Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-09-2011) 26-10-2011, n. 38800 Coltivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Latina ha condannato D.B.M., con la diminuente del rito abbreviato, alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 20.000 di multa per la coltivazione di un quantitativo di sostanza stupefacente pari a 152 piante di canapa indiana, del peso lordo di circa 100 kg, netto complessivo di kilogrammi 10,406, con principio attivo pari a milligrammi 136.120,5 da cui si possono ricavare 5445 dosi droganti. Il fatto è stato accertato il 28 agosto 2010 in località Acciarella di Latina, allorchè presso la fattoria D.B. sono state rinvenute e sequestrate le piante, in fase di coltivazione unitamente a piante di mais ed altro. L’imputato si è dichiarato responsabile della coltivazione, impiantata a suo dire circa un mese e mezzo prima, e per tale motivo è stato tratto in arresto e sottoposto a custodia cautelare in carcere. Il Tribunale, all’esito di giudizio abbreviato condizionato alla produzione di due documenti, ha escluso l’aggravante dell’ ingente quantitativo, non ha operato l’aumento di pena per le recidiva, ha negato le attenuanti generiche in considerazione della gravita del fatto e dei precedenti dell’imputato e ha determinato la pena nella misura sopra richiamata.

2. La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Latina, ha ridotto la pena ad anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 18.000 di multa, ritenendo che la pena base stimata dal tribunale fosse eccessiva e di poterla conseguentemente ridurre. Ha confermato nel resto l’impugnata sentenza.

3. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore del D.B.. Con un primo motivo deduce nullità per violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 87 e art. 364 cod. proc. pen. per mancato avviso alla difesa del prelevamento dei campioni delle piante sequestrate effettuato dal consulente tecnico nominato dal pm.; sostiene che, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito, la perizia non era più possibile perchè le piante sequestrate non sono state oggetto di deposito come corpo di reato;

il tribunale e la corte d’appello hanno completamente ignorato il certificato prodotto dalla difesa che dimostrava l’impossibilità di poter accedere ad una perizia in quanto le piante non risultavano in sequestro, ma in sequestro era solo la sostanza essiccata. Con il secondo motivo sostiene la inutilizzabilità della consulenza tecnica effettuata dal consulente nominato dal pubblico ministero in quanto tale consulenza è stata effettuata previa modificazione delle piante attraverso la loro essiccazione; in tal modo i risultati della consulenza sono alterati dalla indotta artificialmente maturazione delle piante. La consulenza avrebbe dovuto essere effettuata sul materiale vegetativo quale rinvenuto all’esito del sequestro e non già previa essiccazione dello stesso. Precisa che trattasi di inutilizzabilità patologica e quindi deducibile anche nel presente procedimento celebrato con rito abbreviato. Deduce, di conseguenza, la nullità dell’ impugnata sentenza nella parte in cui ha affermato la responsabilità dell’imputato anche per manifesta illogicità in quanto la stessa è basata sugli accertamenti di cui si è detto sopra, nulli o inutilizzabili. Con ulteriore motivo si duole della mancata concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. La corte di appello non ha tenuto in considerazione il fatto che l’accertamento sul principio attivo è stato individuato dal consulente sulla base di una presunta crescita della pianta ed è dunque un principio attivo non effettivo. Si lamenta poi che la corte non ha assolutamente risposto in merito alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche e di una congrua riduzione di pena.

Censura ancora per nullità la sentenza impugnata nella parte in cui la corte di appello ha ritenuto applicabile – nonostante la pena finale fosse inferiore a cinque anni – la interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Al riguardo sostiene che la disposizione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 85 è speciale rispetto all’art. 29 c.p. e dunque non consente l’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici come irrogata. Con un ultimo motivo deduce la nullità dell’ impugnata sentenza per mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per effettuare una perizia sulle piante, tenuto conto delle argomentazioni sviluppate dal tribunale in relazione alla ripetibilità dell’accertamento peritale sulle piante stesse.

Con successiva memoria tutti i motivi di ricorso vengono richiamati ed ulteriormente illustrati.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Deve in primo luogo precisarsi, per rispondere alle numerose censure circa lo svolgimento delle indagini che ancora vengono formulate dalla difesa e chiarire la situazione di fatto, che il 28 agosto 2010 regolarmente, previo avviso all’imputato della facoltà di farsi assistere da un difensore e rifiuto di avvalersi di tale facoltà, si è proceduto da parte della polizia giudiziaria alla perquisizione e contestuale sequestro delle 152 piante "in pieno fiore" che costituivano la intera piantagione di marijuana rinvenuta nel terreno; che regolarmente, procedendo ex art. 359 cod. proc. pen., il pm ha disposto consulenza tecnica su tale sostanza, disponendo espressamente la conservazione della sostanza in sequestro; che altrettanto regolarmente il consulente tecnico ha prelevato dalle 152 piante un campione di tre piante rappresentativo di quelle in sequestro. Deve di conseguenza rilevarsi la assoluta infondatezza del motivo con cui si deduce la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 87 e art. 364 cod. proc. pen.; il Tribunale e la Corte di appello hanno già chiarito, con esattezza e precisione, che non vi è stata "campionatura" in senso proprio, ponendo in rilievo che tutte le piante erano state sequestrate e non distrutte, e dunque ben sarebbe stato possibile per l’imputato chiedere una perizia sulle stesse, atto al quale però il medesimo ha rinunciato accedendo al rito abbreviato. La difesa sostiene di aver prodotto un "certificato" da cui risulterebbe che le piante non risultavano in sequestro, ma ciò contrasta con le risultanze processuali e peraltro tale documento è soltanto genericamente evocato e non prodotto, come sarebbe stato onere della difesa per poterne fondatamente invocare la considerazione.

Quanto alle modalità di effettuazione della consulenza tecnica, questa Corte ha già affermato (Sez. 4 1.12.2000 n. 5808 rv 219445), e deve ora ribadire, che la consulenza disposta dal pubblico ministero su un campione di materiale vegetale proveniente da una piantagione di canapa indiana selezionato nell’ambito degli accertamenti urgenti compiuti dalla polizia giudiziaria, non costituisce accertamento tecnico irripetibile atteso che tale campione conserva nel tempo le intrinseche caratteristiche e può pertanto, ove necessario, essere sottoposto a nuovo esame. Tanto più il principio può applicarsi alla presente fattispecie atteso che, come sopra si è detto, l’intera piantagione era stata sequestrata e conservata e ben avrebbe potuto la difesa, una volta presa visione dei risultati della consulenza, optare per il giudizio ordinario al cui interno avrebbe potuto svolgere ogni censura e sollecitare una perizia facilmente effettuabile sulle piante in sequestro.

Correttamente dunque si è proceduto ex art. 359 cpp, disposizione che non richiede l’avviso alla difesa, i cui diritti non risultano in alcun modo violati.

Quanto all’accertamento della offensività della condotta, si è trattato di modalità tecniche che rientrano nella competenza del consulente e che, come già osservato dalla Corte di appello, risultano conformi agli standard correntemente utilizzati; certamente non è censurabile il consulente per aver proceduto alla essiccazione della sostanza per stimarne il principio attivo, dal momento che la offensività della piantagione è evidentemente collegata alle potenzialità della medesima di fornire sostanza drogante, e tale produzione richiede appunto, per la cannabis, la essiccazione della stessa. Deve dunque, da un lato, escludersi l’esistenza di una inutilizzabilità patologica della consulenza e ribadirsi, per altro verso, le osservazioni svolte circa la possibilità di scelta del rito ordinario. Risultando dunque correttamente accertata la offensività della condotta, la sentenza che ha fatto riferimento ai dati in tal modo emersi, è pienamente logica e congrua nell’avere escluso la attenuante del quinto comma; ed altrettanto congrua è la ragione della esclusione della concedibilità delle attenuanti generiche motivata sulle precedenti condanne dell’imputato, mentre la pena è stata ridotta nella misura della pena base, per meglio adeguarla al concreto disvalore del fatto.

Da ultimo infondato è anche il motivo attinente la interdizione dai pubblici uffici, disposta ex art. 29 cod. pen., previsione di portata generale ed obbligatoria, la cui applicazione non è esclusa dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 85 che si limita a prevedere la facoltà per il giudice di disporre ulteriori pene accessorie in aggiunta a quella del codice penale.

2. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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