1997, Capizzi, rv. 209118).

Il provvedimento impugnato, ad avviso del Collegio, deve essere, pertanto, annullato con rinvio per nuovo esame alla luce dei criteri indicati alla Corte di appello di Caltanissetta.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Caltanissetta.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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