Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-04-2012, n. 6069 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 1.6.1992 S.S. conveniva in giudizio Giorgio Pietro e la S.p.a. Savoia di Assicurazioni e riassicurazioni per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente stradale verificatosi il (OMISSIS) nel corso del quale aveva subito gravi lesioni personali quando, a bordo della propria moto Suzuchi 500, era stato investito dall’auto condotta dal proprietario G.P. che si era spostata improvvisamente a sinistra mentre stava per essere sorpassata dalla moto stessa. In esito al giudizio il Tribunale di Cassino condannava i convenuti a pagare all’attore le somme di Euro 17.544,56 oltre interessi legali per i danni alle persone e le spese mediche, di Euro 6.197,48 oltre svalutazione ed interessi per i danni alle cose. Avverso tale decisione proponevano appello la Spa Winterthur Assicurazioni, che aveva incorporato la Savoia, in via principale, ed il S., in via incidentale. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Roma con sentenza depositata in data 17 novembre 2009 rigettava l’appello incidentale ed accoglieva parzialmente l’appello principale dichiarando estinto il credito del S. e condannandolo alla somma di Euro 28.316,01 oltre interessi dal versamento al saldo, in considerazione del pagamento già ricevuto Avverso la detta sentenza il S. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Resiste con controricorso la U.G.F..

Motivi della decisione

Con la prima doglianza, deducendo il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e di violazione dell’art. 32 Cost. e degli artt. 2059, 1223, 1224, 1226 c.c., il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha dichiarato l’inammissibilità del primo motivo dell’appello incidentale per difetto di specificità. Ed invero il motivo – così scrive il ricorrente – non avrebbe dovuto essere considerato inammissibile in quanto il requisito de quo "è rispettato nell’ipotesi in cui la manifestazione volitiva dell’appellante (come nel caso di specie) venga formulata in modo da consentire le statuizioni investite dal gravame e le specifiche critiche indirizzate alla motivazione".

La censura è infondata. A riguardo, deve premettersi che l’attuale ricorrente aveva fondato la ragione di doglianza sulla considerazione, riportata in ricorso, che "i parametri adottati dal Tribunale per la liquidazione del danno alla persona non erano quelli correnti tenuto conto di quanto il CTU ha accertato" per cui "la valutazione dei danni effettuata dal primo giudice è (era) nettamente inferiore a quanto dovuto…. La stessa ammonterebbe ad una somma pari al doppio, per quanto concerne il danno alla persona…..

Peraltro, appare (appariva) insufficiente il punteggio dato dal ctu in considerazione del fatto che la Commissione medica ……..accertava (aveva accertato) un grado di invalidità pari al 38%.".

Ciò premesso, mette conto di sottolineare che l’appellante non può esaurire la sua ragione di doglianza nella reiterazione delle sue richieste e nell’affermazione che esse devono essere accolte in quanto meritevoli di accoglimento rispetto all’operata liquidazione ma ha l’onere di indicare specificamente gli errori di fatto e di diritto attribuibili alla sentenza in modo da contrapporre con sufficiente grado di specificità le proprie ragioni di censura alle ragioni poste dal giudice a base delle sue valutazioni. Pertanto, nel caso di specie, l’appellante avrebbe dovuto indicare quali fossero i parametri correnti da cui si sarebbe discostato il Tribunale nella liquidazione del danno biologico, così come avrebbe dovuto chiarire come e perchè il punteggio attribuitogli non fosse adeguatamente rapportato al grado di invalidità accertato dalla Commissione medica e quale errore, in particolare, fosse imputabile al giudice di primo grado. In difetto, ove l’appellante solleciti una più congrua quantificazione del risarcimento senza chiarire gli errori, rispetto all’equo ed al giusto, in cui sarebbero incorsi i primi giudici, la censura deve essere dichiarata inammissibile. Ne deriva che deve essere condivisa sul punto la decisione dei giudici d’appello.

La seconda doglianza, articolata sotto il duplice profilo della violazione degli artt. 2054 e 2056 c.c. nonchè del difetto di motivazione, si fonda sulla considerazione che la Corte avrebbe rigettato la richiesta risarcitoria del danno per invalidità temporanea per difetto di prova, senza prendere in considerazione la documentazione prodotta ed in primis la lettera di licenziamento.

La censura è inammissibile sia perchè non è in relazione con la ratio decidendi fondata sulla considerazione che il D.L. n. 857 del 1976, art. 4 convertito nella L. n. 39 del 1977, applicabile ratione temporis, richiedeva inderogabilmente, ai fini della prova del danno patrimoniale da sinistro stradale la produzione delle dichiarazioni fiscali degli ultimi tre anni, produzione non effettuata dall’appellante, non sostituibile nè dalla valutazione equitativa nè dal riferimento al triplo della pensione sociale (cfr pag. 4 della sentenza impugnata) sia per difetto di autosufficienza, essendosi il ricorrente ben guardato dall’assolvere l’onere di riportare – mediante l’integrale trascrizione – il contenuto della documentazione richiamata nella doglianza. E ciò, in quanto, in base al principio di autosufficienza dei ricorsi per cassazione, il ricorso deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza impugnata ed a consentire l’apprezzamento da parte del giudice di legittimità della fondatezza di tali ragioni in quanto il relativo controllo deve essere svolto sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, mediante l’accesso a fonti esterne e l’esame diretto degli atti di causa, che resta precluso alla Corte.

La terza doglianza, articolata sotto il profilo del difetto di motivazione, si fonda testualmente sulla considerazione che "il giudice di Appello non ha tenuto conto minimamente di un aspetto fondamentale in relazione alla liquidazione della somma in favore del sig. S. da parte del Tribunale di Cassino, traducibile nell’espresso riferimento (nella comparsa conclusionale di primo grado) alla somma di L. 28.000.000=Euro 14.460,79 accettata dallo stesso sig. S. unicamente a titolo di acconto".

Ciò premesso, deve rilevarsi che, cosi come risulta dalla intestazione del motivo di impugnazione, la doglianza non consente di comprendere quale specifico profilo di vizio motivazionale sia stato dedotto dal ricorrente, se cioè egli intenda lamentarsi di una motivazione soltanto insufficiente o addirittura totalmente omessa.

Inoltre, va osservato che la lettura della ragione di censura, sopra riportata nella sua interezza, non consente di individuare nè quale sarebbe il preciso fatto controverso, in ordine al quale sussisterebbe il vizio di motivazione, nè, soprattutto, di verificarne la decisività, requisito assolutamente indispensabile in quanto, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza.

Ciò premesso, deve sottolinearsi che il vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a pena di inammissibilità, deve essere dedotto non solo con la indicazione della norma assuntivamente violata, ma anche, e soprattutto, con l’articolazione di specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti volte a chiarire il profilo denunciato ed a dimostrare in qual modo la sentenza gravata incorrerebbe nel vizio lamentato, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Ne deriva l’inammissibilità dell’ultima censura.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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