Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-07-2011) 26-10-2011, n. 38775

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Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Torino con sentenza resa il 26/11/2010 ha confermato le statuizioni di condanna rese nei confronti di M.A.N., e di altro imputato oggi non ricorrente, ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 624 bis c.p., art. 625 c.p., nn. 2 e 5, art. 61 c.p., n. 5, e ha confermato la pronunziata revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concessa con altra sentenza del Tribunale di Torino divenuta irrevocabile il 12/4/2007.

L’imputato M.A.N. ha proposto ricorso per cassazione, per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato il ricorrente denunzia:

erroneo misconoscimento della continuazione tra la sentenza impugnata e quella indicata nei motivi di appello per essere i fatti giudicati nell’una e nell’altra compresi nella stessa indagine originaria;

violazione del divieto di reformatio in peius ex art. 597 c.p.p., comma 3 posto che il giudice di appello avrebbe revocato benefici diversi da quelli già revocati dal giudice di primo grado.

All’udienza pubblica del 12/7/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

L’imputato era stato chiamato a rispondere del delitto di cui agli artt. 110 e 624 c.p., art. 625 c.p., nn. 2 e 5, art. 61 c.p., n. 5 perchè in concorso con altro imputato; verso le ore 3,50 antelucane del 13/4/2010, aveva tagliato con appositi arnesi da scasso portati con sè, la serranda metallica che chiudeva una agenzia di scommesse, aveva infranto il vetro della porta e si era impossessato di monete che aveva prelevato, dopo effrazione, da una macchina cambiamonete e da 4 slot machines, conservando le monete sottratte in un proprio borsone e così sottraendole al legittimo proprietario, con le aggravanti di aver commesso il fatto in condizioni di tempo tali da ostacolare la difesa privata, di averlo commesso con l’uso di passamontagna per travisamento, e con violenza sulle cose.

All’imputato era contestata la recidiva specifica e infraquinquennale ex art. 99 c.p., comma 3. Alla contestazione era seguita condanna in primo grado alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e alla contestata recidiva. Il primo giudice aveva anche revocato il beneficio della sospensione di pena concesso in altro processo.

La sentenza di appello qualificava il furto consumato quale figura di furto consumato in abitazione, e respingeva l’unica censura proposta dal M. circa la eccessività della pena irrogata evidenziando che la pena base era prossima ai minimi per la detentiva e inferiore al minimo edittale per la pecuniaria.

La prospettazione, contenuta nel ricorso per cassazione, della esistenza di una unica indagine dalla quale sarebbero stati evidenziati i reati giudicati con due diverse sentenze è aspecifica (e dunque non integra una censura ammissibile in sede di legittimità) perchè non afferma, neppure come solo enunciato, il fatto che due sentenze abbiano giudicato più violazioni di legge commesse mediante una sola azione o che i due processi contengano indici esteriori e significativi di un dato progettuale unitario posto alla base di più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso.

Il principio secondo il quale l’onere della prova degli specifici elementi suscettibili di consentire la configurazione della stessa continuazione incombe sull’imputato (Cass. Pen. Sez. 5 22/472004 n. 18586) non viene neppure in questione quando, come avvenuto nel caso che ne occupa, è preliminarmente mancata l’allegazione dei fatti da provare. Manifestamente infondata è poi la denunzia di violazione del divieto di reformatio in peius in appello, posto che il provvedimento di revoca ex art. 168 c.p., comma 1, ha funzione meramente ricognitiva (Cass. Pen. Sez. 5 26/972005 n. 34332) e carattere dichiarativo di una caducazione già avvenuta in forza di legge (Cass. Pen. Sez. 1 21/5/2008 n. 20293). Tale provvedimento non riforma le decisioni che lo precedono e che sono richiamate ai fini della revoca del beneficio, potrebbe essere adottato dal giudice dell’esecuzione, e non integra alcuna violazione del principio devolutivo, della regola del favor rei e del divieto di reformatio in peius.

Il ricorso è inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento nonchè al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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