Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-04-2012, n. 6036

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello dell’Aquila, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda dei lavoratori in epigrafe, proposta nei confronti della società Siemens Healthcare Dignostics (già Dade Behring) della quale erano stati dipendenti sino al 1998, avente ad oggetto la condanna della predetta società al risarcimento dei danni conseguenti il mancato adempimento degli obblighi scaturenti dall’accordo ministeriale intervenuto nello stesso anno.

La Corte del merito rilevava, preliminarmente, che dalle risultanze processuali non emergeva alcun impegno sine die in capo alla società Dade Behiring di procurare ai suoi ex dipendenti un adeguata sistemazione occupazionale e, pertanto, non poteva ravvisarsi alcun inadempimento da parte di detta società cui rivolgere pretese risarcitorie di sorta.

Osservava, poi, la Corte territoriale che dall’accordo ministeriale emergeva tutt’al più un obbligazione della società, nei confronti degli ex dipendenti, limitata esclusivamente alla stipula del contratto di fornitura con la nuova società per la durata di cinque anni, e non oltre, non potendosi evincere alcun obbligo della stessa al mantenimento dell’occupazione degli stessi senza alcun termine, garantendo, peraltro, il fatto del terzo, ossia la gestione Assitech.

Rimarcava, inoltre, la Corte del merito, che, una volta raggiunta la scadenza di questi cinque anni, spettava all’Assitech gestire l’attività imprenditoriale con criteri di mercato e tutto ciò che era accaduto a tale scadenza rientrava nell’ambito delle ipotesi di collaborazioni commerciali, non potendosi configurare un obbligo, analogo a quello assunto nel 1998, in capo alla società Dade Behiring. Tutte le proposte occupazionali, infatti sottolineava la Corte di Appello, suggerite dalle organizzazioni sindacali non vincolavano affatto la precitata società oltre il termine quinquennale, come tutte le iniziative imprenditoriali adottate dai lavoratori dovevano essere interpretate alla luce del mantenimento del posto di lavoro, ma non come adempimento di un obbligo (peraltro per un fatto di un terzo, ossia della Assitech). Rientrava, secondo la predetta Corte, nelle valutazioni prettamente imprenditoriali – una volta spirato il termine quinquennale – il non mantenere più, perchè svantaggioso, il rapporto esistente con la società Assitech valutando nuove ipotesi di collaborazione commerciale, come anche il ritenere non sufficientemente garantita la costituzione di una nuova struttura societaria (anche se formata da ex dipendenti) come, infine, l’ingresso di nuovo personale ( Me., C. e Ca.) nell’originaria compagine lavorativa.

Avverso questa sentenza i lavoratori in epigrafe ricorrono in cassazione sulla base di due censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la società intimata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, allegano che la Corte del merito non ha tenuto conto che in sede di accordo la società aveva effettuato due scelte strategiche – ossia la terziarizzazione delle attività tecniche di supporto e la concentrazione all’Aquila delle attività reworking non assoggettate nè assoggettabili a termine obbligandosi a garantire, in tal modo, la terziarizzazione permanente del servizio quale che fosse il terzo con cui stipulare il contratto di fornitura.

La censura è infondata.

La Corte del merito, invero, nell’esaminare il complessivo accordo ministeriale accerta, con motivazione adeguata e priva di vizi logici, che da detto accordo poteva tutt’al più desumersi un obbligazione della società, nei confronti degli ex dipendenti, limitata esclusivamente alla stipula del contratto di fornitura con la nuova società per la durata di cinque anni, e non oltre, non potendosi evincere alcun obbligo della stessa al mantenimento dell’occupazione degli stessi senza alcun termine, garantendo, peraltro, il fatto del terzo, ossia la gestione Assitech.

Nè da detto accordo può, a differenza di quanto assunto dai ricorrenti, dedursi un obbligo da parte della società Dade Behring alla "permanente terziarizzazione", atteso che di siffatta terziarizzazione, nell’ accordo in parola, si da conto solo nella premessa e quale mero intento, peraltro non permanente, della società, mentre il vero e proprio accordo, come precisato nel relativo documento, interviene su altri punti che sono quelli puntualmente esaminati dalla Corte territoriale.

Con la seconda censura i ricorrenti, allegando vizio di motivazione, sostengono che la Corte del merito ha completamente ignorato l’ulteriore Accordo del luglio 2003, raggiunto tra le OO.SS. e l’Azienda, dinanzi al Ministero nel quale si prevedeva la costituzione di una nuova MBO ad opera dei dipendenti, con la quale la società avrebbe stipulato il contratto di fornitura.

Di tale accordo, precisano i ricorrenti, non venne redatto un verbale, ma la sua esistenza è stata tranquillamente ammessa dalla società in tutta la sua corrispondenza e soprattutto nella lettera del 28 luglio 2003.

Nell’atto di appello, aggiungono i ricorrenti, si era dedotto l’ulteriore profilo dell’inadempimento della società consistito nell’aver assunto – la citata società – l’ing. Me., il Sig. Ca. ed il Sig. C. nonostante la segnalata necessità, da parte della stessa Dade Beheing, per la costituenda nuova società ad opera di essi ricorrenti, della collaborazione dei nominati Me., Ca. e C..

La censura non è scrutinabile.

Invero secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte qualora una determinata questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorse per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente ed in quali termini lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

Nella specie entrambe le questioni così come dedotte con la censura in esame non risultano trattate nella sentenza di appello ed il ricorrente non precisa in quali termini ed in quale atto del giudizio di secondo grado ha sollevato siffatte questioni. Nè a tal fine può valere certamente la mera precisazione di aver sollevato in appello la questione, essendo necessario, ai fini del pieno rispetto del richiamato principio di autosufficienza, la specificazione dei termini in cui, in appello, è stata sollevata la questione e l’allocazione della deduzione nell’atto dovendo questa Corte in ossequio al principio costituzionale del giusto processo, valutare, comunque, prima facie, la decisività della stessa.

In difetto di siffatte precisazioni le questioni di cui alla censura in esame devono ritenersi sollevate per la prima volta in sede di legittimità e come tali vanno considerate inammissibili.

Sulla base delle esposte considerazioni, in conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 60,00 per esborsi, oltre Euro 3.500,00 per onorario ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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