Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-07-2011) 26-10-2011, n. 38774 Responsabilità del medico e dell’esercente professioni sanitarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

-1- C.G., ginecologo in servizio presso l’ospedale " (OMISSIS)" di (OMISSIS), è stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di cui all’art. 590 cod. pen. per avere, nella predetta qualità e quale medico che aveva seguito la gravidanza di Ca.Pa., cagionato al neonato L.G., al momento del parto, gravissime lesioni dalle quali è derivato l’indebolimento permanente della funzione dell’arto superiore sinistro.

Al sanitario è stato addebitato, in tesi d’accusa, di avere, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, omesso di controllare, attraverso esami obiettivi, le dimensioni del feto successivamente alla 32 settimana, epoca in cui appariva già evidente, attraverso il dato della biometria fetale, uno stato di macrosomia fetale. In particolare, di non avere rivalutato ecograficamente, nei giorni immediatamente precedenti il parto, il peso stimato del nascituro, ed inoltre, di non avere adeguatamente valutato le modalità del parto, eseguito per via naturale invece che con parto cesareo; intervento al quale il C. avrebbe dovuto ricorrere in vista delle dimensioni del feto, che pesava kg. 4,800 ed era lungo 58 centimetri. Proprio tali dimensioni avevano reso difficoltoso e persino a rischio il parto, durante il quale si era verificata una distocia della spalla del neonato.

Dello stesso reato è stato chiamato a rispondere altro ginecologo dell’ospedale, M.V., intervenuto in sala parto in sostituzione dell’ostetrica.

La distocia, secondo quanto accertato nel corso del giudizio, è una complicazione del parto che si presenta nella fase di espulsione di un feto, con presentazione encefalica, e consiste nel blocco di una o di entrambe le spalle, una volta avvenuta l’espulsione della testa, contro la sinfisi pubica ovvero contro il complesso dell’osso sacrale della madre, che interrompe l’espulsione del feto. Complicanza che è determinata dalla disparità tra l’ampiezza delle spalle e l’ingresso delle pelvi e che tra i fattori che la favoriscono annovera, anzitutto, la macrosomia (cioè il peso del feto alla nascita superiore ai 4 chilogrammi), l’obesità materna, il diabete gestazionale, l’età materna avanzata, le alterazioni del bacino, la presenza di precedenti macrosomi o distocie.

In conseguenza dell’interruzione della fase di espulsione, il piccolo L. ha riportato la frattura della clavicola e lesioni delle terminazioni nervose della spalla interessata dalla distocia, con conseguente paralisi (non si specifica se parziale o totale) permanente dell’arto; altre lesioni ha riportato la madre all’atto dell’espulsione.

-2- Il Tribunale di Bari, in composizione monocratica, con sentenza del 3 dicembre 2007, ha assolto l’imputato perchè il fatto non costituisce reato (altro sanitario dello stesso ospedale, M. V., imputato per gli stessi fatti, è stato assolto perchè il fatto non sussiste).

Richiamate le testimonianze rese dalle parti civili, genitori del piccolo G., ed i pareri espressi dai consulenti delle parti e dal perito, il giudice del merito ha rilevato, quanto agli addebiti mossi al C. – di non avere riesaminato ecograficamente, nei giorni precedenti il parto, il peso fetale e di non avere optato per il parto cesareo -, che nessuno dei testi escussi, compreso il consulente del PM, ha ritenuto che dovesse ricorrersi all’esame ecografico e che, quanto al parto cesareo, non sussistevano segnali di fattori di rischio che potessero indurre a ricorrervi. Mentre il giudizio sulla non necessità di ulteriori accertamenti ecografici, ha soggiunto il primo giudice, era stato unanime, quello relativo al mancato ricorso al parto cesareo aveva evidenziato una duplicità di posizioni, poichè, secondo il consulente del PM, il peso del feto, superiore a 4 chilogrammi, dava una precisa indicazione in favore del parto chirurgico che, se praticato, avrebbe evitato la distocia e le conseguenti lesioni. Giudizio, quest’ultimo, tuttavia, non accolto dal primo giudice il quale, richiamando i pareri espressi da altri tecnici intervenuti nel dibattito processuale, ha rilevato come le lesioni del tipo di quelle subite dal bambino avrebbero potuto verificarsi anche durante il parto cesareo.

La distocia della spalla, peraltro, è, secondo lo stesso giudice, un evento imprevedibile e non prevenibile, non essendovi strumenti e metodi d’indagine capaci di individuare i feti che andrebbero incontro a tale complicanza, giacchè la diagnosi può essere effettuata solo al momento del parto, allorchè l’intervallo tra la fuoriuscita della testa e la fuoriuscita del tronco supera i 60 secondi.

In definitiva, non esistono, secondo quel giudice, profili di colpa a carico del medico che, nella scelta del parto per via vaginale, ha tenuto in considerazione una serie di fattori che non rendevano necessario il parto chirurgico, peraltro foriero di conseguenze dannose per la madre e per il figlio.

Di qui la decisione di assolvere l’imputato.

-3- Su appello proposto dalle parti civili L.V. e Ca.Pa. nei confronti del dott. C., la Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 9 luglio 2010, in riforma della sentenza impugnata, ha ritenuto, ai fini civili, la responsabilità del C. e lo ha condannato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle stesse parti civili, alle quali ha assegnato una provvisionale di 50.000,00 Euro.

Ha, anzitutto, rilevato la corte territoriale che, se è vero che la distocia della spalla costituisce un fatto non prevedibile, è anche vero che tale affermazione indica l’impossibilità di prevedere tale patologia al momento del parto, ma non che non sia possibile prevedere la probabilità del suo verificarsi in relazione alle dimensioni del feto, posto che, più queste aumentano, più sono prevedibili le difficoltà di espulsione naturale dello stesso.

Nella vicenda in esame, essendo stata rilevata, circa due mesi prima, una dimensione del feto superiore alla norma, appariva necessaria, secondo la stessa corte, l’esecuzione di accurate indagini, anche strumentali, al fine di accertare, non solo le dimensioni del feto, ma anche la posizione dallo stesso assunta nell’imminenza della nascita nonchè quella del cordone ombelicale. Ciò al fine di scegliere con oculatezza le modalità del parto per ridurre al minimo i rischi di danni al nascituro ed alla madre e di prevenire l’evento lesivo; scelta che avrebbe dovuto indirizzarsi, sulla scorta di dati statistici forniti dal perito, verso il parto per via chirurgica.

Nessun rilievo la stessa corte ha, poi, attribuito alle "linee guida" richiamate dal C., le quali fissano, secondo il giudice del gravame, solo i criteri generali di scelta tra il parto naturale e quello chirurgico e sono niente più che criteri di massima non vincolanti, dovendo il medico rapportare le proprie scelte alle particolarità di ciascuna situazione che è chiamato ad affrontare.

Nè la distocia della spalla avrebbe potuto ritenersi imprevedibile, essendo la stessa apparsa altamente probabile proprio in vista delle dimensioni del feto.

La condotta del medico sarebbe stata, quindi, improntata a negligenza, avendo lo stesso omesso di eseguire, nell’imminenza del parto, accertamenti strumentali che avrebbero consentito di diagnosticare un feto macrosoma, e di optare per il parto cesareo, che avrebbe evitato le lesioni seguite al parto naturale.

Accertamenti e cesareo, peraltro, ha aggiunto il giudice del gravame, espressamente richiesti dalla partoriente.

-4- Avverso tale sentenza propone ricorso C.G., che deduce, con unico motivo, vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Censura, anzitutto, il ricorrente quella che egli definisce una "riqualificazione del capo d’imputazione" operata dal giudice del gravame, laddove sono stati specificati i termini dell’accusa, attraverso la preliminare precisazione che la lesione della quale il C. è stato chiamato a rispondere non è la distocia della spalla, che è una complicazione del parto, bensì le conseguenze della stessa, dovute all’arresto dell’espulsione del feto e al ricorso a manovre d’urgenza necessarie per estrarre il bambino.

Sostiene, in particolare, il ricorrente che indebitamente il predetto giudice sarebbe intervenuto riqualificando o reinterpretando il capo d’imputazione contestato nell’ambito di un giudizio definito con sentenza assolutoria già passata in giudicato.

Contraddittoria, poi, ritiene il ricorrente la motivazione, laddove la corte territoriale, dopo avere sostenuto che la distocia della spalla è complicanza del parto non prevedibile, ha poi affermato tesi del tutto opposta.

Ulteriori contraddizioni ritiene lo stesso ricorrente presenti la motivazione, laddove la predetta corte non ha considerato: a) quanto alla necessità di eseguire un ulteriore accertamento ecografico, che nessuno degli esperti esaminati ha sostenuto che tale accertamento dovesse essere effettuato, avendo tutti concordato sul range di errore insito in tale accertamento e sostenuto l’equiparabilità dello stesso all’esame clinico eseguito fino al momento del parto; b) quanto al cordone ombelicale, che la presenza dello stesso intorno al collo del feto non è verificabile con l’ecografia, bensì con un tracciato cardiografico, puntualmente predisposto dal C.; c) quanto al mancato ricorso al parto cesareo che, secondo quanto sostenuto dagli esperti, non vi erano segnali che autorizzassero a ritenere la presenza di fattori di rischio che potessero imporre il parto chirurgico, tale non potendosi ritenere la presenza di un feto macrosoma; mentre la distocia della spalla può aversi persino più facilmente in un neonato con peso fisiologico; l’unico parere contrario, manifestato dal consulente del PM, sarebbe del tutto immotivato; d) quanto alle linee guida, che esse non rappresentano un insieme di regole astratte elaborate senza un valido criterio scientifico, bensì il risultato di studi scientifici nazionali ed internazionali, utili a preservare la salute della donna e del feto.

In punto di causalità, infine, il ricorrente ha rilevato come tutti gli esperti, con l’unica eccezione del consulente del PM, avessero escluso qualsiasi rapporto causale tra la condotta del dott. C. e l’evento determinatosi.

Conclude, quindi, il ricorrente, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte, il difensore del dott. C. ribadisce le censure articolate nel ricorso e la richiesta di annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

-1- Il ricorso è infondato. a) Infondata è la censura con la quale viene denunciata una indebita riqualificazione dell’imputazione.

In realtà, la corte territoriale non ha operato alcuna "riqualificazione" o "reinterpretazione" del capo d’imputazione, ha solo meglio chiarito che le lesioni di cui il C. è stato chiamato a rispondere non sono rappresentate dalla distocia della spalla – che, come già accennato, è una complicazione del parto di un feto in presentazione encefalica e consiste nel blocco di una o di entrambe le spalle, dopo la fuoriuscita della testa, contro la sinfisi pubica o contro il complesso dell’osso sacrale della madre che ne arresta l’espulsione – bensì dalle conseguenze dovute all’arresto dell’espulsione del feto e alle manovre d’urgenza necessariamente eseguite per estrarre il bambino. Precisazione che ha lasciato inalterato il capo d’imputazione ed ha correttamente individuato, quale conseguenza della condotta negligente o imperita del C., le gravi lesioni che hanno comportato l’indebolimento permanente della funzione dell’arto superiore sinistro del neonato.

Nulla, peraltro, impediva al giudice del gravame di procedere a tale precisazione, evidentemente ritenuta necessaria per chiarire i termini della vicenda con riguardo non certo al giudizio penale, ormai definito con sentenza assolutoria, bensì all’azione civile risarcitoria esercitata dai genitori del bambino. b) Ugualmente infondate sono le censure proposte in tema di prevedibilità e di nesso causale.

Nessuna contraddizione, anzitutto, si coglie nel giudizio di prevedibilità della distocia della spalla espresso, con riferimento al caso di specie, dal giudice del gravame.

In proposito, invero, detto giudice ha sostenuto che il giudizio di non prevedibilità della distocia riguarda il momento del parto, nel senso che, in tale frangente, non è possibile prevedere se, all’atto dell’espulsione, le spalle del feto si blocchino o meno; tale giudizio, viceversa, ha soggiunto lo stesso giudice, può ben essere espresso nelle fasi precedenti il parto, laddove si accerti che le dimensioni del feto siano tali da rendere più difficoltosa ed a rischio l’espulsione naturale dello stesso. Osservazioni che non presentano alcun elemento di contraddittorietà, poichè riferite a momenti anche concettualmente diversi, in relazione ai quali una diversità di giudizi, in punto di prevedibilità, è del tutto legittima.

Coerente sotto il profilo logico è il successivo iter argomentativo seguito dalla corte territoriale. Ha giustamente osservato, invero, la stessa corte che le dimensioni eccessive del feto, riscontrate già due mesi prima del parto, avrebbero dovuto indurre il C. a maggior attenzione. In particolare, avrebbero dovuto indurlo a disporre, nell’imminenza del parto, indagini strumentali specificamente dirette ad accertare se e di quanto quelle dimensioni fossero aumentate, essendo comunemente e scientificamente ben noto che un eccesso di peso e di proporzioni aumenta i rischi del parto naturale proprio con riguardo al concreto pericolo che possano porsi le condizioni perchè si produca la distocia della spalla. Rischi tanto reali e consistenti da rendere opportuno, o addirittura necessario, il ricorso al parto chirurgico, peraltro espressamente richiesto, nel caso di specie, dalla stessa partoriente.

Proprio nell’avere omesso di disporre tali accertamenti, che le già riscontrate eccessive dimensioni del feto rendeva necessari, in ragione della ragionevole previsione di trovarsi a gestire l’espulsione di un feto macrosoma, è stato individuato il principale profilo di colpa addebitato al dott. C., oltre che nell’avere rifiutato di ricorrere al parto cesareo, come richiesto dalla partoriente. Mentre, sotto il profilo del nesso causale, la corte territoriale ha legittimamente ritenuto, richiamando anche le osservazioni ed i giudizi formulati dal consulente del PM, che, se quegli accertamenti fossero stati eseguiti, evidenti sarebbero apparse le eccessive dimensioni del feto ed indispensabile il ricorso al parto chirurgico, che avrebbe certamente evitato la distocia della spalla e le conseguenti lesioni. Considerazioni e valutazioni che non presentano incoerenze o contraddizioni di sorta, in relazione alle quali il ricorrente oppone niente più che considerazioni e valutazioni, già oggetto di esame da parte della corte territoriale, in relazione alle quali la stessa corte ha indicato le ragioni del proprio dissenso con motivazione esente da censure.

Sono invece le osservazioni del ricorrente a suscitare perplessità.

Così, quelle relative alla esclusione della necessità di ricorrere all’ecografia, laddove il ricorrente non considera come tale accertamento – a prescindere da quanto prevedono le linee guida, giustamente ritenute dalla corte territoriale semplici criteri di massima, certo non vincolanti per il medico che deve sempre rapportarsi alle particolarità del caso singolo – non potesse non ritenersi necessario per verificare le proporzioni del feto, seppur con i lievi margini di errore segnalati nella stessa sentenza, non potendo a tale scopo essere sufficiente l’esame clinico della donna.

Ovvero quelle riguardanti il ricorso al parto cesareo, ritenuto non necessario dal ricorrente, pur laddove fosse stato diagnosticato, attraverso quegli accertamenti, il feto macrosoma, senza considerare gli opposti orientamenti della scienza medica; mentre non si comprende come il parto chirurgico, che notoriamente non comporta a carico del nascituro alcuna sofferenza, avrebbe potuto determinare ugualmente la distocia della spalla, quantomeno del tipo di quella che si crea nel parto naturale a seguito dell’arresto dell’espulsione del feto.

-2- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese del presente di giudizio in favore delle costituite parti civili, che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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