Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-05-2011) 25-10-2011, n. 38753

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 5/2/2010 il G.U.P. del Tribunale di Pisa dichiarava non luogo a procedere nei confronti di P.E., perchè il fatto non sussiste, in relazione al delitto di cui all’art. 589 c.p., omicidio colposo in danno della paziente B. V. ((OMISSIS), decesso del (OMISSIS)).

Al P., in qualità di responsabile del reparto di chirurgia dell’Ospedale di (OMISSIS), veniva fatto carico che, a fronte di una paziente ricoverata con patologia di ernia mediana e presenza di anse intestinali, condizioni che imponevano un immediato intervento, ometteva di disporlo ed esso veniva eseguito dopo tre giorni, il 30/7/2006 dopo il manifestarsi di una perforazione intestinale con conseguente peritonite settica che portava la paziente al decesso il 12/9/2006 dopo ulteriori vani interventi chirurgici.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore delle parti civili, lamentando:

2.1. la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, laddove il G.U.P. aveva ritenuto provato il dissenso all’intervento da parte della B., mentre tale circostanza non era certa. Infatti dissenso era stato riferito dal Prof. G., il quale però nei giorni del fatto era in ferie; le deposizioni degli altri medici provenivano da persone interessate alla vicenda. Inoltre, se effettivamente il dissenso fosse stato manifestato, esso sarebbe stato annotato nella cartella clinica, annotazione che , invece, difettava.

2.2. la violazione di legge, per avere il G.U.P. esorbitato dai suoi poteri, in quanto la sentenza di non luogo a procedere può essere pronunciata solo quando sia possibile formulare un giudizio probatorio prognostico di immutabilità del quadro probatorio, che nel caso di specie non ricorreva.

3. Con memoria depositata il 26/4/2011 il difensore dell’imputato ha lamentato la tardività dell’impugnazione e quindi la sua inammissibilità.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1. Il primo profilo di inammissibilità è riconducibile all’art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), per mancata osservanza della disposizione di cui all’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), che regola la decorrenza del termine per l’impugnazione con riferimento ad ogni tipo di provvedimento giurisdizionale, compresa la sentenza di non luogo a procedere resa all’esito dell’udienza. Trattandosi di provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio, per l’impugnazione è previsto il termine di quindici giorni, che decorre dalla scadenza dei trenta giorni stabiliti dall’art. 424 cod. proc. pen., comma 4, allorchè la motivazione sia depositata entro quest’ultimo termine (Cass. Sez. U, n. 31312/2002, D’Alterio; Sez. 6, n. 40877/2007, Esposito; Sez. 1, n. 14375/2008, Capocci).

Nel caso di specie, la sentenza del G.U.P., emessa alla presenza delle parti, è stata pronunciata il 5/5/2010 e depositata in data 18/5/2010 (entro il trentesimo giorno). Il termine di quindici giorni per impugnare decorreva quindi dal 5/6/2010, per cui l’impugnazione presentata il 9/9/2010 è tardiva. Peraltro, anche a tener conto del fatto che il G.U.P. ha impropriamente riservato il termine di 60 giorni per il deposito della motivazione, ed a volere quindi ritenere che il dies a quo per impugnare decorresse dalla scadenza di detto termine, il 5/7/2010, pur sempre l’impugnazione depositata a settembre è tardiva.

Va ricordato, infatti, che le Sezioni Unite di questa Corte hanno avallato l’orientamento interpretativo secondo cui "Il termine di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere,- pronunciata all’esito dell’udienza preliminare, è quello di quindici giorni previsto dall’art. 585 cod. proc. pen., comma 1, lett. a), per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e lo stesso decorre, per le parti presenti, dalla lettura in udienza della sentenza contestualmente motivata ovvero dalla scadenza del termine legale di trenta giorni, in caso di motivazione differita e depositata entro tale termine, rimanendo irrilevante l’eventualità che il giudice abbia irritualmente stabilito un termine più ampio per il deposito della suddetta motivazione" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 Cc. (dep. 26/05/2011), Loy, Rv. 249670; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 21520 del 07/05/2008 Cc. (dep. 28/05/2008), Formisano, Rv. 240076; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 43609 del 11/10/2007 Cc. (dep. 23/11/2007), Lancella, Rv. 238156; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 30967 del 28/06/2007 Cc. (dep. 30/07/2007), Bimbi, Rv. 237087;

Cass. Sez. 6, Sentenza n. 39458 del 09/10/2003 Cc. (dep. 20/10/2003), Bassetto, Rv. 227601; Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 1798 del 28/11/2002 Cc. (dep. 16/01/2003), Vidoni, Rv. 223281).

4.2. In ogni caso il ricorso è inammissibile anche in relazione alle censure di violazione di legge e difetto di motivazione.

Infatti ha osservato il G.U.P. nella motivazione del proscioglimento che l’intervento immediato non fu eseguito, per il rifiuto manifestato dalla paziente sia ai medici che ai familiari. Inoltre, le consulenze svolte avevano accertato che, sebbene vi fosse stato il ritardo non era sicuro che un tempestivo intervento avrebbe evitato l’evento con alto grado di credibilità razionale e probabilità logica. Pertanto l’esito del giudizio controfattuale lasciva emergere l’assenza di un sicuro nesso causale.

Le censure mosse dalla difesa alla sentenza sul punto, esprimono solo un dissenso rispetto alla ricostruzione del fatto ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.

4.3. Con altra doglianza il ricorrente ha lamentato la violazione di legge per avere il giudice dell’udienza preliminare esorbitato dai suoi poteri, non limitandosi ad un mero controllo sulla fondatezza dell’esercizio dell’azione penale, ma svolgendo un vero e proprio giudizio di merito sull’accusa formulata con la richiesta di rinvio a giudizio.

Va osservato sul punto che la disciplina dell’udienza preliminare è una delle normative che, rispetto all’originaria stesura del codice del 1988, ha subito nel corso degli anni le maggiori modifiche.

La funzione dell’udienza, nella prospettiva del legislatore, era duplice: in primo luogo sottoporre ad un giudice (il giudice dell’udienza preliminare) la valutazione della fondatezza dell’azione penale esercitata dal P.M.; in secondo luogo consentire una deflazione del dibattimento, attraverso il proscioglimento in udienza preliminare o l’eventuale celebrazione dei riti speciali del patteggiamento e del giudizio abbreviato. L’udienza preliminare, infatti, è vista come la sede naturale di tali riti speciali (cfr. art. 438, comma 1 ed art. 446, comma 1). In origine la funzione dell’udienza era meramente procedurale, nel senso che il G.U.P. doveva valutare la fondatezza dell’azione penale, senza svolgere una vera e propria valutazione di merito sull’accusa. La riprova di ciò si rinveniva nell’art. 425, ove era previsto che il giudice poteva prosciogliere l’imputato, solo quando risultava "evidente" la sua innocenza. Tale previsione apparve subito fallimentare per la finalità deflativa del dibattimento, in quanto di rado ricorreva l’evidenza dell’innocenza e quindi quasi tutti i processi confluivano alla fase dibattimentale.

Fu questo il motivo per cui il legislatore, con la L. 8 aprile 1993, n. 105, soppresse l’inciso "evidente" nel corpo dell’art. 425, rivitalizzando la funzione di "filtro" dell’udienza preliminare. Essa però pur sempre non si trasformò in un giudizio di merito sull’accusa formulata dal P.M. e ciò essenzialmente per due motivi:

i limitati poteri di integrazione probatoria da parte del G.U.P. (art. 422) e l’impossibilità di prosciogliere l’imputato in caso di fonti di prova di accusa contraddittorie ma pur sempre presenti a carico dell’imputato.

La situazione è completamente cambiata con la riforma introdotta dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479 (cd. legge "Carotti"). Invero al G.U.P., ai sensi dell’art. 425, comma 3, è odiernamente consentito disporre il proscioglimento dell’imputato "anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio".

Alla luce della riforma oramai non è più sostenibile la tesi che l’udienza preliminare abbia finalità meramente procedurali, bensì può dirsi che essa consenta una vera e propria valutazione di merito dell’accusa, sebbene solo per finalità preliminari e cioè al fine di consentire al giudice di decidere se prosciogliere l’imputato (con una sentenza "stabile" ma non irrevocabile) ovvero rinviarlo a giudizio innanzi al giudice dibattimentale.

Sulla base di tali considerazioni la stessa Corte Costituzionale ha affermato che la mutata fisionomia che l’udienza preliminare è venuta assumendo, ha determinato che le decisioni che ne costituiscono l’esito devono così essere annoverate tra quei "giudizi" idonei a pregiudicarne altri ulteriori, con la conseguenza dell’applicazione del regime delle incompatibilità di cui all’art. 34 c.p.p. (cfr. Corte Cost. sent. 335/02).

Peraltro già in precedenza la Corte delle Leggi, nel dichiarare la parziale incostituzionalità dell’art. 34 c.p.p., aveva esplicitamente affermato che la più ampia alternativa decisoria offerta al giudice dell’udienza preliminare, dopo la legge Carotti "riposa su una valutazione del merito della accusa ormai non più distinguibile – quanto ad intensità e completezza del panorama delibativo – da quella propria di altri momenti processuali, già ritenuti non solo "pregiudicanti", ma anche "pregiudicabili", ai fini della sussistenza della incompatibilità".

Ne consegue, nel caso di specie, alla luce di quanto esposto, che il giudice dell’udienza preliminare, nell’adottare la sua decisione non ha esorbitato dai suoi poteri, ben essendo abilitato oramai svolgere una valutazione del "merito" dell’accusa.

Quanto ai limiti dell’esercizio di tale potere, questa Corte ha già avuto modo di precisare che "…. l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi probatorii devono avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili in giudizio, con la conseguenza che, a meno che ci si trovi in presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio per l’esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta inconsistenza di quelle di non colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è consentita quando l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi acquisiti siano superabili in dibattimento … Di tale che, il giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito ….. tale disposizione altro non è, infatti, se non la confermarne il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì …. l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio ….. e la prognosi dell’inutilità del dibattimento …." (cfr. cass. 4^, 11335/08, Huscer).

Nel caso in questione, il giudice dell’udienza preliminare, nell’adottare la sua decisione, ha valutato gli esiti delle consulenze tecniche espletate e le deposizioni dei testi ed ha ritenuto tali accertamenti del fatto esaustivi e non suscettibili di ulteriori sviluppi dibattimentali.

Pertanto la sentenza di proscioglimento deliberata non è viziata da alcuna violazione di legge od abnormità.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 500,00=.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00= in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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