Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-04-2012, n. 6029

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Trieste, con la sentenza indicata in epigrafe, ha condannato l’INPS a riliquidare agli odierni intimati la pensione ad essi corrisposta in una gestione di lavoro autonomo, ma acquisita con il cumulo di contributi versati (anche) nella gestione dei lavoratori dipendenti, procedendo alla somma delle quote facenti carico a ciascuna gestione, ai sensi della L. n. 233 del 1990, art. 16 (ma) previa determinazione di ciascuna quota secondo le regole proprie della gestione di competenza; ossia, nella specie (avendo la pensione da lavoro autonomo una decorrenza compresa, per tutti i ricorrenti, tra il 1 luglio 1990 e il 31 dicembre 1995) secondo i criteri previsti nella citata L. n. 233 del 1990, art. 5, comma 11, e, dunque, prendendo a riferimento il trattamento di miglior favore tra quello (a sistema reddituale) da essa legge introdotto per artigiani e commercianti e quello (a sistema contributivo) previsto dalla normativa previdente.

L’INPS chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso fondato su un unico motivo.

Resistono con controricorso gli intimati, ad eccezione di M. B., che non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1. Nell’unico motivo l’INPS deduce violazione della L. 2 agosto 1990, n. 233, artt. 5 e 16, in relazione alla L. 11 novembre 1983, n. 638, art. 6 e al D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5. Giudica non corretta la interpretazione delle disposizioni citate espressa nella sentenza impugnata e sostiene che la pensione va liquidata non per quote separate ma globalmente (prendendo, cioè, a riferimento la sommatoria dei contributi versati nelle varie gestioni); onde, al fine di individuare il trattamento più favorevole assicurato dalla legge ai pensionati, il raffronto va operato tra i trattamenti pensionistici complessivi e non tra le distinte quote che concorrono a determinarli.

2. Il ricorso non è fondato.

3. Punto essenziale della controversia, come posto in risalto dal ricorrente Istituto, è quello della corretta individuazione delle modalità di determinazione del trattamento più favorevole per le pensioni liquidate in una gestione di lavoro autonomo e comprese nel periodo transitorio 1.7.90 – 31.12.95. 4. Come questa Corte ha già precisato in numerose analoghe controversie, l’interpretazione letterale e logico-sistematica del combinato disposto della L. n. 233 del 1990, art. 5, comma 11 e art. 16, comma 1 – di riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi – induce a ritenere che il legislatore abbia inteso tenere distinti i due regimi, prevedendo che ognuno dei periodi assicurativi, proprio per la diversità del sistema di calcolo, dia luogo ad una distinta quota di pensione, da determinare secondo specifici criteri (cfr. Cass. n. 6324 del 2001, n. 29476 del 2008, n. 7364 del 2010, n. 9559 del 2010). Questa conclusione, anzitutto, è aderente ai dati normativi testuali, in quanto l’art. 16 cit. non contiene alcuna disposizione transitoria e, a proposito della quota di pensione relativa alla contribuzione alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, fa riferimento alla "quota di pensione calcolata, ai sensi degli artt. 5 e 8, sulla base dei periodi di iscrizione alle relative gestioni". Sono proprio tali ultimi articoli, relativi, il primo, al metodo di calcolo della pensione degli artigiani e dei commercianti e, il secondo, al calcolo della pensione dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, a contenere, nei rispettivi commi 11 e 8, le disposizioni che fanno "salvo se più favorevole l’importo risultante dall’applicazione dalle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge".

E, poichè tali disposizioni transitorie si collocano nell’ambito di disposizioni relative esclusivamente alla valorizzazione dei contributi versati alle gestioni speciali, risulta arbitrario attribuire alle stesse – per la loro natura di carattere eccezionale – una valenza eccedente la disciplina nel cui ambito esse sono collocate e comportante una deroga anche al meccanismo di computo "prò rata" di cui all’art. 16 cit., che persegue, mediante la ricezione di un metodo di calcolo sperimentato anche a livello comunitario e di convenzioni internazionali, finalità perequative ed equitative che non risultano minimamente correlate alle specifiche normative applicabili a ciascuna quota di pensione.

5. Va aggiunto, com’è stato osservato – e come del resto sostiene anche l’INPS – che, con la disposizione di cui all’art. 5 cit., la L. n. 233 del 1990, nell’ambito della completa revisione del sistema di determinazione del trattamento pensionistico dei lavoratori autonomi (per la quale si è passati dal sistema contributivo a quello reddituale), ha fissato una norma di salvaguardia a favore di coloro che, nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema, avrebbero potuto subire un pregiudizio economico per la perdita del più favorevole importo pensionistico derivante dal precedente sistema di calcolo;

ma, diversamente da quanto si vuoi sostenere dall’Istituto oggi ricorrente, è ovvio che tale pregiudizio si sarebbe verificato anche se ad essere interessata alla riforma fosse stata solo una quota della pensione in godimento.

6. In conclusione, per i lavoratori la cui pensione sia da liquidare, con decorrenza compresa tra il 1 luglio 1990 e il 21 dicembre 1995, in una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi con il cumulo dei contributi versati nelle medesime gestioni e in quella dei lavoratori dipendenti, il raffronto tra il vecchio e il nuovo regime – necessario al fine di stabilire quale sia il sistema di calcolo più favorevole transitoriamente salvaguardato – deve essere effettuato esclusivamente in riferimento alla quota di pensione afferente alla gestione speciale dei lavoratori autonomi e non con riguardo all’intero trattamento (comprensivo, cioè, della quota di pensione derivante dai contributi versati nell’a.g.o.).

7. Va aggiunto che il descritto sistema di calcolo non è stato derogato, o abrogato, dalla disciplina sulla totalizzazione dei periodi contributivi, di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 71 (sostituita, successivamente, dalla disciplina di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 42), posto che quest’ultima ha fatto salve, espressamente, le disposizioni speciali in materia di cumulo dei periodi assicurativi (v. art. 7, comma 4, D.Lgs. cit.; cfr. Cass. n. 10234 del 2009).

8. Poichè l’Istituto ricorrente, nel sollecitare un riesame della questione, non ha apportato argomenti nuovi e diversi rispetto a quelli che già hanno trovato confutazione nelle pronunce di questa Corte sopra richiamate, ritiene il Collegio di dover dare continuità all’orientamento ivi espresso; cosicchè, essendosi il giudice del gravame sostanzialmente conformato ad esso, il ricorso non può trovare accoglimento.

9. L’INPS va condannato, secondo soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei controcorrenti, liquidate come in dispositivo e distratte a favore del loro difensore, avv. Domenico Concetti, dichiaratosi antistatario. Nulla spese nei confronti dell’intimato M.B., in difetto di attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di S.R., M. L. e B.F., liquidandole in complessivi Euro 50,00 per esborsi e in Euro 3000,00 (tremila) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA, da distrarsi a favore dell’avv. Domenico Concetti; nulla spese nei confronti dell’intimato M.B..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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