Cass. civ. Sez. VI, Sent., 18-04-2012, n. 6083 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che Z.M. – quale erede del defunto marito L. P. – con ricorso del 26 novembre 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico articolato motivo di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Bologna depositato in data 26 maggio 2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della Z. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha dichiarato improponibile il ricorso;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro da 11.000,00 a 22.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso dell’8 settembre 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) P.L., dante causa della moglie Z.M., asseritamente titolare del diritto alla pensione privilegiata per infermità contratta in servizio, aveva proposto – con ricorso del 1 aprile 1998 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 31 luglio 2009;

che la Corte d’Appello di Bologna, con il suddetto decreto impugnato, ha dichiarato improponibile il ricorso, osservando che il ricorrente non aveva presentato l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione e che il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008, può trovare applicazione nell’ipotesi, quale quella in esame, in cui il processo nell’ambito del quale si è verificata la violazione che ha fatto sorgere il diritto all’equa riparazione sia ancora pendente e il giudizio per equa riparazione sia stato promosso, successivamente all’entrata in vigore (25 giugno 2008) di detta norma.

Motivi della decisione

che, con il motivo di censura, viene denunciata dal ricorrente come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, l’affermata applicabilità del predetto D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 anche ai giudizi amministrativi pendenti e, quindi, la sostanziale efficacia retroattiva di tale disposizione;

che il ricorso merita accoglimento;

che questa Corte ha già più volte affermato i principi secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, secondo cui l’innovazione, introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2 convertito in legge con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 (per il quale la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51), non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere, e secondo cui – tuttavia – la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 e 28428 del 2008, 14753 del 2010, nonchè l’ordinanza n. 5317 del 2011);

che, sempre in conformità con tale orientamento, è stato ulteriormente precisato che l’innovazione introdotta dal citato D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 è inapplicabile – in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie ed in ossequio al principio tempus regit actum – a quei procedimenti di equa riparazione aventi ad oggetto un giudizio amministrativo introdotto prima dell’entrata in vigore della predetta normativa (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 115 del 2011);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, specificamente sull’interpretazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 in senso conforme alla CEDU), la quale inoltre, con due recenti decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia, e del 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille/00 Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consente al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 14753 del 2010 cit. e 1359 del 2011);

che, inoltre ed in particolare, questa Corte ha affermato il principio per il quale, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi, introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9 – nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 54 convertito in legge dalla L. n. 133 del 2008, art. 1, comma 1 – non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito, dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo, con la conseguenza che la mancata presentazione dell’istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come base per una decrescente valutazione del danno e del relativo risarcimento (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 6619 del 2010 e 3271 del 2011);

che, ancora, è stato precisato che in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, la proponibilità della relativa domanda avanti alla corte d’appello esige che nel giudizio presupposto, in cui si assume essersi verificata la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, sia stata presentata l’istanza di prelievo, ai sensi del citato D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e secondo le modalità del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2 ancorchè tale atto e l’eventuale istanza di fissazione d’udienza ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2 siano privi della sottoscrizione personale della parte, mancando una specifica deroga al principio generale, per il quale gli atti processuali di parte sono posti in essere direttamente dal difensore costituito con rituale procura, e nonostante la norma da ultimo citata preveda che la predetta istanza debba essere sottoscritta dalla parte personalmente, pena l’improcedibilità di quel giudizio, in quanto la violazione della norma in parola non può determinare anche effetti procedurali negativi sul diverso giudizio di equa riparazione promosso dalla parte avanti alla corte d’appello, cui non spetta stabilire se il giudizio presupposto dovesse essere dichiarato improcedibile (cfr. l’ordinanza n. 25832 del 2010);

che infine, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005; cfr., altresì, le sentenze nn. 18780 del 2010 e 10500 del 2011);

che, nella specie, i Giudici a quibus, in violazione di tali principi, hanno sostanzialmente fondato la ratio decidendi di improponibilità del ricorso sull’erroneo presupposto dell’efficacia retroattiva del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle censure accolte;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di undici anni e tre mesi circa (dal 1 aprile 1998, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, al 31 luglio 2009, data del deposito della sentenza che ha definito il processo presupposto);

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo;

che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, va determinato in Euro 6.250,00 per gli undici anni e tre mesi circa di irragionevole durata in favore della ricorrente, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4, e B, par. 1, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 6.250,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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