Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-04-2012, n. 6153

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile la domanda di revocazione della propria sentenza 22 novembre 2000, n. 23, con cui erano state definite le condizioni economiche del divorzio tra il prof. P.A.A. e la sig.ra Ma.Ro. ponendo a carico del primo un assegno di L. 500.000 mensili in favore della seconda.

La domanda di revocazione era stata proposta ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 2, dalla sig.ra M.L., seconda moglie ed erede del prof. P.A., deceduto il (OMISSIS), e la Corte napoletana ha ritenuto che fosse tardiva perchè la sentenza penale con cui era stata accertata la falsità del giuramento prestato dalla sig.ra Ma., sul quale si basava la sentenza impugnata, era passata in giudicato il 6 maggio 2005. A quella data risaliva la sentenza con cui la Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso del pubblico ministero, aveva annullato la sentenza di appello recante la condanna della Ma. per il falso giuramento.

La Corte, però, aveva censurato esclusivamente il mancato riconoscimento dell’aggravante teleo-logica ( art. 61 c.p., n. 2) e il mancato accertamento della falsificazione, da parte dell’imputata, anche dei testamenti olografi dei suoi genitori. Dunque, pur essendo stata la sentenza di condanna annullata, il suo annullamento non travolgeva, ai sensi dell’art. 624 c.p.p. ("Se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata"), anche l’accertamento della falsità del giuramento. Dalla data del 6 maggio 2005, in cui era stata accertata la falsità della prova – e dalla quale decorre il termine per la domanda di revocazione, ai sensi dell’art. 326 c.p.c. – a quella del 9 maggio 2008, in cui era stata notificata la citazione in revocazione, era dunque ampiamente decorso il termine annuale di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c..

La sig.ra M. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi di censura. La sig.ra Ma. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 384, 395, 326 e 327 c.p.c. La ricorrente osserva che la falsificazione dei testamenti olografi dei genitori della sig.ra Ma., posta in essere da quest’ultima al fine di occultare i benefici economici ricavati dalla successione ed ottenere in tal modo il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, era stata accertata soltanto con la sentenza penale di rinvio conseguente all’annullamento in sede di legittimità, pronunciata il 27 settembre 2007. Dunque da quest’ultima data decorreva il termine annuale per la domanda di revocazione, che, essendo stata proposta il 9 maggio 2008, era perciò tempestiva.

2. – Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto della finalizzazione – accertata nel giudizio penale di rinvio – della falsificazione dei testamenti all’occultamento della propria consistenza economica, da parte della sig.ra Ma., in vista appunto del giudizio di divorzio e dei benefici economici in esso ottenuti.

3. – Tali motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi per il rilievo attribuito all’accertamento della falsità dei testamenti, non possono trovare accoglimento.

A prescindere dall’erroneità – comune, per il vero, alla stessa sentenza impugnata – del riferimento al termine annuale di decadenza previsto dall’art. 327 c.p.c. (termine non riguardante la revocazione straordinaria di cui all’art. 395 c.p.c., n. 2 dedotta nel presente giudizio, cui si applica il solo termine breve con la decorrenza indicata all’art. 326, comma 1), la complessiva censura è inammissibile.

Nella sentenza impugnata, infatti, la prova falsa cui si riferiva la domanda di revocazione viene individuata nel giuramento decisorio reso dalla sig.ra Ma., non già nei testamenti olografi dei suoi genitori; nè la stessa ricorrente deduce di avere posto a base della predetta domanda proprio la falsità di quei documenti. Tale falsità è quindi del tutto irrilevante ai fini della decisione sulla revocazione, che, per il principio dispositivo, non può basarsi su falsità diverse da quelle dedotte nella relativa domanda.

4. – L’inammissibilità della censura comporta l’inammissibilità del ricorso, con condanna della parte soccombente alle spese processuali, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 1.700,00, di cui 1.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *