Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-04-2012, n. 6041 Lavoro straordinario e notturno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 30.10/1.12.2009 la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la Società Cattolica di Assicurazione al pagamento in favore di G. A. dell’indennità sostitutiva del mancato preavviso, mentre rigettava la domanda dallo stesso proposta per il pagamento dell’indennità di mensa e delle conseguenti differenze sulle altre voci retributive.

Osservava in sintesi la corte territoriale, quanto al richiesto superiore inquadramento, che gli esiti dell’istruttoria confermavano la correttezza dell’inquadramento professionale attribuito dal datore di lavoro, in quanto conforme alle previsioni contrattuali succedutesi nel corso del tempo; quanto al lavoro straordinario, che, trattandosi di lavoratori operanti "sul territorio", a fronte dell’elasticità ed incontrollabilità della durata della prestazione lavorativa, organizzata con la più ampia autonomia, e nell’assenza di segnalazioni e dell’attivazione dei controlli previsti dalla contrattazione collettiva, non era consentito riconoscere il pagamento di ore di lavoro eventualmente eccedenti l’orario settimanale dei lavoratori interni; quanto all’indennità di mensa, che la stessa era prevista solo per il personale interno e non poteva estendersi, pertanto, anche ai liquidatori.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso S.A. con cinque motivi.

Resiste con controricorso la Società Cattolica di Assicurazione, la quale ha anche proposto ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2095 e 2103 c.c., nonchè dei canoni di ermeneutica contrattuale in relazione alla contrattazione collettiva applicabile, oltre che vizio di motivazione, osservando che la corte territoriale aveva mancato di considerare, ai fini del riconoscimento della qualifica di funzionario sin dall’assunzione in servizio, la effettiva importanza ed autonomia delle mansioni in concreto svolte (riconducibili a quelle di vice capo-ufficio sin dall’instaurazione del rapporto di servizio) e che, in particolare, non era stata valutata la rilevanza, ai fini dell’inquadramento nella categoria dei funzionari, del potere di firma allo stesso attribuito, così come era stata sottovalutata la circostanza che il ricorrente era preposto alla gestione e liquidazione di tutti i sinistri della zona di competenza, avvalendosi di collaboratori esterni (periti, medici, avvocati), che provvedeva a coordinare, e che allo stesso era attribuito il potere di rappresentanza della società, per come testimoniavano le innumerevoli quietanze sottoscritte in nome e per conto del datore di lavoro, in assenza di alcuna preventiva autorizzazione.

Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2108 e 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., del R.D. n. 692 del 1923, art. 1, nonchè dei canoni di ermeneutica contrattuale in relazione alla contrattazione collettiva applicabile, oltre che vizio di motivazione, ed, al riguardo, osserva che la corte territoriale aveva omesso di considerare che il datore di lavoro aveva imposto, mediante l’attribuzione di incarichi sempre crescenti, lo svolgimento di prestazioni lavorative che superavano abitualmente l’orario massimo contrattuale (di 38 ore), tanto che, neppure a fronte delle reiterate richieste scritte del dipendente circa l’eccessiva gravosità del carico di lavoro, erano state ridotte le zone di competenza ed il numero dei sinistri da gestire.

Con il terzo motivo, pur esso svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 36 Cost. e dei canoni legali di ermeneutica contrattuale in relazione alla contrattazione collettiva applicabile, ed, al riguardo, osserva che per negare il diritto all’indennità di mensa la corte territoriale avrebbe dovuto almeno valutare in concreto la gravosità delle prestazioni lavorative svolte dal dipendente e tener conto della natura retributiva di tale indennità e della maggiore penosità della prestazione derivante dalla concentrazione dell’orario di lavoro.

Con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere immotivatamente rigettato la richiesta di prova testimoniale, nonostante che la stessa avesse carattere di decisività, per riguardare la natura ed importanza delle mansioni svolte, la gravosità del carico di lavoro ed il superamento dell’orario massimo di lavoro.

Con l’ultimo motivo, infine, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c., e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale disposto la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, sebbene la riduzione, anche sensibile, del credito richiesto non potesse integrare gli estremi della soccombenza reciproca.

2. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società intimata denuncia violazione degli artt. 2909, 1350 e 2103 c.c., nonchè degli artt. 324 e 346 c.p.c., rilevando che la corte di merito non aveva considerato che sul rigetto della domanda relativa al pagamento dell’indennità di preavviso si era formato il giudicato e che, comunque, la legge non prevede alcun onere di forma per il trasferimento del lavoratore, sicchè illegittimamente non era stata ammessa la prova testimoniale diretta a provare che il dipendente era stato verbalmente preavvisato del trasferimento.

Con il secondo motivo la sentenza impugnata viene censurata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 157, 420, 324, 75 e 83 c.p.c., nonchè all’art. 2909 c.c., per aver accolto l’eccezione di nullità della procura rilasciata ai difensori della società costituiti in primo grado, sebbene tale eccezione fosse stata tardivamente proposta; non fosse stata impugnata l’ordinanza (avente contenuto sostanziale di sentenza) del 12.2.2002, che aveva rigettato l’eccezione relativa alla carenza di ius postulandi; lo statuto sociale attribuisse al direttore generale "la rappresentanza in giudizio della società" senza limitazione alcuna.

3. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

4. I motivi dal primo al terzo del ricorso principale, in quanto connessi, giacchè fondati sulla corretta interpretazione delle norme contrattuali (CCNL dei dipendenti di imprese di assicurazione 21.6.1966, 12.3.1971, 1.7.1975, 21.7.1983, 29.10.1987, 3.3.1991, 6.12.1994) e sulla incidenza che la corretta interpretazione delle stesse riflette sulle norme legali, vanno esaminati congiuntamente e dichiarati improcedibili. Deve, infatti, ribadirsi come non possa la Corte provvedere alla valutazione della correttezza dei risultati interpretativi cui è pervenuto il giudice di merito, come anche dell’insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la parte ricorrente depositato i contratti collettivi in questione, la cui produzione nella loro interezza e non soltanto per singoli stralci – è imposta, appunto a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, allorchè si tratti, come nella specie, di contratti collettivi nazionali di diritto privato, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte ormai in molteplici pronunce e da ultimo anche a Sezioni Unite con la sentenza n. 20075 del 23.9.2010.

Si è chiarito, infatti, come tale disposizione nella parte in cui onera il ricorrente (principale o incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, deve interpretarsi nel senso che, allorchè il ricorrente impugni con ricorso immediato per cassazione, ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme del contratto o accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il deposito suddetto deve avere per oggetto, a pena di improcedibilità, non già solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni.

Nel caso in esame, il ricorrente non si è attenuto ai principi indicati ed, infatti, sebbene nell’indice del ricorso si affermino prodotte (sub n. 30) "copie integrali" dei contratti collettivi sopra richiamati, risulta che, in realtà, si tratta di meri stralci di tali documenti, e non anche del testo integrale degli accordi stessi.

I motivi vanno, pertanto, dichiarati improcedibili.

5) Quanto, poi, al quarto motivo, con il quale il ricorrente si duole della mancata ammissione delle prove orali, deve rilevarsi l’inammissibilità della relativa censura, per non avere il ricorrente provveduto a trascrivere il testo di tali mezzi istruttori, per come richiesto dal canone di autosufficienza del ricorso per cassazione, che, come noto, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. n. 10913/1998; Cass. n. 12362/2006).

6. Infondato è, infine, l’ultimo motivo.

Deve, al riguardo, osservarsi che, sebbene anche nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve trovare un adeguato supporto motivazionale, che, peraltro, non richiede l’adozione di motivazioni specificatamente riferite a tale provvedimento, purchè le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal contesto della motivazione adottata (cfr. SU n. 20598/2008), resta fermo che la valutazione operata dal giudice di merito risulta censurabile in cassazione solo ove sia violato il principio per il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa oppure allorchè la motivazione posta a fondamento della statuizione di compensazione risulti palesemente illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per la sua inconsistenza o evidente erroneità, il processo decisionale del giudice.

Nel caso in esame la corte territoriale ha giustificato la statuizione di compensazione facendo riferimento alla circostanza che la domanda è stata accolta solo "in minima parte" e che, peraltro, in grado di appello era stata dichiarata la reciproca soccombenza e tale motivazione si sottrae a censura, in quanto correttamente riferibile ad eventi sussumibili nella fattispecie legale dell’art. 92 c.p.c., comma 2 e, comunque, è tale da non evidenziare palesi incongruenze logiche o errori giuridici.

7. Venendo, quindi, all’esame del ricorso incidentale, infondato è il primo motivo dello stesso.

Deve, al riguardo, innanzi tutto, osservarsi, con riferimento alla asserita formazione del giudicato, per difetto di appello, sul capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda relativa all’indennità di preavviso, che risultano privi di alcuna documentazione gli atti processuali nel caso rilevanti (sentenza di primo grado, atto di appello), con conseguente violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione ed inammissibilità della relativa censura.

Per il resto, va rilevato che la corte territoriale, lungi dall’affermare che il trasferimento dovesse essere necessariamente adottato in forma scritta, ha, piuttosto, dato atto, in punto di fatto, che non vi era la certezza, per il lavoratore, circa una modificazione, già deliberata, del suo luogo di lavoro.

Nè a tal fine può apprezzarsi la decisività della prova orale richiesta dalla società ricorrente in via incidentale, tenuto conto che, nel contesto della stessa, si fa riferimento a documenti (da "rammostrare al teste") che non risultano trascritti in seno al ricorso, sebbene costituissero parte integrante del mezzo istruttorio di cui si lamenta la mancata ammissione.

8. Infondato è anche il secondo motivo.

La corte territoriale ha, infatti, correttamente ritenuto che l’eccezione relativa al difetto di rappresentanza del direttore generale della società Cattolica fosse stata tempestivamente formulata, non appena rimossa (con la riassunzione del giudizio, a seguito dell’espletamento del tentativo di conciliazione) la originaria causa di improcedibilità del ricorso, che di per sè precludeva lo svolgimento di alcuna ulteriore attività istruttoria.

Trattasi, peraltro, di autonoma ragione di giustificazione della decisione, che nemmeno ha formato oggetto di specifica censura da parte della ricorrente incidentale.

Quanto, poi, alla tardività del gravame su tale questione, per non esser stato tempestivamente impugnato il provvedimento del giudice del lavoro del 12.2.2002, del tutto incensurabile appare la considerazione svolta dalla corte anconetana, che ha ritenuto che trattasi di provvedimento adottato "prima facie", e, quindi, a carattere interlocutorio, e suscettibile di definitiva decisione solo con la sentenza.

Per il resto, e nel merito della eccezione, deve ribadirsi che, in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, il potere di rappresentare una società di capitali con effetti vincolanti nei rapporti esterni può ritenersi sussistere in capo al direttore generale, il quale non si identifica con gli amministratori, nè fa parte dell’organo amministrativo della società, ma configura un distinto organo con compiti di direzione interna, amministrativa o tecnica, solo se sussiste una specifica attribuzione o se tale potere inerisca alla natura stessa dei compiti affidatigli, dovendosi, in mancanza, ritenersi lo stesso privo di potere rappresentativo (v., ad es. Cass. n. 24298/2006; Cass. n. 18090/2004; Cass. n. 850/1989).

Nel caso, la corte territoriale ha accertato che lo statuto sociale conferiva solo al consiglio di amministrazione il potere di deliberare le liti attive e passive della società, mentre al direttore generale competeva un potere di rappresentanza sostanziale e processuale limitato ad una serie di controversie tassativamente indicate, fra le quali non risultavano ricomprese le controversie di lavoro.

La sentenza impugnata ha, pertanto, correttamente ritenuto la carenza in capo al direttore generale del potere di rappresentanza della società con riferimento alla controversia in esame.

9. Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.

Spese compensate, avuto riguardo alla reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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