Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-05-2011) 26-10-2011, n. 38770 Responsabilità del medico e dell’esercente professioni sanitarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 12 febbraio 2007, il GIP del Tribunale di Latina, in esito a giudizio abbreviato, condannava PA. F. e V.D. alla pena di UN anno e mesi QUATTRO di reclusione ciascuna, concesse le attenuanti generiche – oltrechè in solido tra loro e con il responsabile civile: Gestione Istituti Ortopedici del Mezzogiorno d’Italia s.p.a. – al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, giudicando le imputate responsabili del delitto di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. per aver cagionato per colpa generica (imperizia e negligenza): la Pa. in veste di medico specialista dell’apparato cardiovascolare, responsabile del servizio di riabilitazione cardiologica dell’Icot di Latina e la V. quale medico appartenente allo stesso reparto, la morte di P. M., sopravvenuta in (OMISSIS) a seguito di collasso cardiocircolatorio e respiratorio secondario a shock settico, provocato da un processo setticemico a partenza dal focolaio del decubito sacrale. Alle imputate si addebitava in particolare di aver omesso di instaurare tempestivamente adeguate terapie farmacologiche a base antibiotica; di procedere al necessario programma quotidiano di medicazioni ed all’asportazione chirurgica dei tessuti già compromessi dall’infezione; di predisporre eventuale intervento straordinario in camera iperbarica (di cui disponeva il nosocomio); di richiedere una consulenza dell’infettivologo presso la struttura ospedaliera in cui operavano.

Il P., dopo aver subito presso il Reparto di cardiochirurgia dell’Ospedale (OMISSIS), intervento di rivascolarizzazione miocardica, veniva ricoverato, a far tempo dal 7 giugno 2004 presso il Reparto di cardiologia riabilitativa ICOT di Latina nel quale restava fino al 26 giugno 2004, allorchè veniva trasferito presso il Centro di rianimazione e terapia intensiva dell’Ospedale (OMISSIS) con diagnosi di stato settico, ove decedeva.

Il Primo Giudice sottolineava l’elevato grado di colpa delle imputate che, come descritto nel capo di imputazione, avevano, a cagione delle diverse omissioni di cui si erano rese responsabili, formulato con estrema tardività la diagnosi di setticemia diffusa da decubito sacrale ed avevano, del pari tardivamente, determinato l’intervento di rimozione dei tessuti necrotici quando ormai la TAC eseguita aveva evidenziato una diffusa gangrena gassosa a carico del tessuto retroperitoneale quale evoluzione ultima del processo infettivo. Era quindi indiscutibile, secondo il Tribunale, la sussistenza del nesso di causa tra detto processo infettivo (progredito a tal punto da divenire irreversibile per effetto delle suddette omissioni) e l’evento morte del paziente sopravvenuta per collasso cardiocircolatorio: epilogo di shock settico.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 15 dicembre 2009, assolveva invece le imputate dall’addebito loro ascritto perchè il fatto non costituisce reato, permanendo un ragionevole dubbio sulla loro colpevolezza. Restava in particolare incerta, secondo i Giudici di secondo grado,l’individuazione dell’approccio terapeutico alternativo, di ordine farmacologico e/o chirurgico che, ove attuato dalle imputate, avrebbe evitato l’evento.

Partendo dall’accettata causa mortis: collasso cardiocircolatorio quale irreversibile effetto di una grave insufficienza cardio – respiratoria con relativo squilibrio elettrolitico instauratosi a seguito di shock settico secondario alla lesione necrotica localizzata in sede sacrale, rimarcavano i Giudici di secondo grado che a detta lesione necrotica aveva fatto seguito una contaminazione batterica dei tessuti muscolari ed ossei circostanti con fistola in zona peritoneale, che aveva dato luogo ad uno shock settico con sofferenza multiorgano. Invero, a smentire gli assunti del Primo Giudice circa la negligenza delle prevenute era emerso che solo apoditticamente si era ritenuta inadeguata la terapia farmacologica della piaga da decubito anche rispetto all’effetto di contrastare l’insorgenza della gangrena gassosa quando,essendosi invece appurato che,ai due farmaci antibiotici somministrati fin dall’11 giugno 2004, ne era stato aggiunto un terzo (il Targosid), espressamente indicato per le affezioni gravi da staphilococcus aureus individuato poi quale microorganismo responsabile della setticemia. Attesi i risultati – sempre negativi – delle emoculture effettuate fino al 18 giugno come pure dei tamponi nasale e sternale ed atteso l’esito della consulenza chirurgica del dr. C. che, dopo aver medicato il paziente, non aveva consigliato l’instaurazione di una terapia chirurgica, evidenziava la sentenza d’appello che solo il tampone sacrale eseguito il 23 giugno 2004 aveva rivelato, per la prima volta, la presenza dello staphilococcus aureus e solo una TAC di due giorni successiva aveva confermato le molteplici raccolte gassose da infezione di germi anaerobi in corrispondenza del peritoneo e di altre prossime regioni del corpo del paziente quale conseguenza obiettivamente rara, imprevedibile e dallo sviluppo rapidissimo e significativamente pregiudizievole per il P., attese le condizioni critiche in cui questi versava.

Secondo la Corte d’appello infine, attese: la terapia antibiotica in atto;le medicazioni costantemente praticate e la richiesta di consulenza specialistica di chirurgia plastica immediatamente effettuata presso l’Ospedale "(OMISSIS)" di (OMISSIS) lo stesso giorno in cui erano stati resi noti i risultati della TAC, non poteva ritenersi assolutamente certo, come sostenuto dal GIP, che il paziente, al rientro da Roma, si trovasse ormai in stato di shock settico irreversibile. Avverso la sentenza ricorrono per cassazione le parti civili: P.A., P.G. e T. A.M., articolando, con due distinti ricorsi dal contenuto sostanzialmente sovrapponibile, tre ordini di censure, così sintetizzate.

Con il primo ed il secondo motivo denunziano le ricorrenti vizi motivazionali in termini di contraddittorietà e di manifesta illogicità.

La Corte d’appello (onde sostenere la non colpevolezza delle imputate cui si era specificamente addebitato di non aver eseguito con tempestività e nonostante il processo infettivo in atto, un esame colturale della regione sacrale al fine della somministrazione di un idoneo antibiotico; esame seguito solamente il 23 giugno 2004 e che aveva evidenziato la presenza di stafilococco aureo resistente agli antibiotici dell’antibiogramma) avrebbe del tutto pretermesso, con assunti manifestamente illogici, il dato certo ed obiettivo integrato dai risultati dell’esame colturale de quo dal quale necessariamente discendeva l’inadeguatezza dell’emocoltura al fine di evidenziare l’infezione in atto il cui esito era stato ancora negativo, pur a fronte dei positivi risultati dell’esame colturale della piaga da decubito in zona sacrale che aveva evidenziato lo sviluppo del citato microorganismo. Il che valeva a dimostrare la ricorrenza dell’errore e del difetto della diagnosi, nonostante il moltiplicarsi dell’attività di indagine diretta ad individuare la fonte di un’infezione resa manifesta dal costante rialzo febbrile con significativa leucocitosi; diagnosi formulata solamente il 25 giugno 2004 allorchè la TAC aveva evidenziato (peraltro ormai tardivamente) la presenza di gangrena gassosa. Ed era risultata del tutto omessa la valutazione dell’obiettiva causa della stessa infezione, pur nota fin dall’ingresso in reparto del paziente, rappresentata dalla piaga sviluppatasi in zona sacrale.

Nè la Corte d’appello ha minimamente fatto cenno alla valutazione della imprevedibilità dello sviluppo di tale gangrena. In ogni caso, anche trascurando le molteplici omissioni in cui le imputate erano fino a quel momento incorse, nessuna modifica dall’approccio terapeutico era sopravvenuta anche dopo l’individuazione dello stafilococco aureo e delle raccolte gassose, eccezion fatta per l’inutile svolgimento di una consulenza presso il chirurgo plastico dell’Ospedale S. Camillo di Roma.

La Corte d’appello – obiettano altresì le ricorrenti parti civili – avrebbe travisato la cronologia dei fatti e le stesse risultanze processuali laddove ha censurato l’assunto del GIP secondo il quale, alla data del 25 giugno 2004, il P. si trovava ormai in uno stato di shock settico pressochè irreversibile. Secondo i Giudici d’appello, al contrario, il quadro clinico non poteva in realtà esser connotato da un’assoluta certezza "apparendo obiettivamente non coerente con la scelta dei sanitarì del nosocomio di Latina, effettuare con urgenza un trattamento di toilette chirurgica senza preventivamente eseguire i videat (ovvero le consulenze specialistiche) indicati dal medico del (OMISSIS)". Detti videat, come dimostrato dalle risultanze della cartella clinica, erano stati in verità tutti eseguiti nel pomeriggio del 25 giugno 2004, prima dell’intervento di toilette chirurgica effettuato quella stessa sera.

Ed avevano tutti confermato la criticità delle condizioni del P., definite come "estremamente scadute". In esito alla consulenza infettivologa era evidenziato uno "stato settico". Sicchè del tutto illogicamente avrebbe la Corte d’appello esposto la persistenza di un dubbio circa l’aggravamento delle condizioni del paziente, desumibile dall’erroneo assunto del mancato svolgimento dei videat o consulenze specialistiche.

Ed ancora è incorsa la Corte d’appello nel medesimo vizio di manifesta illogicità laddove, nell’ottica di evidenziare elementi privi di certezza,ha indicato che anche la consulenza del dr. C. non aveva segnalato l’opportunità di una terapia chirurgica, quando invece, trattandosi di consulenza urologica finalizzata ad individuare una eventuale infezione delle vie urinarie quale causa delle patologie da cui il P. era affetto, non competeva all’urologo valutare il paziente in rapporto a profili di chirurgia generale.

Con il terzo motivo di ricorso, i difensori delle parti civili lamentano il vizio di inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità o di inutilizzabilità avendo la Corte d’appello utilizzato, al di fuori dell’applicazione dell’art. 603 cod. proc. pen., una memoria sottoscritta dai difensori delle imputate e prodotta in atti ex art. 121 cod. proc. pen. ma contenente in realtà un elaborato tecnico medico – legale dalla quale la stessa Corte aveva tratto informazioni/valutazioni circa la terapia antibiotica praticata al paziente.

Concludono quindi le ricorrenti per l’annullamento della impugnata sentenza con ogni conseguente statuizione in punto alla responsabilità civile delle imputate.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati e vanno quindi, per quanto di ragione, respinti con la conseguente condanna delle ricorrenti parti civili, al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen..

Quanto al primo ed al secondo motivo di ricorso, con i quali si denunziano, in sostanza, la illogicità e l’incongruenza dell’iter motivazionale della gravata sentenza, giova innanzitutto ricordare che, per consolidato, pacifico e risalente assunto giurisprudenziale di questa Corte, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996); id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12).

Il vizio di motivazione, poi, deducibile in sede di legittimità deve risultare, per espressa previsione normativa, dal testo del provvedimento impugnato, ovvero – a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 – da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame", il che vuoi dire – quanto al vizio di manifesta illogicità -, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30).

A ciò aggiungasi che, come è noto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè costantemente, che "l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (cfr.: Cass. 24 settembre 2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997). Nella concreta fattispecie, la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali – quali sopra riportati nella parte narrativa, da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni – forniscono, con argomentazioni basate su di una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo. La Corte distrettuale ha inoltre del tutto esaustivamente posto a confronto, previa analitica e puntuale esposizione del contenuto rilevante dei rispettivi elaborati (cfr. fgl. 7 e seguenti della motivazione) le divergenti opinioni espresse sul caso clinico in esame, dal consulente medico legale delle parti civili, da un lato e, dall’altro lato, da quelli del P.M. e delle imputate, premessa la fondata critica alla preconcetta posizione del Giudice di prime cure che non aveva preso in considerazione queste ultime valutazioni peritali orientate nel senso di escludere la censurabilità, sotto il profilo tecnico – professionale, del comportamento colposo ascritto alle imputate ed asseritamente causalmente collegato alla morte del paziente. Ad escludere l’addebito di negligenza nell’esecuzione delle medicazioni, ha inteso chiarire la Corte d’appello che, successivamente al deposito della relazione del consulente tecnico del P.M., si era acclarato, sulla base di quanto riportato nel registro delle consegne infermieristiche, che le medicazioni erano state eseguite con regolarità, quotidianamente; che, con valutazioni scientificamente non contestabili e comunque confortate dalle indicazioni terapeutiche contenute nelle relative schede tecniche (cfr. sentenza fgl. 11) i consulenti del P.M. e delle imputate avevano ribadito l’adeguatezza della terapia farmacologica della piaga da decubito instaurata dalle imputate. Alla iniziale somministrazione dell’antibiotico "Ciproxin" (particolarmente efficace nei confronti dei Gram negativi e con attività moderata sui Gram positivi) era stato aggiunto – dall’11 giugno 2004 – un secondo antibiotico: il "Diezime" fino al 15 giugno e quindi il "Gentalyn", caratterizzato da uno spettro antibatterico ampio. Dal 18 giugno si era altresì instaurata una terapia antibiotica mirata anche contro i germi anaerobi, spesso responsabili della gangrena gassosa, mediante la somministrazione, oltrechè del Gentalyn, anche del "Targosid":

"quest’ultimo indicato espressamente dalla scheda tecnica per le infezioni gravi da Staphylococcus aureus".

Immune dalle dedotte censure risulta poi l’assunto motivazionale della sentenza impugnata in relazione al dato obiettivamente incerto della situazione clinica in cui versava il P. tale da riverberarsi direttamente sulla formulazione di una precisa diagnosi e quindi della correlativa terapia. Sostiene invero la Corte distrettuale che, posti i risultati costantemente negativi degli esami emoculturali – regolarmente e ripetutamente effettuati anche in data 18 giugno 2004 ( di cui dava atto il consulente del P.M. ) – come tali idonei ad accertare la presenza di "un’infezione generale dell’organismo" e posta anche la somministrazione, fin dalla stessa data, di una terapia antibiotica "mirata" per le infezioni da Staphylococcus aureus, era ragionevolmente possibile escludere che, prima del 23 giugno 2004, allorquando il risultato del tampone sacrale risultò positivo,il suddetto microorganismo non fosse presente. Sicchè la "presenza di molteplici raccolte gassose da infezione da germi anaerobi in corrispondenza del peritoneo "e di altre regioni del corpo del paziente,accertata in esito alla TAC pelvica eseguita il giorno 25 giugno 2004, sopravvenuta nonostante la obiettiva correttezza della terapia antibiotica – peraltro mirata anche in relazione a quello specifico germe anaerobio" – e l’effettuazione quotidiana delle medicazioni locali veniva dalla Corte distrettuale, giudicata, in termini invero congrui e difficilmente contestabili, quale evenienza "obiettivamente rara, imprevedibile e dallo sviluppo rapidissimo" sulla quale non potevano non aver inciso le condizioni generali fortemente compromesse in cui versava il P. (affetto da: diabete, disturbi cardiocircolatori, immunodepressione) cui hanno altresì fatto cenno anche le ricorrenti parti civili. Nè – ha ancora sottolineato la Corte d’appello coerentemente con le risultanze – avrebbe potuto affermarsi con certezza, sulla base della documentazione in atti e delle risultanze della cartella clinica di ricovero presso l’Ospedale " (OMISSIS)" di (OMISSIS), in data 25 giugno 2004, che, a quel momento, il paziente si trovasse in uno stato ormai irreversibile di shock settico risultando tale conclusione – mutuata dal GIP sulla base dal parere espresso dal consulente delle parti civili – avversata di dai consulenti del P.M. e da quello delle imputate, non apparendo significativamente decisiva, agli effetti del vaglio della coerenza e congruità intrinseca dalla motivazione della sentenza impugnata consentito in sede di legittimità, la dedotta obiezione circa l’effettuazione o meno delle diverse consulenze specialistiche (i cd. videat) consigliate dal chirurgo plastico dell’Ospedale " (OMISSIS)" di (OMISSIS), vessandosi obiettivamente in una quaestio facti.

Del tutto logiche devono infine ritenersi le conclusioni tratte dai Giudici d’appello, in linea con l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, circa l’acclarata incertezza della individuazione del diverso approccio diagnostico/terapeutico che le imputate (nei cui confronti non si erano evidenziati comportamenti colposamente rilevanti) avrebbero dovuto porre in atto onde evitare l’evento, tenuto conto dei rispettivi ruoli e delle rispettive vesti professionali in concreto assunte in relazione al trattamento sanitario praticato al paziente.

Non può infine trovare accoglimento il terzo motivo dedotto nei ricorsi, dalle parti civili. La memoria depositata in data 9 dicembre 2009 nella cancelleria della Corte d’appello di Roma ex art. 121 c.p.p. va ritenuta comunque una memoria "tecnica", siccome proveniente comunque dai difensori delle imputate pur concernendo osservazioni del medico legale di parte la cui produzione ed utilizzazione è da ritenersi comunque ammissibile (cfr. Sez. 6 n. 3500 del 2008).

Peraltro deve osservarsi che la Corte distrettuale, come segnalato anche dalle ricorrenti, risulta avere utilizzato il contenuto dello scritto difensivo (cfr, fgl 11 della sentenza impugnata) solamente per citare le indicazioni terapeutiche del "Targosid" tratte dalla scheda terapeutica riportata nella memoria stessa e quindi prescindendo del tutto dal contenuto "valutativo" delle osservazioni critiche esposte dal medico legale estensore, officiato dalle imputate.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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