Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-05-2011) 25-10-2011, n. 38750

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 22/6/2010 la Corte di Appello di Firenze, accoglieva l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da Y.L..

Questi, arrestato per concorso rapina il 31/7/2008, era stato liberato in data 15/12/2008, contestualmente alla sentenza di assoluzione, perchè il fatto non sussiste, emessa dal Tribunale di Parto e passata in giudicato il 19/3/2009. Con il provvedimento, la Corte liquidava un equo indennizzo di Euro 31.325, pari ad Euro 235 per ogni giorno di detenzione.

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e Finanze a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, lamentando che il giudice di merito non aveva valutato adeguatamente la condotta processuale dell’imputato, il quale aveva fuorviato la P.G. negando di avere un portafoglio e tenendo delle banconote accartocciate nella tasca dei pantaloni.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1. Va premesso che, come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.

In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice.

3.2. Nella specie, è quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla condotta dello Y.L. ed alla sua inidoneità ad ingenerare nel giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un suo probabile coinvolgimento nell’attività di traffico di droga.

Ebbene, la Corte territoriale, facendo buon governo dell’applicazione delle norme in materia e con logica motivazione, ha evidenziando le ragioni che hanno indotto all’accoglimento della richiesta.

Ha osservato la Corte di merito che dalla sentenza di assoluzione erano emersi dei fatti che non palesavano alcuna colpa grave dello Y., idonea a concorrere a determinare l’errore del giudice. In particolare :

– lo Y. era stato arrestato sulla base del solo riconoscimento della persona offesa;

– in sede di giudizio l’accusatore si era dimostrato assolutamente inattendibile;

– nessuna altra persona aveva assistito all’atto delittuoso;

– la banconota in possesso dello Y. al momento dell’arresto non era certo fosse appartenuta ai rapinato;

– l’imputato aveva dato adeguate risposte circa la sua presenza vicino al luogo dei fatti.

Ne ha dedotto la Corte, con ragionamento coerente e privo di manifesta illogicità, che le circostanze di fatto acquisite, sufficienti per l’affermazione dell’innocenza dello Y., non denotavano il mantenimento di una condotta gravemente colposa, idonea ad indurre il ragionevole convincimento della sua responsabilità ed ostativa la riconoscimento dell’equo indennizzo.

Le censure del ricorrente, mirano a determinare una diversa interpretazione dei fatti, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato che, come detto, non palese manifeste illogicità.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00=.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00= in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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