Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-04-2012, n. 6072 Opposizione all’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Secondo quanto risulta dalla oggi gravata sentenza della corte di appello di Milano, n. 208 del 27.1.10 (e specificamente alle pagine 25 e seguente, dopo l’incorporazione nel testo di una copia delle sentenze oggetto di gravame):

1.1. O.D., per avere patito lesioni per un sinistro cagionato addì (OMISSIS) da un carrello elevatore condotto da B.F. e di proprietà di A.G., citò l’uno e l’altro – anche quale responsabile della Ambrosini & C. snc – dinanzi al tribunale di Sondrio per sentirli condannare al risarcimento dei danni e, intervenute in causa l’assicuratrice RcA della società di cui era amministratore l’ A. nonchè il Comune di Dubino, conseguì tra l’altre una provvisionale di L. 100 milioni in data 22.9.97 a carico anche dell’ A.;

1.2. in forza di tanto l’ O. pignorò due immobili di proprietà dell’ A. e della coniuge S.L., gravati da ipoteche in favore di Banca Intesa e della Banca Popolare di Sondrio:

e, sospeso dal giudice dell’esecuzione il processo esecutivo per la non comoda divisibilità dei beni, con ordine di procedersi alla divisione, al relativo giudizio diede ingresso l’ O. dinanzi al tribunale di Sondrio – sez. dist. di Morbegno, con causa iscritta al n. 231/01 r.g.;

1.3. nel corso della causa di risarcimento di cui sub 1.1 fu pronunziata sentenza non definitiva n. 434/01, recante condanna, in favore dell’ O., nei confronti dell’ A. e del B. in via solidale al pagamento di L. 685.455.770 e nei confronti del Fondo di Garanzia Vittime della Strada di L. 100 milioni, da imputarsi alla liquidazione complessiva del danno, con ordine di prosecuzione dell’istruttoria;

1.4. tale ultima sentenza fu riformata dalla corte di appello di Milano, con sentenza n. 1817/04, con cui fu riconosciuto il concorso di colpa del danneggiato in ragione del 50% e dichiarato che all’ O. spettava la metà di quanto liquidatogli dal tribunale, tenuto conto delle provvisionali concessegli, se pagate, nonchè di "quanto erogato dall’INPS";

1.5. nel corso del giudizio di divisione dinanzi alla sez. dist. di Morbegno del tribunale di Sondrio, fu pronunziata:

1.5.1. una prima sentenza non definitiva, recante il n. 104/05, con la quale:

– per l’intervenuto pagamento al creditore ipotecario Banca Intesa, fu dichiarata cessata la materia del contendere fra questo ed i debitori A. – S., con condanna del solo A. alle spese di lite in favore del detto creditore (ed al rimborso di un terzo delle spese di c.t.u., anticipate da questo);

– per la ritenuta intercorsa caducazione del titolo esecutivo posto originariamente a base dell’intrapreso processo esecutivo e del correlato giudizio di divisione, non seguita dall’intervento in base al nuovo titolo esecutivo e per far valere il nuovo e maggior credito riconosciuto dal tribunale prima e dalla corte di appello poi, fu disposta la rimessione della causa sul ruolo per consentire tale intervento;

1.5.2. una seconda sentenza, neppure essa definitiva, recante il n. 110/06, con la quale, rilevato che l’ O. era alfine intervenuto nel processo in forza del nuovo titolo esecutivo rappresentato dalla sentenza n. 1817/04 della corte ambrosiana, fu riconosciuta la persistenza del diritto dell’ O. di procedere nell’intrapreso processo di divisione, con contestuale ordine di prosecuzione con la vendita dei beni pignorati;

1.6. avverso ciascuna di dette sentenze propose appello l’ A. ed i due gravami, recanti i nn. 48/06 e 3733/06, una volta riuniti, sono stati rigettati con la sentenza della corte di appello di Milano oggi gravata, con cui:

1.6.1. ritenuto modificato solo in senso quantitativo l’originario titolo esecutivo ed applicato il principio generale ricavabile dall’art. 653 cpv. cod. proc. civ., è stato escluso, per essere intervenuto il creditore e restando irrilevante l’invito a tanto rivoltogli nelle gravate sentenze, il venir meno del titolo e quindi del processo esecutivo e, di conseguenza, del diritto del procedente a proseguire nel giudizio di divisione;

1.6.2. ritenuto tardivamente sviluppato e comunque ancora esposto a problematiche aperte in sede di cognizione l’assunto dell’intervenuta corresponsione al creditore di somme maggiori di quelle spettantigli, è stato escluso, oltretutto tanto involgendo un’opposizione ad esecuzione, il carattere pacifico dell’avvenuta estinzione del credito per cui l’ O. stava procedendo;

1.6.3. è stata esclusa qualsiasi contraddittorietà tra l’ordine di prosecuzione mediante la vendita e la disposizione di nuova stima, funzionale anzi essendo quest’ultima al conseguimento di un prezzo più consono alle notoriamente avvenute variazioni del mercato immobiliare;

1.6.4. è stata rimarcata la correttezza della condanna alle spese in favore della creditrice ipotecaria, avendo il debitore fatto venir meno l’interesse di questa alla partecipazione al giudizio mediante un pagamento avvenuto soltanto a giudizio instaurato.

2. Per la cassazione di tale sentenza della corte ambrosiana ricorre, affidandosi a cinque motivi, l’ A.; resistono con controricorso sia O.D., sia l’Italfondiario spa (quale successore di Castello Gestione Crediti srl) quale procuratore di Intesa SanPaolo spa (quale successore di Banca Intesa spa e SanPaolo Imi spa); non svolgono, invece, attività difensiva in questa sede S.L. e la Banca Popolare di Sondrio; ed alla pubblica udienza del 14.3.12 prende parte alla discussione soltanto l’Italfondiario spa.

Motivi della decisione

3. Il ricorrente A.G. sviluppa cinque motivi ed in particolare:

3.1. con un primo – rubricato "nullità della sentenza e della sentenza … per errore in procedendo e violazione dell’art. 112 c.p.c. per differenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione alla posizione di Intesa San Paolo spa" – egli si duole dell’omessa considerazione, quanto alla sua doglianza in appello per la liquidazione a suo carico delle spese in favore della Banca Intesa, di alcune circostanze, quali la tardività della costituzione in giudizio, la carenza di interesse derivante dalla mancata presa di posizione, la non pertinenza della domanda con l’oggetto del contendere, il carattere indebito della protrazione di attività dopo l’avvenuta estinzione del debito ipotecario; e ribadisce di avere sottoposto alla corte territoriale numerosi argomenti – indicati con lettere da a) a q) (pagine da 20 a 25 del ricorso) lasciati a suo dire senza risposta;

3.2. con un secondo – rubricato "violazione o falsa interpretazione … degli artt. 475, 479, 653 c.p.c. circa la posizione di O. D." – egli lamenta l’erroneità dell’esclusione dell’avvenuta estinzione del giudizio di divisione in dipendenza dell’intervenuta estinzione del credito recato dal solo titolo esecutivo originariamente azionato, vale a dire dalla provvisionale di L. 100 milioni, posta poi a carico di soggetto diverso; ed argomenta per l’irrilevanza, in contrario, della successiva pronuncia delle sentenze di merito, non potendosi estendere alla fattispecie i principi elaborati in tema di rapporti tra decreto ingiuntivo e successiva sentenza sull’opposizione al medesimo, invece applicati dalla corte territoriale; pure dolendosi dell’erroneità della qualificazione di esecutività delle sentenze nn. 434/01 in primo e 1817/04 in secondo grado e lamentando la mancata notifica delle stesse in forma esecutiva;

3.3. con un terzo – rubricato "violazione o falsa interpretazione … degli artt. 626 e 295 c.p.c. circa la posizione di O.D." – egli deduce l’irritualità dell’intervento in un processo esecutivo sospeso ai sensi dell’art. 626 cod. proc. civ. e l’illegittimità della mancata sospensione del processo di divisione ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. o della mancata rimessione al giudice dell’esecuzione della questione sull’intervenuta estinzione del credito per cui si procede;

3.4. con un quarto – rubricato "nullità della sentenza e del procedimento … per errore in procedendo e per violazione art. 112 c.p.c. per differenza tra il chiesto e il pronunciato circa la posizione di O.D." – egli lamenta essere mancata ogni pronuncia sulle sue doglianze: in ordine all’illegittimità della reiterata rimessione in istruttoria dopo il rilievo della caducazione del titolo esecutivo e della fissazione di un non richiesto termine per il creditore per intervenire in forza del nuovo e successivo maggior titolo; in ordine alle riscontrate illegittimità nell’effettuazione di tale intervento; in ordine alla contraddizione tra l’ordine di procedere alla vendita dei beni e quello di effettuare una nuova stima, seguita poi dall’anticipazione della prima senza conferire incarico al consulente; in ordine alla necessità di accertare la persistenza dell’interesse del creditore ad agire in divisione appunto nel corso del relativo giudizio e non in sede di opposizione agli atti esecutivi;

3.5. con un quinto – rubricato "insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (inesistenza del credito derivante dalla sentenza della corte di appello n. 1817/2004)" – egli lamenta che malamente la corte territoriale non avrebbe tenuto conto dei conteggi comunque facilmente rinvenibili agli atti e non riprodotti in atto di appello al fine di "non appesantirlo", come pure che erroneamente avrebbe ritenuto ancora aperte numerose questioni, derivanti da eccezioni sollevate in modo inammissibile dalla controparte; sviluppa – alle pagine da 44 a 46 del ricorso – i conteggi relativi alle vicende del credito azionato; infine, lamenta non essergli stato concesso di contestare dinanzi al giudice dell’esecuzione la persistenza del credito stesso, nonchè non essergli stato accordato di soprassedere alla prosecuzione delle operazioni di vendita in pendenza della pure dispiegata opposizione ad esecuzione.

4. Dei controricorrenti:

4.1. O.D.:

– si duole in via preliminare dell’inammissibilità del ricorso per mancata formulazione dei quesiti di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ.;

– quanto all’avversa doglianza sulla caducazione del titolo esecutivo originario: ne eccepisce l’inammissibilità per essere la medesima sussumibile nella fattispecie dell’opposizione agli atti esecutivi;

deduce da tanto la tardività del suo dispiegamento e comunque argomenta per la non proponibilità dell’appello invece dispiegato;

ma non manca di contestarle nel merito, ritenendo non conferente il mutato orientamento giurisprudenziale invocato dall’ A.;

– quanto alla pretesa estinzione del credito azionato: contesta nel merito i conteggi e ribadisce le eccezioni relative alla ricostruzione del suo esatto ammontare; precisa di avere impugnato in cassazione l’ulteriore pronuncia – resa dalla corte di appello di Milano con il n. 3216/09 – intervenuta circa la sua pretesa risarcitoria, riproducendo alcuni dei motivi di doglianza e concludendo per la persistenza dello stato di non pacificità dell’entità del credito in parola;

4.2. l’Italfondiario spa (quale successore di Castello Gestione Crediti srl) quale procuratore di Intesa SanPaolo spa (quale successore di Banca Intesa spa e SanPaolo Imi spa), dal canto suo, ripropone le tesi già sviluppate davanti alla corte territoriale sulla piena correttezza della pronuncia in suo favore sulle spese di lite e sulla irrilevanza delle condotte processuali stigmatizzate dal ricorrente.

5. Una volta notato che al presente ricorso, siccome relativo a sentenza pubblicata dopo il 4.7.09, non è più applicabile l’art. 366-bis cod. proc. civ. – abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), con la decorrenza di cui all’art. 58, comma 5, di questa – e che quindi è manifestamente infondata l’eccezione preliminare di inammissibilità per carenza dei quesiti, formulata dal controricorrente O., va premesso che:

5.1. la controversia ha ad oggetto una c.d. divisione endoesecutiva o divisione incidentale al processo esecutivo, quel giudizio di divisione, cioè, che ha luogo per lo scioglimento della contitolarità, tra il debitore ed altri soggetti estranei al rapporto di credito per il cui soddisfacimento il creditore ha aggredito il bene appartenente soltanto pro quota al suo debitore, dei diritti reali oggetto del pignoramento, al fine di poter procedere sulla parte del compendio staggito assegnata in natura in via esclusiva al debitore – con le forme ordinarie dell’espropriazione sul bene in proprietà esclusiva – o, in caso di non comoda divisibilità, sul suo equivalente in denaro all’esito della liquidazione;

5.2. il giudizio in questione è divenuto ormai lo sviluppo normale di ogni procedura espropriativa avente ad oggetto una mera quota: in tal senso depone – relegando ad un ruolo di eccezione le diverse soluzioni, oltretutto al ricorrere di specifiche e positivamente accertate situazioni di fatto – il nuovo testo del capoverso dell’art. 600 cod. proc. civ., sostituito dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 23, lett. e), convertito, con modificazioni, in L. 14 maggio 2005, n. 80;

5.3. può anzi dirsi che il suo collegamento funzionale con il processo esecutivo, già indiscusso in precedenza, è sottolineato oggi dalla previsione del novellato art. 181 disp. att. cod. proc. civ., in base alla quale – in forza del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 23-ter, lett. f), convertito, con modificazioni, in L. 14 maggio 2005, n. 80 – tale giudizio di divisione, pur restando indiscutibilmente un ordinario giudizio di cognizione, si svolge dinanzi al medesimo giudice dell’esecuzione – in funzione, ovviamente, di giudice istruttore civile – della procedura esecutiva contestualmente sospesa in attesa della liquidazione della quota del debitore esecutato;

5.4. proprio per questo può affermarsi che la riforma non ha inciso, però, sulla struttura e sulla funzione del giudizio in questione, del quale ha in sostanza meglio precisato alcuni aspetti formali e procedimentali, a tutto concedere somministrando all’interprete argomenti ex post per una ricostruzione dell’istituto unitaria e cioè riferibile anche al tempo anteriore alla riforma stessa: resta pertanto del tutto irrilevante che la ripetuta riforma del 2006 non si applichi alla fattispecie, in dipendenza del fatto che il giudizio divisionale in questione è iniziato in tempo di gran lunga anteriore all’entrata in vigore di quella;

5.5. sia prima che dopo la riforma, invero, la finalità di una divisione endoesecutiva è, con tutta evidenza, quella di consentire di procedere esecutivamente su di un bene in proprietà esclusiva, sia esso identificato ancora in natura ovvero ormai liquidato e cioè trasformato nel suo equivalente in denaro: e tanto, nel primo caso, per la conclamata migliore appetibilità sul mercato di un bene in proprietà esclusiva rispetto ad una semplice quota, l’acquisto della quale obbligherebbe l’eventuale acquirente ad una contitolarità di diritti, coi rischi e le complicazioni da questa derivanti e l’onere (o il rischio) di un successivo giudizio di scioglimento della medesima; e, nel secondo, per la – intuitivamente – maggiore utilità della prosecuzione del processo esecutivo su beni fungibili per definizione, quali appunto il denaro;

5.6. tali effetti – tra cui anche quello, molto grave, della liquidazione del bene e cioè della definitiva perdita di qualsiasi diritto in natura, benchè limitato, su di esso – sono imposti al contitolare non debitore in dipendenza delle vicende di altro contitolare e quindi senza alcuna diretta responsabilità personale o propria del primo, per l’evidente priorità della necessità del soddisfacimento dei creditori e, in questo caso, di uno dei contitolari;

5.7. viene riconosciuto a questi fini un’eccezionale legittimazione al creditore procedente o, vi è da ritenere, quanto meno all’interventore munito di titolo esecutivo – a provocare lo scioglimento della comunione: non rilevando, in questa sede, ulteriormente approfondire se egli agisca utendo iuribus debitoris o iure proprio (pur apparendo, incidenter tantum, preferibile la seconda soluzione, così prospettandosi tale legittimazione del creditore quale ulteriore facoltà di soddisfacimento del credito riconosciutagli in via diretta ed immediata in considerazione della peculiare conformazione del patrimonio del debitore e quindi delle concrete modalità di estrinsecazione, possibili nella specie, della sua generale responsabilità patrimoniale generale di cui all’art. 2740 cod. civ.);

5.8. in conclusione, da un lato il giudizio di divisione in esame costituisce una parentesi di cognizione nell’ambito del procedimento esecutivo, in quanto tale restando autonoma, perchè soggettivamente ed oggettivamente distinta da questo, tanto da non poterne essere considerata nè una continuazione, nè una fase (per tutte: Cass. 10 maggio 1982, n. 2889; Cass. 8 gennaio 1968, n. 44; Cass. 12 ottobre 1961, n. 2096; di recente, ai fini dell’individuazione dei rimedi esperibili avverso i singoli atti di quello: Cass. 24 febbraio 2011, n. 4499); dall’altro lato, la correlazione funzionale del giudizio di divisione endoesecutiva al processo esecutivo comporta che il creditore esecutante mantiene la sua legittimazione ad agire in divisione fintantochè in capo a lui permanga la qualità di creditore;

5.9. come ogni giudizio di cognizione, vanno valutati allora interesse e legittimazione ad agire: con la conseguenza che esso non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire, tra l’altro, ove l’uno o l’altra vengano meno, come nel caso della qualità di creditore in capo all’attore e di quella di debitore in capo al convenuto principale: a meno che, beninteso, a tale deficienza – originaria o sopravvenuta – non si rimedi con una valida domanda di divisione formulata da altri interessati partecipanti al medesimo giudizio, vale a dire dallo stesso debitore, ovvero da altri dei creditori muniti di titolo esecutivo (in quanto titolari di un potere di provocare gli atti di espropriazione identico a quello del procedente o attore originario) , ovvero ancora – a seconda dei casi – degli altri "interessati" e litisconsorti necessari indicati nell’art. 1113 c.c., comma 3, (i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione giudiziale);

5.10. e bene può ammettersi che il debitore esecutato, oramai convenuto nel giudizio di cognizione in cui si risolve la divisione endoesecutiva, possa contestare, nel solo ambito ed ai limitati fini di decidere la sorte di quest’ultima, la persistenza della qualità di creditore, quale mero presupposto della legittimazione ad agire solo nel medesimo giudizio di cognizione: non rilevando in contrario la maggiore ampiezza del contraddittorio in quest’ultimo, rispetto all’altro giudizio di cognizione ordinario in cui si risolverebbe l’opposizione esecutiva (necessaria ove invece il debitore intendesse contestare la legittimità del relativo processo esecutivo), tanto non ledendo il diritto di chicchessia ed anche dinanzi all’evidente economia processuale derivante dalla concentrazione delle questioni in capo – ormai – al medesimo giudicante;

5.11. e tanto comporta, tra l’altro, l’infondatezza dell’altra eccezione in rito del controricorrente O., per la quale le doglianze dell’ A., debitore esecutato e convenuto nel giudizio di divisione endoesecutiva, andavano proposte quali opposizioni ad atti esecutivi (con l’ulteriore conseguenza dell’improponibilità dell’appello avverso le relative statuizioni di primo grado): a parte il fatto che la contestazione della persistenza del credito azionato involgerebbe comunque, per consolidata giurisprudenza, un’opposizione all’esecuzione (contestandosi l’an exsequendum sit; e soggetta, al tempo in cui fu resa almeno la prima delle due sentenze di primo grado, quindi ancora alla regola dell’ordinaria appellabilità), la pure pacifica circostanza del collegamento funzionale del giudizio divisorio c.d. endoesecutivo al procedimento esecutivo non rende affatto applicabile, se non altro nella fase anteriore alle operazioni di vendita vere e proprie come è nel caso di specie, i rimedi propri del secondo, ma invece sempre e solo quelli dell’ordinario giudizio di divisione (Cass. 24 febbraio 2011, n. 4499).

6. Può ora esaminarsi il primo motivo di ricorso, relativo alla condanna dell’ A. alle spese del giudizio di divisione in favore del litisconsorte necessario Banca Intesa, nonostante la dichiarata cessazione della materia del contendere; ma esso è inammissibile, prima ancora che infondato:

6.1. inammissibile, perchè il ricorrente non indica, in violazione del principio di necessaria autosufficienza del ricorso, in quale precisa sede processuale egli avrebbe svolto, nel tenore testuale riprodotto in quest’ultima sede, le numerose doglianze avverso la condanna, esplicitate con dovizia di argomentazioni alle pagine da 20 a 25 del ricorso per cassazione;

6.2. infondato, perchè la motivazione della corte territoriale, che fonda idoneo titolo per la condanna stessa nel carattere necessario della partecipazione di tale creditore ipotecario al giudizio e nella condotta volontaria di persistente inadempimento del debitore, è di per sè del tutto sufficiente a rigettare il gravame, anche senza una specifica ulteriore presa di posizione sugli altri profili di doglianza (ove effettivamente in tali sensi sviluppati dinanzi alla stessa corte territoriale):

– dipendendo appunto, in via preminente per il principio di causalità a causa del carattere necessario della sua partecipazione, le spese di difesa di tale litisconsorte dall’esistenza dei presupposti al momento della sua chiamata in causa, dalla persistenza – al momento stesso – dell’inadempimento (pacificamente essendo avvenuto il pagamento, peraltro non esteso alle spese legali, soltanto dopo l’instaurazione del rapporto processuale relativo al giudizio divisionale, con la notifica del relativo atto di citazione) e dall’interesse, fino alla completa estinzione del debito (che si estendeva appunto almeno ancora alle spese legali), ad interloquire in ogni atto del processo divisionale, per quanto appunto al limitato fine di tutelare i propri interessi;

– neppure potendo pretendersi dal litisconsorte di non costituirsi in giudizio, una volta qualificata necessaria la sua partecipazione e quindi ricondotta all’originaria condotta del debitore, restato inadempiente quanto al titolo esecutivo azionato, che ha dato corso dapprima al processo esecutivo e poi, per l’obiettiva circostanza della titolarità soltanto di quote dei beni staggiti, all’ulteriore sviluppo processuale della divisione endoesecutiva a tutela del creditore;

– restando irrilevante che, proprio per la qualità di litisconsorte necessario, il creditore ipotecario si sia limitato – invece del tutto correttamente, non avendo altro interesse nel presente giudizio ed essendo tale posizione processuale fondata sul tenore testuale dell’art. 1113 c.c., comma 3, – a chiedere l’adozione di ogni provvedimento necessario alla tutela delle proprie ragioni.

7. Discorso più approfondito va fatto quanto al secondo motivo, con il quale l’ A.: lamenta l’erroneità dell’esclusione dell’avvenuta estinzione del giudizio di divisione in dipendenza dell’intervenuta estinzione del credito recato dal solo titolo esecutivo originariamente azionato, vale a dire dalla provvisionale di L. 100 milioni, posta poi a carico di soggetto diverso; argomenta per l’irrilevanza, in contrario, della successiva pronuncia delle sentenze di merito, non potendosi estendere alla fattispecie i principi elaborati in tema di rapporti tra decreto ingiuntivo e successiva sentenza sull’opposizione al medesimo, invece applicati dalla corte territoriale; pure si duole dell’erroneità della qualificazione di esecutività delle sentenze nn. 434/01 in primo e 1817/04 in secondo grado; lamenta, infine, la mancata notifica delle stesse in forma esecutiva.

7.1. La tematica da affrontare è la sorte del processo esecutivo in caso di azionamento di titolo esecutivo giudiziale non definitivo, cui segua la pronunzia, nello sviluppo processuale del giudizio di merito in cui il primo, si è formato, di altro titolo, il quale modifichi quantitativamente l’entità del credito riconosciuto al creditore nel precedente.

7.2. Una tale problematica la corte territoriale affronta applicando il principio elaborato da Cass. 7 aprile 1986, n. 2406 (e, già prima, da Cass. 16 gennaio 1985, n. 101), per il quale la norma del capoverso dell’art. 653 cod. proc. civ., sebbene dettata in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, costituisce espressione di un principio generale valido per tutte le ipotesi in cui un provvedimento giurisdizionale provvisoriamente esecutivo, posto in esecuzione, venga modificato solo quantitativamente da un successivo provvedimento anch’esso esecutivo, sicchè, iniziata l’esecuzione in base a sentenza di primo grado munita di clausola di provvisoria esecuzione, ove sopravvenga sentenza di appello che riformi la precedente decisione in senso soltanto quantitativo, il processo esecutivo non resta caducato, ma prosegue senza soluzione di continuità, nei limiti fissati dal nuovo titolo e con persistente efficacia, entro gli stessi, degli atti anteriormente compiuti, ove si tratti di modifica in diminuzione, o nei limiti del titolo originario qualora la modifica sia in aumento, nel qual caso, per ampliare l’oggetto della procedura già intrapresa, il creditore ha l’onere di dispiegare intervento, in base al nuovo titolo esecutivo costituito dalla sentenza di appello (in senso sostanzialmente conforme, Cass. 30 luglio 1997, n. 7111, a mente della quale se, a seguito di parziale accoglimento dell’impugnazione, una sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro è modificata solo quantitativamente, il processo esecutivo, intrapreso in base all’originario titolo esecutivo, prosegue per la realizzazione del credito, nei limiti riconosciuti in sede di gravame).

7.3. Il principio è stato condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito. La prima, fermo – in linea di principio – il principio dell’impossibilità di un mutamento del titolo, lo ammette quando questo dipende in qualche modo dalla legge; o, in alternativa, argomenta per la possibilità di una "trasformazione del titolo esecutivo in corso di procedura", cioè di una trasformazione in itinere del medesimo, il quale subisce vicende evolutive, che non lo privano, neppure temporaneamente, della sua efficacia; ancora, riconduce il preteso principio generale del capoverso dell’art. 653 cod. proc. civ. ai rapporti tra sentenze di secondo e di primo grado ed esalta l’effetto integralmente sostitutivo delle une rispetto alle altre.

7.4. La giurisprudenza addotta in contrario dal ricorrente non è conferente rispetto al caso di specie: da una parte essa (Cass. 25 maggio 2009, n. 12089; Cass. Cass. 14 ottobre 2008, n. 25143) si riferisce infatti, come si evince dalla lettura della motivazione, al caso di totale riforma dei capi del titolo esecutivo giudiziale non definitivo posti a base dell’esecuzione; dall’altra parte essa contempla (Cass. 27 marzo 2009, n. 7537) l’erroneità dell’identificazione del titolo da notificare prima dell’inizio dell’esecuzione, circostanza che inficia ab imis il processo esecutivo; è evidente che tali fattispecie comportano il venir meno di qualsiasi diritto oggetto del capo del titolo esecutivo originario in concreto azionato (come nel caso deciso da Cass. 24 maggio 2006, n. 12364, in cui la caducazione discende dalla riforma in sede di cassazione con rinvio per la rivalutazione di tutti i rapporti di dare ed avere, la quale implica obiettivamente il venir meno ex tunc di ogni riconoscimento originario delle ragioni del creditore).

7.5. La peculiarità della vicenda in esame sta nel fatto che ad un’ordinanza ai sensi della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 24 emessa in favore del creditore per un determinato importo ed in danno del debitore esecutato, sia subentrata dapprima una condanna di primo grado per importo di molto maggiore tra gli stessi soggetti, con sostituzione nella provvisionale del soggetto condannato, nonchè una successiva condanna di secondo grado per un importo pari alla metà di quello riconosciuto nel precedente grado.

7.6. Può sommariamente – ai limitati fini della risoluzione del concreto thema decidendum posto dalle parti – ricordarsi che tra i più convincenti approdi ermeneutici sulla natura dell’ordinanza ai sensi della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 24 può annoverarsi quello della sua assimilabilita non tanto ai provvedimenti cautelari quand’anche anticipatori – quanto piuttosto ai provvedimenti anticipatori di condanna, generalmente ritenuti revocabili solo con la sentenza che definisce il giudizio: in tal senso depongono l’evidente ratio di favore per la parte economicamente e socialmente più debole – che non coincide con il periculum in mora generalmente richiesto per i cautelari "puri" – ed il maggiore approfondimento della cognizione richiesto al giudice all’atto della pronuncia – che integra un elemento più ampio del semplice fumus sufficiente per il provvedimento cautelare -; con la conseguente sua sussumibilità nell’ambito dei cc.dd. accertamenti interinali con funzione esecutiva, perseguendo lo scopo di soddisfare in via anticipata il diritto al risarcimento del danneggiato in tutti quei casi in cui, essendo stata accertata con sufficiente certezza la dinamica del fatto, e quindi la responsabilità di esso, si sia in presenza o di un atteggiamento dilatorio della controparte, o di effettive difficoltà di raggiungimento di un accordo sulla quantificazione del danno, salvo il successivo emergere di elementi atti ad inficiare quella sufficiente certezza che solo l’organo decidente potrà valutare in sede decisoria ai fini della revoca dell’ordinanza.

7.7. Tale conclusione consente di ritenere che la sentenza di merito – naturalmente, a partire da quella di primo grado, la prima ad intervenire, in ordine logico e cronologico, sull’oggetto della controversia – non riformi o caduchi affatto la provvisionale, ma la assorba e la sostituisca, qualora comunque riconosca i medesimi presupposti di fatto e cioè la responsabilità di colui a cui carico era stata pronunciata l’ordinanza ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 24: in sostanza, alla condanna recata dalla prima subentra quella, per gli stessi fatti, recata dalla seconda; ma, ciò che più conta, è che la natura anticipatoria del primo provvedimento, che lo connota di istituzionale interinalità e caducità ma in funzione del successivo provvedimento a cognizione piena, in uno alla normale retrodatazione alla domanda degli effetti del suo accoglimento, comporta che tale sostituzione od assorbimento abbia efficacia ex tunc, essendo identici i fatti costitutivi accertati e mutando semmai esclusivamente la quantificazione della pretesa.

7.8. E il conclamato effetto sostitutivo ex tunc della sentenza di secondo grado rispetto a quello di primo grado, a sua volta, tranne il caso di riforma integrale, non comporta affatto l’eliminazione dal mondo del diritto delle statuizioni contenute nella precedente, ma semplicemente la conferma delle stesse, che trovano però ora fonte nella successiva, con i medesimi presupposti e, in caso di mutamento solo quantitativo, solo con la modifica dell’entità del diritto effettivamente riconosciuto.

7.9. E’ allora nel regime dei rapporti tra titoli esecutivi successivi resi nello stesso processo e nel tendenziale effetto pienamente sostitutivo di quelli resi a cognizione piena rispetto a quelli anticipatori e di quelli di merito di secondo grado rispetto a quelli di primo che può rinvenirsi la giustificazione della persistenza, con effetto ex tunc, di un valido titolo esecutivo a favore del creditore, quando quello originario sia modificato solo quantitativamente.

7.10. La sostituzione – o, secondo altre definizioni dottrinali, la consentita modifica o la trasformazione – del titolo esecutivo deve, beninteso, essere portata a conoscenza del giudice dell’esecuzione, al fine di parametrare l’oggetto di quest’ultima alla concreta entità del credito; e la giurisprudenza di legittimità già ricordata postula la necessità di un formale intervento, ove la modifica comporti la spettanza di una somma maggiore. Un siffatto intervento, se non altro prima della riforma del regime degli interventi e cioè della novellazione degli artt. 499 e 500 cod. proc. civ., di cui, rispettivamente, al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, nn. 7 e 7-bis della lett. e), convertito con modificazioni in L. 14 maggio 2005, n. 80, il primo come modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 1, comma 3, lett. e) ed all’art. 1, comma 2, lett. d) di tale ultima legge, applicabile agli interventi solo a partire dal 1.3.06, era possibile senza particolari formalità, visto che non era necessario non solo il titolo esecutivo, ma neppure produrre subito la prova del credito, tanto essendo onere dell’interventore al più tardi in sede di distribuzione (Cass. 24 febbraio 2011, n. 4499) o in precedenza, ma solo in caso di contestazione: pertanto, l’intervento stesso non abbisognava di alcuna previa notifica, nè del titolo esecutivo, nè di un precetto, e pertanto neppure della spedizione in forma esecutiva del titolo su cui si fondava. E tanto è sufficiente ad affermare che, se non altro nella fattispecie – in cui appunto l’intervento è stato, sia pure a seguito di inviti del giudicante sulla cui legittimità pure si discute, finalmente eseguito in tempo anteriore alla ricordata data del 1.3.06 – legittimamente l’intervento ha avuto luogo senza la previa notifica del titolo – si potrebbe dire, esecutivo pro tempore, costituito dalla sentenza di secondo grado – in forma esecutiva, neppure potendo dubitarsi dell’immediata esecutività – a prescindere dal riconoscimento formale derivante dall’apposizione della formula esecutiva – di una sentenza di condanna di primo grado e di altra in grado di appello, se non altro nell’attuale regime dell’art. 282 cod. proc. civ. 7.11. Sussumibile nei principi di diritto così ricostruiti va qualificata allora la fattispecie per cui è causa, in cui alla provvisionale a carico dell’ A. – titolo esecutivo originariamente azionato – si è sostituita la pronuncia di primo grado di condanna ordinaria sempre a carico dell’ A. e per una somma ben maggiore (così non rilevando l’intervenuto mutamento del soggetto a cui carico, con la stessa sentenza di primo grado, è stata posta poi la provvisionale e, a maggior ragione, se non altro a questi fini, l’intervenuto pagamento dell’importo di questa) e, poi, la sentenza di secondo grado per una somma dimezzata rispetto a quest’ultima, ma, almeno in partenza e prima facie, anch’essa di certo superiore a quella recata dalla provvisionale.

7.12. Così integrata o corretta la motivazione della qui gravata sentenza, pertanto, il motivo di doglianza del ricorrente non può trovare accoglimento.

8. Quanto agli altri tre motivi di doglianza, tutti relativi ai rapporti tra l’ A. e l’ O.:

8.1. il terzo è in parte inammissibile ed in parte infondato:

8.1.1. quanto alla mancata sospensione, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non viene in questo riportato il tenore testuale del ricorso in opposizione al giudice della esecuzione che il ricorrente assume di avere proposto e la sede processuale del riferimento e della prova di esso; egli invero indica, a pag. 31, di avere "evidenziato e documentato in appello" la circostanza, ma senza appunto riportarne quegli indispensabili elementi, visto che neppure, esponendo i fatti in ricorso alle pagine 15 e seguenti in ordine al giudizio di appello, alcunchè adduce sul punto; è così precluso a questa corte l’esame diretto degli atti (sia perchè pure in caso di motivi ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 – cui si riconduce in genere la doglianza sull’omessa sospensione, nonostante l’addotto suo carattere necessario: Cass. 1 agosto 2007, n. 16992 – è necessario il rispetto del principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, sia perchè comunque il ricorrente malamente sussume la doglianza nel n. 3, anzichè nell’art. 360, n. 4 richiamato) e la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti per l’invocata sospensione necessaria (oltretutto, già in astratto di malagevole configurabilità, per il caso – qui non altrimenti verificabile – in cui le due cause fossero risultate pendenti dinanzi allo stesso ufficio giudiziario – o tra diverse sezioni, anche distaccate, del medesimo – e per essere in tale fattispecie operante il diverso meccanismo processuale della riunione, ai sensi dell’art. 274 cod. proc. civ.: per tutte, v. Cass., ord. 23 luglio 2010, n. 17468);

8.1.2. quanto all’inammissibilità dell’intervento in pendenza di sospensione, a parte i dubbi sulla applicabilità diretta dell’invocato art. 626 cod. proc. civ. e non dello specifico art. 601 cod. proc. civ., la conseguente preclusione degli atti esecutivi nel processo sospeso non influisce sull’azione esecutiva resa astrattamente possibile dal titolo esecutivo (Cass. 28 dicembre 2004, n. 24045), poichè la sua ratio è chiaramente quella di impedire che, nel medesimo processo esecutivo sospeso, si compiano atti che lo facciano proseguire con le operazioni materiali volte alla liquidazione del bene; al contrario, nel caso di specie l’intervento ha avuto luogo soltanto allo scopo di dimostrare la persistenza della qualità di creditore, a seguito delle specifiche contestazioni del debitore;

8.2. è infondato il quarto, nelle sue molteplici articolazioni, avendo la corte territoriale idoneamente motivato:

8.2.1. sull’irrilevanza delle irregolarità lamentate: tale irrilevanza desumendosi del resto dalla sufficienza dell’intervento senza previa spedizione del titolo in forma esecutiva e senza previa sua notifica, dalla riferibilità del medesimo al processo esecutivo cui ineriva la contestazione svolta nel giudizio divisionale, dalla riconducibilità della fissazione del termine al creditore agli ordinari poteri di collaborazione tra giudice e parti, una volta che era pacifico l’ottenimento comunque del successivo titolo esecutivo;

8.2.2. sull’insussistenza della contraddizione tra disposizione della delega alla vendita e convocazione per eventuale nuova stima:

rispondendo effettivamente a minimali esigenze di proficuità del procedimento, nell’interesse di tutte le parti (che non sia quello meramente dilatorio dei debitori esecutati), che la stima del bene, con determinazione del prezzo da porre a base delle operazioni di vendita, corrisponda il più possibile al valore di mercato; e non rilevando a configurare un vizio della gravata sentenza i successivi eventualmente diversi provvedimenti del giudice istruttore, in base ai quali si sarebbe proceduto direttamente alla vendita: tanto integrando, a tutto concedere, vizi dei provvedimenti successivi, da far valere, ove ne ricorressero possibilità e presupposti, con le forme per l’impugnazione di questi ultimi, ma non incidendo sul provvedimento precedente;

8.2.3. nel merito o per differenti motivi ulteriori in rito, diversi dalla mera adduzione della necessità di attivarsi in opposizione ad atti esecutivi, per disattendere le doglianze dell’appellante A.: le quali sono comunque, per quanto qui argomentato, inammissibili o infondate;

8.3. è inammissibile ed infondato il quinto:

8.3.1. visto che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente omette di indicare – riportandoli negli esatti termini ivi adoperati – in quale precedente sede processuale rituale, cioè prima della maturazione delle preclusioni in primo grado o del thema decidendum in appello o comunque compatibilmente con il divieto di domande od eccezioni nuove in secondo grado e non rilevando pertanto gli sviluppi contenuti soltanto nella memoria di replica dinanzi alla corte territoriale, egli abbia svolto i complessi calcoli e le articolate argomentazioni a sostegno della intervenuta estinzione del credito della controparte;

8.3.2. visto che, comunque, la motivazione della corte territoriale pienamente sussiste ed è soddisfacente in ordine sia alla ritenuta mancanza di sviluppo di calcoli e conteggi fin dall’atto di appello (circostanza del resto ammessa dal ricorrente, che la imputa alla sua intenzione di non appesantire l’atto introduttivo, ma finendo con il renderlo monco di elementi determinanti), sia soprattutto alla mancanza di pacificità dell’intervenuta estinzione (v. facciata 29 della gravata sentenza), con l’indicazione delle questioni ritenute ancora aperte (senza che, per quanto appena detto, l’ A. riferisca dove e come abbia, prima della decisione in tal senso della corte territoriale, ritualmente e tempestivamente prospettato i fatti da cui desumere che la questione fosse invece chiusa);

8.3.3. visto che egli non indica – ancora una volta in violazione del principio di necessaria autosufficienza del ricorso – in quale momento del giudizio di merito gli sarebbe stato precluso di contestare dinanzi al giudice dell’esecuzione la persistenza del credito stesso (anzi egli medesimo adducendo, sia pure – per quanto detto più sopra al punto 8.1.1. – senza essere in grado di provare in questa sede, di avere proposto proprio un’opposizione ad esecuzione): del resto non avendo egli alcun diritto, ove non siano state accolte le istanze di sospensione ed i relativi provvedimenti ove potessero esserlo, non abbia ritualmente impugnato (o dimostrato di avere avuto diritto di impugnare), ad alcuna soprassessoria del processo divisionale, attesa la vista autonomia di questo rispetto al processo esecutivo cui solo funzionalmente si collega;

8.3.4. e a tacere del fatto che, in definitiva, nulla gli impedisce di contestare, ove voglia dedurre direttamente l’illegittimità della prosecuzione della procedura esecutiva (e non soltanto quella del connesso giudizio di cognizione in cui la divisione endoesecutiva si risolve), mediante contestazione, nella competente sede dell’opposizione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., la persistenza del credito in dipendenza degli intervenuti pagamenti o delle successive vicende del titolo esecutivo.

9. In conclusione, tutti i motivi di doglianza sono inammissibili o infondati ed il ricorso va, nel suo complesso, rigettato; ma la complessità in diritto delle questioni sottese costituisce, ad avviso del collegio, un giusto motivo di integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *