Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-04-2012, n. 6058

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Banca di Roma, a seguito del mancato pagamento delle rate semestrali di un mutuo fondiario decennale, garantito da ipoteca volontaria, dell’importo di lire 100 milioni al tasso del 16,50 %, erogato dal Banco di S.Spirito nel giugno 92 in favore della Due Effe Immobiliare, dopo aver intimato precetto per la somma di lire 136.960.048, ha proceduto a pignoramento immobiliare in danno della società, che a sua volta ha proposto istanza di conversione.

Con decreto del 10-4-2002 il giudice dell’esecuzione ha determinato in Euro 134.985,54 la somma da versare per la conversione. La Due Effe Immobiliare ha proposto opposizione ex art. 512 c.p.c., deducendo che gli interessi conteggiati dalla Banca erano superiori alla soglia dell’usurarietà e la nullità della clausola capitalizzazione semestrale degli interessi, chiedendo che fosse rideterminata la somma degli i interessi dovuti.

Il Tribunale di Roma, assegnata la somma non contestata e sospesa la distribuzione della restante somma, con sentenza del 12-1-2005 ha rigettato l’opposizione.

La Corte di appello di Roma, evocata su impugnazione della Due Effe Immobiliare, con sentenza del 25-9-2009 ha confermato la decisione del Tribunale.

Propone ricorso la Due Effe Immobiliare con sei motivi Resiste la Unicredit Credit Management Bank, quale mandataria della Unicredit s.p.a, incorporante per fusione di Capitalia s.p.a, già Banca di Roma s.p.a..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata perchè emessa contro soggetto inesistente in relazione agli artt. 2501 e 2505 c.c., e art. 81 c.p.c., in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c Sostiene il ricorrente che la sentenza della Corte di appello è stata emessa nei confronti di Capitalia s.p.a., quando al momento della decisione la società era mutata in Unicredit s.p.a..

2. Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 1728, 2501 e 2505 c.c., e degli artt. 81 – 83 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Sostiene il ricorrente che il mandato e la conseguente rappresentanza processuale conferita dalla Banca di Roma nel 93 e nel 94 agli avvocati Pontesilli era invalida per il giudizio di appello, per il venir meno del soggetto che l’aveva conferita.

3.Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, ex art. 360, n. 3, aggravata dal travisamento di un fatto.

Il ricorrente censura la Corte di appello per aver ritenuto quale circostanza non contestata il cambio di denominazione della Banca di Roma in Capitalia s.p.a., sul rilievo che non vi era obbligo di contestazione per l’appellante, in quanto era onere della controparte fornire la prova dell’identità di Capitalia,soggetto costituitosi nel giudizio di appello, con la Banca di Roma.

4. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell’art. 1728 c.c. e segg., ex art. 360, nn. 3 e 5.

Il ricorrente sostiene che cessano gli effetti del mandato al difensore quando muta, anche se solo come denominazione, il soggetto conferente.

5. Con il quinto motivo si denunzia violazione dell’art. 81 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Sostiene il ricorrente che la Corte di appello ha erroneamente ritenuto questioni nuove inammissibili i motivi di impugnazione relativi alla carenza di legittimazione e la mancanza di atti che legittimano l’esecuzione e la sostituzione processuale, essendo questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

6. Con il sesto motivo si denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., ex art. 360, n. 3, per aver la Corte di merito invertito l’onere probatorio in relazione alla misura degli interessi dovuti.

7.1 primi cinque motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logica giuridica e sono infondati.

8. La Corte di appello ha ritenuto infondata la eccezione di nullità della sentenza di primo grado, sul rilievo che dalla comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado risultava che Capitalia s.p.a. era la nuova denominazione della Banca di Roma s.p.a., circostanza del resto non contestata, in quanto il cambio di denominazione non modifica l’identità della persona giuridica e che, per la stessa ragione, era valida la procura alle liti conferita all’avvocato Pontesilli dalla Banca di Roma. La Corte di merito ha ritenuto inammissibili per novità della censura i motivi di impugnazione con cui la società Due Effe ha dedotto che essendo stato concesso il mutuo da banco di S.Spirito, la Banca di Roma non poteva azionare il titolo senza fornire la prova della sua legittimazione e che il mandato rilasciato all’avv. Pontesilli nel 1993 non era stato mai acquisito agli atti e che questo era comunque venuto meno con "la cessazione della personalità giuridica che lo aveva rilasciato". 9. Si rileva che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto inammissibili i motivi di impugnazione con cui è stata denunziata sia la mancanza agli atti del procedimento della procura alle liti asseritamente conferita agli avv.ti Pontesilli, sia la nullità derivante da valida procura per l’estinzione dell’ente conferente, in quanto tali vizi possono essere dedotti in ogni stato e grado del procedimento ed oltretutto sono rilevabili di ufficio per la prima volta anche in sede di legittimità. Cass. 14-1-2003 n. 444 e Cass. 17-3-2009 n.6439.

Dal controllo degli atti del procedimento, ammissibile in considerazione della natura del vizio denunziato, si rileva che, contrariamente a quanto denunziato dalla società Due Effe Immobiliare, risultano regolarmente depositate sia la procura generale alle liti rilasciata in data 2-11-93 all’avvocato Mario Pontessili dalla Banca di Roma, sia la procura generale rilasciata agli avv.ti Mario e Stefano Pontesilli dal Banco di Roma in data 16- 11-94, per la procedura esecutiva ed il giudizio di opposizione.

10. In ordine agli effetti sulla validità del mandato alle liti delle successive trasformazioni per fusione della Banca di Roma, deve distinguersi fra le modifiche societarie intervenute anteriormente al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366, e quelle successive.

L’art. 2501 c.c., comma 1, dispone che la fusione di più società può eseguirsi mediante la costituzione di una nuova società o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre. L’art. 2504 bis c.c., comma 1, nel testo anteriore alla riforma del diritto societario (avvenuta con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366), applicabile alle vicende di fusione riguardanti la società resistente prima del 2003, era così formulato: "la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte".

Da tali disposizioni si evince che l’unificazione di più società in una sola, vale a dire la loro fusione, può realizzarsi in due modi:

con la costituzione di una nuova società e la conseguente estinzione delle società che si fondono ed in tal caso la nuova società assume i diritti e gli obblighi delle società estinte; oppure mediante l’assorbimento (o incorporazione) di una o più società (incorporate) in una società preesistente (incorporante), che assume tutti i diritti e gli obblighi delle società incorporate, con la conseguenza che queste ultime e solo queste ultime si estinguono. Con la fusione, dunque, ad una pluralità di società se ne sostituisce una sola, ma mentre nel primo caso (fusione in senso stretto) tutti i soggetti preesistenti vengono sostituiti da un nuovo soggetto, che prende il posto di tutte le società che si fondono e ne continua l’attività; nel secondo caso (fusione per incorporazione) è la società incorporante che, sostituendosi alle società incorporate, ne continua l’attività. In tal senso è il costante orientamento giurisprudenziale della cassazione formatosi con riferimento al testo dell’art. 2504 bis c.c., vigente prima all’entrata in vigore del nuovo diritto societario.

In particolare, con riferimento alla fusione per incorporazione, questa Corte ha affermato che detta fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione "mortis causa" e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati (cfr. tra le molte Cass. n. 4679/02; Cass. n. 10595/01).

Se l’estinzione riguarda solo i soggetti incorporati e non l’incorporante e la modifica riguarda soltanto la titolarità dei rapporti giuridici che fanno capo alle società incorporate, ne deriva che non si verifica alcun mutamento nella titolarità dei rapporti giuridici dalla incorporante anche se posti in essere prima della fusione, restando la sostituzione nella titolarità dei rapporti pregressi limitata ai soli rapporti che in precedenza facevano capo alle società incorporate.

11. Con riferimento al nuovo art. 2504 bis c.c., conseguente alla riforma del diritto societario le Sezioni Unite di questa Corte con la ordinanza n. 2637/2006 (seguita da Cass. n. 14526/2006), valorizzando la lettera della disposizione, che non contiene più il riferimento all’effetto estintivo e che, inoltre, sottolineano che la società che risulta dalla fusione o quella incorporante prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione, ha affermato che la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo – modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.

12. Dagli atti e dai documenti ritualmente acquisiti nella fase di merito risulta che il con atto del 9-7-92, a rogito notaio Gennaro Mariconda efficace dal 1-8-92, è avvenuta la fusione mediante incorporazione nel banco di S. Spirito del Banco di Roma, con modifica della denominazione della società incorporante in Banca di Roma.

Con verbale del 16-5-2002 del notaio Gennaro Mariconda è avvenuta la fusione per incorporazione nella Banca di Roma del Banco di Sicilia, con cambiamento di denominazione in Capitalia s.p.a..

La Capitalia s.p.a. è stata incorporata a seguito di fusione in Unicredit s.p.a. per atto del notaio Piergaetano Marchetti del 25- settembre 2007 con effetto dal 1-10-2007. 13. Da tali atti risulta che il Banco di S. Spirito, erogatore del mutuo, nelle fusioni per incorporazioni succedutesi nel tempo fino all’entrata in vigore del nuovo diritto societario, è stata sempre società incorporante, e quindi il fenomeno estintivo ha riguardato solo le società in esso incorporate.

I cambi di denominazione che hanno accompagnato le fusioni, prima Banca di Roma e poi Capitalia s.p.a, documentati dagli atti prodotti in giudizio, non hanno alcun rilievo in quanto il cambio di denominazione non modifica l’identità della persona giuridica.

14. Ne consegue che per la società incorporante non si verifica alcun mutamento nella titolarità dei rapporti giuridici anche se posti in essere prima della fusione, restando la sostituzione nella titolarità dei rapporti pregressi limitata ai soli rapporti che in precedenza facevano capo alle società incorporate.

Nel caso di specie la Banca di Roma, nuova denominazione del Banco di S. Spirito, essendo sempre società incorporante, non può ritenersi estinta, con la conseguente validità della procura alle liti da questa rilasciata nel 93 e nel 94 agli avv.ti Pontesilli, idonea anche alla costituzione in giudizio di Capitalia s.p.a..

15. La fusione per incorporazione di Capitalia s.p.a. in Unicredit è avvenuta il 1-10-2007,nella vigenza della nuova formulazione art. 2504 bis c.c., e pertanto, pur essendo Capitalia in tale fusione società incorporata, non si determina la sua estinzione, ma secondo la nuova formulazione normativa si attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo – modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.

16. Ne consegue che la sentenza di appello è stata validamente emessa nei confronti di Capitalia s.p.a., pur essendosi la fusione in Unicredit realizzata nel corso del procedimento, in quanto la fusione secondo la nuova norma è una mera modifica che lascia sopravvivere tutte le società partecipanti alla fusione, sia pure con un nuovo assetto organizzativo reciprocamente modificato, e senza alcun effetto successorio ed estintivo. Si attua un mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente, ma non la creazione di un nuovo ente, che si distingua dal vecchio, per cui la società incorporata sopravvive in tutti i suoi rapporti alla vicenda modificativa nella società incorporante.

17. Come è stato esattamente osservato, la riforma del 2003 ha precisato che, in caso di fusione societaria, c’è prosecuzione e, dunque, continuità anche nei rapporti processuali: si è quindi escluso che la fusione comporti, a norma degli artt. 110, 299 e 300 c.p.c., interruzione del processo in cui sia parte una società partecipante ad una fusione.

18. Il sesto motivo è inammissibile perchè non congruente con la decisione sul punto.

La Corte di appello ha ritenuto che la Due Effe ha proceduto ad una fumosa ricostruzione contabile, alternativa a quella della banca, senza indicare neppure i criteri seguiti, senza evidenziare i pretesi errori,che non sono stati prospettati neanche in sede di opposizione.

19.La ricorrente non censura la motivazione che ha ritenuto inammissibile per genericità l’impugnazione sul punto,ma lamenta la violazione dell’onere probatorio, censura incongruente con la decisione, senza specificare quali circostanze e quali deduzioni la Corte avrebbe erroneamente ritenuto generiche.

Le spese de giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Cotte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per spese,oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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