Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-04-2012, n. 6044 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9.10.2008 – 14.11 2009 la Corte d’Appello di Roma rigettò l’appello proposto dal Consorzio di Cooperative Sociali di Riabilitazione e Reinserimento RI-REI (qui di seguito, per brevità, anche indicato come Consorzio) avverso la pronuncia di prime cure che aveva accolto la domanda svolta da B.P., già dipendente della Associazione Anni Verdi onlus, e diretta alla declaratoria dell’obbligo del Consorzio di procedere alla sua assunzione, con inquadramento al 9^ livello del CCNL di settore e con condanna della parte datoriale al pagamento delle retribuzioni maturate.

A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne quanto segue: – con l’accordo del 1.9.2006, sulla base del quale il B. aveva fondato la propria domanda, al di là dell’espressione letterale utilizzata – alla quale faceva peraltro riscontro rinequivoca dizione "il personale verrà assunto alle medesime condizioni" riferita al personale legittimamente assente dal servizio alla data del 1.9.2006, nonchè la dichiarazione di accettazione da parte delle OO.SS. – i Consorzio non aveva espresso soltanto l’intenzione di procedere all’assunzione, ma si era impegnato in tal senso, come emergeva dal riferimento alle condizioni contrattuali (contratto a tempo indeterminato) e di inquadramento (medesimi livelli di cui in precedenza) e come era anche dimostrato dalla circostanza che il Consorzio medesimo aveva "poi effettivamente proceduto all’assunzione della quasi totalità degli ex dipendenti Anni Verdi";

– tale accordo, quale contratto collettivo aziendale, aveva prodotto efficacia nei confronti di tutti i lavoratori che vi avevano prestato adesione e non solo degli iscritti all’organizzazione stipulante FP CGIL;

– dalla documentazione versata in atti era risultato che il B. era in organico presso la sede di (OMISSIS) (ricompresa fra i Centri di cui all’accordo), anche se temporaneamente distaccato (circostanza ritenuta ininfluente, in considerazione della natura giuridica del distacco);

– dalla esperita prova testimoniale era incontrovertibilmente emerso che il B. aveva prestato attività lavorativa fino al 30 agosto 2006, percependo la relativa retribuzione;

– lo stato di malattia, non ostativo all’assunzione in base all’espressa previsione dell’accordo, era stato ritualmente comunicato, attese le ricevute in atti delle relative certificazioni.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, il Consorzio di Cooperative Sociali di Riabilitazione e Reinserimento RI-REI ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria.

L’intimato B.P. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (artt. 1362 e 2932 c.c.), nonchè vizio di motivazione, assumendo che la ragione della sottoscrizione dell’accordo del 1.9.2006 era una manifestazione di intenti per l’assunzione del personale presente nei Centri e non anche di coloro che si erano allontanati dalle strutture, al fine di garantire la continuità assistenziale; non era comprensibile il procedimento logico che aveva portato la Corte territoriale a ritenere l’assunzione di un impegno vincolante; era stato violato l’art. 1362 c.c., non essendo stato indagata quale fosse stata la comune intenzione delle parti, alla luce del loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione dell’accordo; era stato violato anche il canone ermeneutico di cui all’art. 1363 c.c., tralasciando di valutare la volontà espressa dal rappresentante della FP CGIL diretta all’assorbimento di tutto il personale impiegato presso i Centri operativi di Roma e provincia.

1.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde la possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato; quindi, potendo il sindacato di legittimità riguardare esclusivamente la coerenza formale della motivazione, ovvero l’equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, non può ritenersi idonea ad integrare valido motivo di ricorso per cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 8994/2001; 5359/2004; 11342/2004; 14850/2004; 18375/2006).

1.2 Alla luce dei suddetti principi deve rilevarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, a motivazione della sentenza impugnata, nei termini diffusamente esposti nello storico di lite, è perfettamente comprensibile ed immune da contraddittorietà e vizi logici.

La stessa è anche rispettosa dei criteri ermeneutici, avendo avuto riguardo al significato testuale delle espressioni utilizzate in doveroso coordinamento con le varie previsioni contrattuali ed avendo altresì preso in considerazione il comportamento anche posteriore alla conclusione del negozio.

L’assunto del ricorrente secondo cui si sarebbe trattata di una mera manifestazione di intenti costituisce quindi la mera contrapposizione di una diversa lettura del testo contrattuale, che peraltro finisce per sostanziarsi nella valorizzazione di un elemento letterale "…è intenzione…", trascurando di considerare quelle ulteriori specifiche previsioni, correttamente esaminate nella sentenza impugnata, che illuminano sulla reale portata dell’accordo in parola.

Il motivo va dunque disatteso.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ulteriormente violazione di norme di diritto (artt. 1362 e 2932 c.c.), nonchè vizio di motivazione, deducendo che il dato letterale dell’accordo del 1.9.2006 escludeva la sua estensione erga omnes, essendo stato sottoscritto dalla FP CGIL "in rappresentanza dei Centri di cui all’allegato elenco…", essendo pacifica la non iscrizione del B. a tale sindacato e dovendo ritenersi inconferente la tesi della sua adesione all’accordo.

2.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte i contratti collettivi aziendali devono ritenersi applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorchè non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sindacale separato e diverso (cfr, ex plurimis, Cass, nn. 10353/2004; 11939/2004; 17674/2002; 4218/2002;

5953/1999).

La non appartenenza del B. alla FP GCIL non esclude quindi che gli sia applicabile l’accordo aziendale in parola, non risultando la sua appartenenza ad altra organizzazione sindacale che abbia manifestato dissenso al riguardo; al contrario la sua presentazione sul posto di lavoro dopo la cessazione del termine di malattia e l’invocazione dell’accordo a fondamento della pretesa azionata sono inequivoci indici della sua personale adesione all’accordo medesimo;

nè, infine, al di là della sottolineatura dell’organizzazione stipulante, ininfluente per le ragioni testè indicate, il ricorrente dimostra in che modo la Corte territoriale, nel ritenere l’applicabilità erga omnes dell’accordo, si sarebbe discostata dai prescritti canoni ermeneutici.

Anche il motivo all’esame va pertanto disatteso.

3. Con il terzo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nonchè vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che:

– non era dato comprendere, stante la non univocità della documentazione acquisita e atteso il contenuto delle deposizioni testimoniali, come la Corte territoriale avesse ritenuto che il B. fosse operativo presso uno dei Centri indicati nell’accordo e che fosse stato temporaneamente distaccato presso gli uffici amministrativi della Anni Verdi;

– la motivazione appariva altresì insufficiente laddove aveva ritenuto che il B. avesse lavorato sino al 30.8.2006;

– non era stato riconosciuto che, in base al tenore letterale dell’accordo, doveva evincersi che il personale ivi contemplato dovesse trovarsi già in malattia atta data del 1.9.2006;

– non era stato considerato che il certificato dimesso non era stato redatto sull’apposito modulo ed era stato inviato alla Associazione ex datrice di lavoro;

– non era stato considerato che la malattia diagnosticata non era invalidante.

3.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 9716/2000; 11933/2003; 3994/2005; 27464/2006).

Inoltre la deduzione con i ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.

Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra te argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005;

15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002) La giurisprudenza di questa Corte ha altresì reiteratamente affermato che l’omesso esame di fatto decisivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è costituito da quel difetto di attività del giudice del merito che si verifica tutte le volte in cui egli abbia trascurato, non la deduzione o l’argomentazione che la parte ritiene rilevante per la sua tesi, ma una circostanza obiettiva acquisita alla causa tramite prova scritta od orale, idonea di per sè, qualora fosse stata presa in considerazione a condurre con certezza ad una decisione diversa da quella adottata, cosicchè, ad integrare il predetto difetto, occorre non solo che il fatto, sebbene dibattuto tra le parti, sia stato totalmente trascurato dal giudice al pari di quelli non sottoposti ritualmente al suo accertamento, ma anche che il fatto in questione, per la sua diretta inerenza ad uno degli elementi costitutivi, modificativi od estintivi del rapporto in contestazione, sia dotato di una intrinseca valenza tale da non poter essere tacitamente escluso dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite, come non si verifica per ogni singolo indizio, segnale od indice critico, il quale per la sua gravità o per la sinergica convergenza con altri elementi indiziari consentirebbe, in ipotesi, al giudice di risalire alla individuazione di un fatto ignoto (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 7000/1993; 914/1996; 2601/1998; 1203/2000; 13981/2004; 13821/2008;

4369/2009; 10713/2010).

3.2 Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha esaminato e circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici.

3.3 Inoltre, sempre alla luce dei principi, sopra ricordati, deve convenirsi che, con particolare riferimento ai profili di doglianza relativi alla ritenuta operatività del B. presso uno dei Centri indicati nell’accordo, al suo temporaneo distacco presso gli uffici amministrativi della Anni Verdi e alla prestazione di attività lavorativa da parte sua sino al 30.8.2006, le argomentazioni del ricorrente si risolvono nella richiesta di una diversa valutazione del materiale probatorio, documentale e testimoniale, senza peraltro che siano evidenziate emergenze istruttorie di portata decisiva e contraria a quanto ritenuto dalla Corte territoriale e da quest’ultima non esaminate.

3.4 Quanto al profilo di doglianza concernente l’asserita contemplazione, da parte dell’accordo, del personale che già si fosse trovato in malattia alla data del 1.9.2006, deve osservarsi che il ricorrente non spiega in qual modo fa Corte territoriale si sarebbe discostata dai criteri ermeneutici, limitandosi a prospettare – inammissibilmente in questa sede di legittimità – una diversa lettura della pattuizione su punto; lettura che, peraltro, confligge con l’inequivoco dato letterale, facente riferimento alla data suddetta e non già ad un preesistente stato di malattia.

3.5 La censura concernente la mancata redazione del certificato di malattia "sull’apposito modulo" è inammissibile, vertendo su questione non trattata dalla Corte territoriale e in ordine alla quale il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non indica i tempi e i modi con cui sarebbe stata specificamente devoluta al Giudice del gravame.

3.6 Analoghe considerazioni valgono a far ritenere inammissibile la censura relativa alla pretesa natura non invalidante della malattia certificata.

3.7 L’accertamento fattuale operato dalla Corte territoriale in ordine alla presenza in atti delle ricevute delle relative certificazioni rende sostanzialmente irrilevante che il certificato di malattia sia stato indirizzato atta ex datrice di lavoro, essendo poi lo stesso pervenuto all’odierno ricorrente, ancorchè, come emerge dalle allegazioni del controricorrente, dopo alcuni giorni e, in particolare, al momento della richiesta di ripresa del servizio, quando cioè si sarebbe dovuto dare concreta attuazione all’impegno assunto.

3.8 Il motivo all’esame, nei distinti profili in cui si articola, non può dunque trovare accoglimento 4. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 50,00, oltre a Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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