T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 25-11-2011, n. 1625

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente impugna il provvedimento del 23. 10. 2007 con cui il Questore di Cremona ha respinto la istanza volta ad ottenere un permesso di soggiorno ex art. 18 t.u. stranieri.

La ricorrente ha chiesto il permesso sostenendo di essere una cittadina albanese costretta da alcuni suoi connazionali ad esercitare la prostituzione nel territorio italiano, e di essersi ribellata a questa forma di schiavitù.

L’amministrazione ha respinto la istanza sostenendo che il permesso ex art. 18 può essere rilasciato quando esistano pericolosi per la incolumità della persona, che nel caso di specie non esistono perché la ricorrente si è sempre rifiutata di sporgere denuncia contro i propri asseriti persecutori, né ha fornito elementi utili per identificarli..

I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. violazione dell’art. 18 t.u. e dell’art. 27 del regolamento, in quanto a giudizio della ricorrente sarebbe in capo alla Questura l’onere di verificare l’esistenza delle situazioni di gravità, mentre a carico della ricorrente graverebbe solo l’onere di comunicare;

2. ulteriore violazione dell’art. 18 t.u. e dell’art. 27 del regolamento, in quanto non sarebbe previsto alcun obbligo di sporgere denuncia per ottenere il permesso ex art. 18;

3. eccesso di potere e difetto di istruttoria, in quanto le finalità umanitarie non sarebbero state rispettate e nessuna attività istruttoria sarebbe stata svolta per verificare quanto riferito dalla ricorrente;

4. difetto di motivazione e contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui si fonda sulla mancata denuncia che non è prevista da alcuna disposizione come condizione per l’accesso al permesso ex art. 18;

5. travisamento dei fatti, perché la ricorrente disporrebbe di tutti i presupposti per poter accedere al permesso ex art. 18, in quanto è stata costretta a prostituirsi e starebbe seguendo un percorso di reinserimento sociale presso una comunità.

Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 8. 2. 2008, n. 126 il Tribunale accoglieva l’istanza.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 9. 11. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso, pur frazionato in cinque motivi, è impostato su un unico concetto, e cioè che per rilasciare il particolare permesso ex art. 18 del t.u. non è necessario che la richiedente abbia presentato denuncia contro i suoi sfruttatori, né è necessario che ella abbia in alcun modo aiutato ad identificarli.

L’argomento della irrilevanza del mancato apporto collaborativo della ricorrente alle indagini contro i suoi asseriti sfruttatori è espressamente al centro, infatti, del secondo e del quarto motivo di ricorso, ma torna anche nel terzo e nel quinto laddove si argomenta che lo scopo del permesso ex art. 18 è di tipo umanitario e non investigativo; e ritorna finanche nel primo motivo, laddove si sostiene che tocca al Questore dimostrare che sussiste una situazione di pericolo, non alla richiedente.

Si ritiene che questo tipo di prospettazione non sia corretta.

La norma attributiva di potere dell’art. 18, co. 1, t.u. prevede, infatti, che: "quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. 2. Con la proposta o il parere di cui al comma 1, sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità ed attualità del pericolo ed alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’organizzazione criminale ovvero per la individuazione o cattura dei responsabili dei delitti indicati nello stesso comma. Le modalità di partecipazione al programma di assistenza ed integrazione sociale sono comunicate al Sindaco".

Il co. 4 della stessa norma aggiunge quindi che "il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia. Esso è revocato in caso di interruzione del programma o di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalate dal procuratore della Repubblica o, per quanto di competenza, dal servizio sociale dell’ente locale, o comunque accertate dal questore, ovvero quando vengono meno le altre condizioni che ne hanno giustificato il rilascio".

Si tratta quindi di un permesso per sua natura provvisorio, essenzialmente dettato come norma di favore per le prostitute che cercano di uscire dal sistema criminale di cui sono oggetto (anche se la norma consente l’utilizzo dell’istituto anche per altri reati), e che serve a tamponare una situazione immediata di pericolo per la posizione della richiedente, in quanto viene rilasciato per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale.

In ordine ai requisiti che devono sussistere per il rilascio di questo tipo di permesso, ed in particolare al rapporto con l’indagine penale a carico degli sfruttatori della prostituzione, si percepisce una apparente antinomia tra il primo ed il secondo comma dell’art. 18:

– il primo comma dell’art. 18 chiede che la triade di presupposti violenza – sfruttamento – pericolo per l’incolumità siano accertati nel corso di indagini di polizia, procedimento penale ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, riducendo così l’indagine penale a mera occasione di emersione della triade di presupposti;

– il secondo comma dell’art. 18, invece, chiedendo che con la proposta di rilascio del particolare permesso in esame sia comunicata la rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’organizzazione criminale ovvero per la individuazione o cattura dei responsabili dei delitti indicati nello stesso comma, in questo modo vincolando il rilascio del permesso all’esistenza di un apporto alle indagini nei confronti di chi ha sfruttato la prostituzione della persona candidata a ricevere il permesso ex art. 18.

L’unico modo per risolvere l’apparente antinomia tra le due norme (che senso potrebbe avere l’obbligo di comunicare l’apporto che la prostituta ha dato alle indagini, se l’apporto alle indagini non avesse alcun rilievo nella decisione di concederle o meno tale permesso?) sta nel ritenere che le disposizioni del primo e del secondo comma vanno lette insieme, e che quindi la triade di presupposti violenza – sfruttamento – pericolo per l’incolumità sia affiancata da un ulteriore presupposto, e cioè che violenza, sfruttamento, e pericolo per l’incolumità siano conseguenza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’organizzazione criminale ovvero per la individuazione o cattura dei responsabili dei delitti indicati nello stesso comma.

Intesa in questi termini la norma, si comprende che la natura del peculiare permesso ex art. 18 non è umanitaria, ma investigativa, in quanto dispone una misura premiale a chi consente di sgominare una organizzazione criminale rischiando in proprio per l’apporto che ha dato alle indagini.

Nel caso in esame, la ricorrente si è guardata bene dal dare qualsiasi apporto alle indagini, in quanto – pur raccontando lungamente le proprie vicissitudini – non ha mai fatto nomi, né ha fornito indicazioni utili per rintracciare coloro che ne hanno sfruttato la prostituzione (a prescindere dalla denuncia, che non è necessaria in reati procedibili d’ufficio, come quelli in punto di prostituzione).

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso.

CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore dell’amministrazione delle spese di lite, che determina in euro 500.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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