Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 22-09-2011) 26-10-2011, n. 38815 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. N.S. veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per il periodo complessivo di 844 giorni, perchè indagato per il reato di tentata estorsione aggravata, avvalendosi delle condizioni di partecipe ad associazione di tipo mafioso. Il Tribunale di Catania, con sentenza in data 3-1-1998, lo assolveva dal reato ascritto rilevando che pur ricorrendo concreti elementi indiziari di colpevolezza, peraltro questi non apparivano tali da consentire un sicuro giudizio di condanna, essendo insufficiente la prova per una statuizione definitiva di responsabilità per l’occorso. La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Catania.

N.S. proponeva istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta chiedendo che gli venisse riconosciuta l’indennità nella misura di giustizia.

2. La Corte di Appello di Catania rigettava la domanda.

Osservava che l’istante aveva dato causa all’emissione del provvedimento cautelare per avere tenuto un comportamento contrassegnato da colpa grave.

In particolare, la condotta tenuta nella vicenda dal N., accertata in fatto, rivelava di per sè, ad avviso del Giudice della riparazione, macroscopica negligenza ed imprudenza tale da ingenerare la falsa apparenza della sua confìgurabilità come illecito penale.

Precisamente, i fatti impeditivi all’affermazione del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione erano individuabili nei seguenti.

Risultava accertato che l’istante, sulla base delle dichiarazioni rilasciate da collaboratori di giustizia riscontrate da indagini investigative, aveva rivestito il ruolo di uomo di fiducia di coimputati (quali L.R. e O.), gestori di locali pubblici catanesi rilevatasi centri di interesse del clan mafioso "Santapaola"; inoltre egli era soggetto vicino a tale C. C., esponente di spicco del sodalizio mafioso: tali contatti, peraltro, erano stati esclusi dall’indagato in sede di interrogatorio.

3.L’istante proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello.

Evidenziava che la Corte di merito non aveva correttamente valutato il comportamento tenuto da esso ricorrente, non qualificabile come incauto e tale da giustificare la misura coercitiva emessa nei suoi confronti. Contestava la corrispondenza al vero delle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboranti; escludeva di avere mai conosciuto il C.C..

Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si costituiva in giudizio.

4. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione instava per l’annullamento dell’ordinanza con rinvio.

5. Il ricorso deve essere rigettato perchè infondato.

Nel merito del ricorso, si osserva che il giudice chiamato a decidere sull’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione è tenuto a vagliare il comportamento dell’istante, quale emergente dagli atti, al fine di stabilire se questo, in una valutazione oggettiva, sia stato tale da porre in essere una situazione di fatto, con dolo o colpa grave, falsamente rappresentativa della realtà e tale da ingenerare errore nell’organo giudiziario e da costituire causa od anche concausa dell’instaurarsi o del mantenersi della limitazione dello stato di libertà, essendo la custodia cautelare in rapporto sinergico con il comportamento dell’istante tanto nel momento genetico quanto nella permanenza della detenzione. Per quanto attiene al momento genetico della custodia cautelare, è stato rilevato che deve ritenersi colpevole, e quindi preclusiva del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, la condotta del soggetto atta a contribuire efficacemente all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale, nel senso di comportamento consapevole e volontario che, valutato, secondo le regole comunemente accettate, sia stato idoneo a creare una situazione di allarme sociale ed il doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità ragionevolmente ritenuta in pericolo. Sotto tale profilo, deve evidenziarsi che si palesa necessario l’accertamento del rapporto tra le condotte tenute dall’indagato ed il provvedimento restrittivo della libertà, ancorato a dati certi e non congetturali.

In particolare, il giudizio del giudice della riparazione deve essere operato mediante una valutazione ex ante (riferita, cioè al momento dell’adozione del provvedimento restrittivo) sull’idoneità a trarre in inganno l’autorità giudiziaria dei comportamenti (dolosi o gravemente colposi) tenuti (sia prima che dopo la perdita della libertà personale) dal soggetto richiedente l’equo indennizzo. Detta valutazione deve, inoltre, svolgersi su un piano diverso ed autonomo rispetto a quella effettuata dal giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale, e ciò in quanto quest’ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato e la riconducibilità all’imputato, mentre il giudice della riparazione deve esaminare non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) rispetto alla produzione dell’ingiusta detenzione. (v. in tema, tra le altre, Cass. S.U. 13-12-1995- Sarnataro-; Cass. S.U. 26-6-2002 Di Benedictis;

Cass. 28-11-2007 -Gualano-).

6. Nel caso in esame, la Corte di Catania ha correttamente qualificato il comportamento di N.S. come gravemente colpevole, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, tenendo conto delle evenienze sopra riportate, correttamente, apprezzate in modo ragionevole e logico; come fonte di allarme sociale in rapporto sinergico rispetto all’instaurazione del processo penale nei confronti del N. ed all’applicazione della misura coercitiva, nella quale era stato dato atto espressamente di tali elementi di fatto.

7. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. L’istante va pure condannato a rifondere le spese di giudizio in favore del Ministero costituitosi.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione – 4 Sezione Penale rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi Euro 750,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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