Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-04-2012, n. 6024 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Vi.Gi. conveniva in giudizio il Ministero della Salute, la Regione veneta e la gestione liquidatoria ex ULSS (OMISSIS) Venezia esponendo di aver contratto l’epatite cronica da HCV in seguita a vaccinazione antitetanica somministrata il (OMISSIS) presso il centro di medicina di base per i villeggianti di (OMISSIS).

Chiedeva la condanna dei convenuti, previo accertamento della violazione dell’obblighi su di essi incombenti e del nesso di causalità tra il trattamento sanitario subito e la malattia sofferta (manifestatasi nel (OMISSIS)), a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, nonchè al pagamento dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992. Il giudice di primo grado dichiarava il difetto di legittimazione passiva delle ex ULSS, dichiarava la prescrizione delle domande proposte nei confronti della Regione Veneto e rigettava le domande rivolte nei confronti del Ministero della Salute.

Sull’appello del Vi., nei confronti del solo Ministero della Salute, con sentenza non definitiva del 1.7.2008 la Corte di appello di Venezia rigettava l’appello relativamente alla domanda risarcimento danni ex artt. 2043 e 2050 c.c. e disponeva il prosieguo del giudizio in ordine all’indennizzo ex L. n. 210 del 1992. La Corte in tale prima sentenza rilevava (in ordine alla domanda risarcitoria) che i documenti relativi ad un procedimento penale erano stati prodotti tardivamente e che comunque non potevano dimostrare l’omesso controllo del Ministero per evitare l’utilizzazione del farmaco che aveva assunto il ricorrente presso la farmacia di (OMISSIS). Non vi era prova che il ricorrente avesse assunto un farmaco proveniente dal lotto indicato (sul quale il test HCV aveva comunque dato un esito negativo), non vi era un obbligo di screening per il sangue destinato agli emoderivati secondo alcuni documenti ufficiali in epoca precedente il trattamento e con ogni probabilità al Vi. era stato venduto un farmaco appartenente a lotti provenienti da acquisti precedenti l’Agosto 1992 e quindi non rientrante nel lotto sul quale erano stati effettuati gli accertamenti in sede penale. L’onere probatorio non era stato quindi assolto per la tardività delle deduzioni e la genericità delle affermazioni.

Con sentenza definitiva del 28.11.2008 la Corte territoriale dichiarava, invece, il diritto del Vi. all’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, con condanna del Ministero appellato a liquidare con decorrenza 1.4.1998, primo giorno successivo alla domanda amministrativa.

Disposti nuovi accertamenti peritali la Corte riteneva il nesso causale tra l’avvenuta somministrazione del farmaco al Vi. nel 1992 e l’HCV manifestatasi nel (OMISSIS), anche alla luce della documentazione allegata alle indagini preliminari del processo penale di Napoli e quindi la sussistenza dei presupposti per l’attribuzione del chiesto beneficio.

Per la cassazione di tali sentenze ricorrono gli eredi del Vi.

G. indicati in epigrafe con tre, articolati, motivi di ricorso.

Motivi della decisione

Nel primo complesso motivo si allega l’omessa motivazione della prima sentenza impugnata (non definitiva) sotto svariati profili, nonchè la violazione di legge (sia dell’art. 2050 c.c. che dell’art. 2043 c.c., così come interpretati dalla più recente giurisprudenza della Corte di cassazione in materia): non era stato chiarito se si era rigettata la domanda di risarcimento del danno alla luce dell’art. 2043 o anche in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2050 c.c., trattandosi di attività di natura pericolosa (nell’ambito della quale rientra la produzione di medicinali). Ed ancora: la prova in ordine alla sussistenza o meno di profili di responsabilità civile per danno patrimoniale e non patrimoniale gravava non sul soggetto danneggiato ma su quello che esercitava tale attività pericolosa o su chi (come il Ministero della Salute) è deputato istituzionalmente al controllo su di essa; sussisteva, anche ex art. 2043 c.c., la colpa inescusabile del Ministero, esistendo incontrovertibilmente un preciso dovere di sorveglianza a carico del Ministero derivante da numerose norme di settore sul controllo dei farmaci emoderivati e più in generale sulle attività mediche.

L’onere della prova in ordine alla mancanza di inadempienze e sull’adozione di ogni necessaria cautela ricadeva, comunque, sulla parte tenuta alla vigilanza e quindi sul Ministero alla luce dell’orientamento della Suprema Corte in questa materia. Si lamenta nel motivo anche una obiettiva contraddizione tra la motivazione tra la prima sentenza non definitiva e la motivazione della seconda: la Corte aveva riconosciuto nella decisione definitiva l’indennizzo richiesto ex L. n. 210 del 1992 e quindi il nesso causale tra la somministrazione del farmaco e la malattia contratta era ormai certo ed affermato sulla base delle nuove risultanze peritali, mentre la prima sentenza l’aveva escluso. I due accertamenti stabiliti nelle rispettive decisioni sono in palese contraddizione tra loro.

Il motivo, nel suo complesso e nella sua seconda parte, appare fondato.

Circa le doglianze sviluppate nella prima parte del ricorso va ricordato l’insegnamento di questa Corte secondo cui "pur essendo indubbio il connotato della pericolosità insito nella pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, ciò non si traduce nella pericolosità anche della correlata attività di controllo e di vigilanza cui è tenuto il Ministero della salute; ne consegue che la responsabilità di quest’ultimo per i danni conseguenti ad infezione da HIV e da epatite, contratte da soggetti emotrasfusi per omessa vigilanza da parte dell’Amministrazione sulla sostanza ematica e sugli emoderivati, è inquadrabile nella violazione della clausola generale di cui all’art. 2043 cod. civ. e non in quella di cui all’art. 2050 cod. civ.( cass. sez. un. n. 576/2008; cass. n. 1138/1995). Pertanto non sono fondati i rilievi concernenti la ipotizzata responsabilità ex art. 2050 c.c., anche sotto il profilo dell’omessa motivazione e sul tema dell’onere della prova.

Fondate appaiono invece le censure in ordine alla denegata responsabilità del Ministero ex art. 2043 c.c.; la Corte di cassazione con la citata sentenza a sezioni unite ha ricordato il principio di diritto secondo cui "grava sul Ministero un obbligo di controllo (pag. 20) e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso teraupetico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè non sia utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione di rischi", ma tali obblighi, pacificamente sussistenti alla luce della giurisprudenza di legittimità sul punto, non sono considerati affatto nella prima delle decisioni impugnate. La sentenza non definitiva esclude la responsabilità ex art. 2043 c.c. in primo luogo per non avere dimostrato il Vi. di avere contratto la malattia di cui è processo in conseguenza del trattamento sanitario subito, ma tale circostanza è stata poi smentita, come correttamente osservato nel motivo di ricorso, nella sentenza definitiva alla luce della quale il nesso tra la vaccinazione e l’epatite cronica HCV è stato invece, sulla base di un approfondimento istruttorio e di un supplemento peritale, affermato. Dal punto di vista fattuale non può, quindi, più dubitarsi che vi sia un nesso causale tra il trattamento sanitario praticato al Vi. e la malattia di cui si discute. L’altra considerazione che ha portato ad escludere la responsabilità del Ministero ex art. 2043 c.c. è il riferimento ad un provvedimento adottato dal Comitato per le specialità medicinali delle Cee che aveva autorizzato nel 1992 a conservare i prodotti emoderivati introdotti nel mercato prima del gennaio 1993 e provenienti da plasma non sottoposto a screening sino a dicembre del 1995, termine poi ridotto al 31.12.1992 ad opera della Direzione generale del Servizio farmacologico pur in carenza di un obbligo di screening del plasma in Europa o negli USA. Sotto questo profilo la motivazione appare carente ed insufficiente in quanto la giurisprudenza di questa Corte (cfr. cass. n. 581/2008 già citata e cass. n. 11609/2005) ha ricondotto la responsabilità per omessa vigilanza del Ministero della salute al momento in cui la scienza medica ha accertato le genesi dei virus da HIV, HBC e HCV, momento che, ovviamente, non coincide con quello in cui gli organi amministrativi nazionali o sopranazionali hanno emesso provvedimenti come quelli prima ricordati che non attestano affatto che in quel momento la scienza medica non sapesse delle possibili conseguenze di somministrazioni di farmaci emoderivati non preceduti da specifici screening sul plasma utilizzato, che una più solerte attività di vigilanza e di controllo avrebbe potuto ricostruire, almeno sul piano precauzionale. Proprio il secondo provvedimento citato in sentenza delle autorità italiane fa pensare che nel 1992 i rischi non fossero imprevedibili (tanto da ridurre l’autorizzazione al commercio di farmaci emoderivati non adeguatamente testati e va sul punto osservato che la giurisprudenza in ordine al criterio per la determinazione temporale della responsabilità del Ministero (cfr. decisioni della cassazione prima ricordate) fa riferimento, anche per l’HCV, a date precedenti quella in cui il Vi. fu sottoposto a vaccinazione. La sentenza va quindi cassata sul punto apparendo la motivazione della sentenza non definitiva in ordine alla domanda di risarcimento del danno da un lato carente circa l’effettivo data in cui la scienza medica ha individuato il pericolo nell’utilizzazione di farmaci emoderivati come quello somministrato al ricorrente e dall’altra contraddittoria con quanto invece accertato nella successiva sentenza definitiva, che pertanto offrono motivazioni contraddittorie tra loro.

Con il secondo motivo ci si lamenta della mancata acquisizione di documentazione relativa a procedimenti penali pendenti avanti il Tribunale di Napoli; risulta però dalla sentenza definitiva che il consulente tecnico ha esaminato tale documentazione e, comunque, è stato – come detto – ormai accertato il nesso di causalità tra il trattamento sanitario subito dal Vi. e l’insorgere della malattia di cui è processo. Pertanto non è chiara quale sia oggi la rilevanza di tale acquisizione e neppure quali siano i documenti che il CTU non avrebbe preso in considerazione.

Con il terzo motivo si allega che nella sentenza definitiva il Ministero della salute è stato condannato a liquidare il chiesto indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 con decorrenza dal giorno successivo alla domanda amministrativa che però è stata erroneamente indicata nella data del 2.3.1998, mentre risulta dal documento prodotto unitamente al ricorso che la domanda amministrativa è stata proposta il 27.7.1996.

Il motivo va dichiarato assorbito in relazione agli accertamenti demandati al Giudice del rinvio di cui supra, in ordine ai motivi precedentemente accolti.

Pertanto vanno cassate le sentenze impugnate nei termini di cui in motivazione con rinvio anche in ordine alle spese, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte: accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche in ordine alle spese, alla Corte di appello di Venezia con diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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