Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2011) 27-10-2011, n. 39139 Istituti di prevenzione e di pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza dell’11.3.09 il Tribunale di Sorveglianza di Torino ha dichiarato inammissibile l’istanza con la quale A. V., in espiazione della pena di anni 2 e mesi 10 di reclusione a lui inflitta dalla Corte d’appello di Torino con sentenza del 17 gennaio 2008, definitiva il 1 ottobre 2009, per il reato di cui all’art. 609 octies cod. pen. (violenza sessuale di gruppo commessa nel corso del 2001 in danno di bambini di età inferiore agli anni dieci, con la concessione delle attenuanti generiche), ha chiesto l’ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali (art. 47 Ord. Pen.) ovvero della semilibertà (art. 50 Ord. Pen.).

2. Il Tribunale ha rilevato che l’istanza di affidamento in prova non poteva trovare accoglimento, in quanto la L. n. 354 del 1975, art. 4 bis era stato modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 3 nel senso che nella prima parte di detto comma era stato inserito anche il reato per il quale l’istante era in espiazione pena, si che il beneficio richiesto non era a lui concedibile in difetto del presupposto della sua collaborazione con la giustizia, essendosi egli sempre protestato innocente e vittima di un errore giudiziario; non aveva mai reso dichiarazioni o tenuto condotte qualificabili come collaborative; non si era mai adoperato per evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori; non aveva mai concretamente aiutato nè l’autorità di polizia, nè l’autorità giudiziaria a raccogliere elementi di fatto decisivi per la ricostruzione delle vicende, essendo rimaste zone d’ombra relative ai diversi episodi di violenza sessuale di gruppo, alle vittime del reato ed alla presenza di altri soggetti non identificati.

Inoltre il richiedente aveva svolto un ruolo non secondario nella vicenda criminosa per cui era causa.

Infine non poteva in ogni caso valere nei suoi confronti l’ipotesi della collaborazione impossibile, atteso che i fatti dei quali era stato accusato erano stati definitivamente accertati sulla base di una sentenza passata in giudicato il 1 ottobre 2009 e quindi dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 11 del 2009, si che non poteva dirsi che l’istante, al momento in cui aveva subito il processo, non fosse stato reso edotto delle conseguenze di una scelta non collaborativa, da lui invece consapevolmente tenuta.

3. Avverso detto provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Torino A.V. propone ricorso per cassazione per il tramite del suo difensore, che ha dedotto due motivi di ricorso, oltre a sollevare in via di subordine eccezione d’incostituzionalità dell’art. 4 bis, comma 2 Ord. Pen. Col primo motivo lamenta violazione dell’art. 4 bis, comma 1-bis Ord. Pen., per avere il provvedimento impugnato ritenuto che la collaborazione oggettivamente impossibile si riferisse solo all’ipotesi in cui il giudicato si fosse formato prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 306 del 1992 e successive modificazioni.

Il ricorrente ha fatto poi riferimento a tre sentenze della Corte Costituzionale, la n. 306 del 1993, la n. 357 del 1994 e la n. 68 del 1995, che avevano dichiarato parzialmente illegittima la norma di cui all’art. 4 bis come era all’epoca formulata.

Riferendosi in modo particolare alla terza di dette sentenze, il ricorrente ha ancora evidenziato che, al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 11 del 2009, era stata già emessa nei suoi confronti la sentenza della Corte d’appello di Torino, risalente infatti al 17 gennaio 2008; e già in quell’epoca i fatti erano stati completamente accertati, non essendo residuate indagini in corso, non essendo emersi ulteriori indagati-imputati, nè altri procedimenti per fatti connessi, si che il procedimento di merito era da ritenere concluso, senza che residuasse nei suoi confronti alcuno spazio collaborativo tale da consentirgli di esperire in quella sede alcuna collaborazione ovvero di fornire alcun nuovo elemento di prova o collaborazione; e ciò anche se pendeva all’epoca ricorso in cassazione, deciso con sentenza del 1 ottobre 2009, a seguito della quale la sentenza emessa nei suoi confronti era divenuta definitiva;

invero i fatti e le responsabilità erano stati accertati in modo definitivo a prescindere dal fatto che il giudicato in senso formale si fosse formato dopo l’entrata in vigore del decreto legge anzidetto.

Coi secondo motivo lamenta motivazione carente e manifestamente illogica, nella parte in cui il provvedimento impugnato aveva affermato che, nella vicenda di cui si tratta, fossero rimaste zone d’ombra sia riferite all’accertamento dei fatti, sia riferite alle vittime del reato, sia riferite alla presenza di soggetti non identificati, in quanto dall’esame della sentenza della Corte d’appello di Torino, emessa nei suoi confronti il 17 gennaio 2008, non poteva desumersi viceversa la sussistenza di tali zone d’ombra;

nè poteva essere valutata in tal senso la circostanza che egli non aveva mai ammesso la propria colpevolezza, in quanto l’assenza di confessione poteva essere dettata dai più svariati motivi, senza che potesse essere ritenuta sintomatica di mancato ravvedimento o di pericolosità sociale o dell’intenzione di persistere nel crimine.

Con l’eccezione d’Incostituzionalità di cui sopra, il ricorrente ha chiesto la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinchè si pronunci sull’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis, comma 1-bis Ord. Pen. nella parte in cui non prevede che alla concessione dei benefici di cui al primo comma della norma suddetta possano essere ammessi i detenuti condannati per i delitti ivi elencati anche qualora non vi sia stata collaborazione con la giustizia ex art. 58 ter Ord. Pen., quando vi sia assenza di collegamenti attuali del detenuto con la criminalità organizzata e l’integrale accertamento dei fatti renda comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, e ciò anche nell’ipotesi in cui la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile dopo l’entrata in vigore del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella L. n. 356 del 1992 e successive modifiche, ravvisando nella norma anzidetta, se interpretata restrittivamente, violazione dell’art. 27 Cost., comma 3, artt. 3 e 25 Cost..

4. E’ stato trasmesso a questa Sezione in data 9 maggio 2011 dal Segretariato generale di questa Corte, per la riunione agli atti, un esposto a firma di A.V. datato 13 maggio 2010, avente ad oggetto il valore probatorio della testimonianza de relato ed il diniego di misure alternative alla detenzione.

Motivi della decisione

1. I due motivi di ricorso proposti da A.V. sono fondati.

2. Essi partono dal presupposto che i fatti addebitati al ricorrente siano stati accertati in modo completo ed esaustivo dalla sentenza della Corte d’appello di Torino del 17 gennaio 2008 ed emessa quindi in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni nella L. 23 aprile 2009 n. 38, che ha inserito nel comma primo dell’art. 4 bis Ord. Pen. il delitto di cui all’art. 609 octies, contestato al ricorrente, quale delitto ostativo alla concessione dei benefici penitenziari chiesti; sarebbe pertanto ravvisabile nella specie un’ipotesi di collaborazione oggettivamente impossibile, formatasi in data anteriore al momento dell’entrata in vigore dell’anzidetto mutamento normativo peggiorativo.

Si sostiene comunque nel ricorso che, anche a voler fare riferimento alla data in cui la sentenza di condanna è rivenuta irrevocabile, data quest’ultima successiva a quella di entrata in vigore del D.L. n. 11 del 2009 conv. in L. n. 38 del 2009, alla stregua della più recente giurisprudenza di questa Corte non vi sia, sotto questo profilo, alcun ostacolo alla fruibilità dei benefici penitenziari ove venga riconosciuta la impossibilità della collaborazione.

Il ricorrente ha infine escluso che l’anzidetta sentenza della Corte d’appello di Torino abbia evidenziato la sussistenza di lacune ed incertezze nella ricostruzione dei fatti, idonee a mettere in luce una sua mancata collaborazione nella ricostruzione dei fatti, si che, anche sotto tale aspetto, non poteva ritenersi che il delitto per il quale era in espiazione pena fosse da ritenere ostativo alla concessione in suo favore dei benefici penitenziari richiesti.

3. Va premesso in linea di diritto che l’affermazione del Tribunale di sorveglianza, secondo cui, nei confronti del ricorrente non poteva valere l’ipotesi della collaborazione impossibile, in quanto i fatti dei quali il ricorrente era stato accusato erano stati definitivamente accertati sulla base di una sentenza passata in giudicato il 1 ottobre 2009, e quindi dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 11 del 2009, si pone in contrasto con la più recente e consolidata giurisprudenza di questa Corte che, abbandonando il precedente orientamento richiamato dal provvedimento impugnato, ha ripetutamente precisato che, in caso di collaborazione impossibile, i benefici penitenziari sono fruibili anche dai soggetti nei confronti dei quali la condanna per il reato ostativo sia stata pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge limitativa (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1 n. 29109 del 9/06/2004 dep. 2/07/2004, imp. Chionetti, Rv. 229254; Cass. Sez. 1 n. 20286 del 6/05/2008 dep. 21/05/2008, imp. Gioffrè, Rv. 240007; Cass. Sez. 1 n. 6313 del 10/12/09, dep. 16/02/2010, imp. Serio, Rv. 246127).

Questa soluzione, conforme ai principi dettati in materia dalla Corte costituzionale con le tre sentenze indicate dal ricorrente, appare al Collegio senz’altro condivisibile in quanto, come rimarcato sin dalla prima delle citate sentenze di questa Corte, il legislatore del 2002 non ha inserito nel chiaro dettato del nuovo testo del comma 1 dell’art. 4 bis Ord. Pen. alcun riferimento che possa comportare una limitazione degli effetti della oggettiva impossibilità di utile collaborazione, da tale norma previsti, ai casi di condanne anteriori alla legge limitativa.

4. Fatta tale premessa e posto che, nella specie, non si verte in tema di attualità di collegamenti del ricorrente con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva, sussiste la lamentata carenza di motivazione del provvedimento impugnato sotto l’aspetto ritenuta inesistenza della invocata ipotesi della collaborazione impossibile.

Va invero rilevato che, nella specie, il Tribunale di sorveglianza di Torino non ha in concreto indicato i motivi, desumibili dalla lettura della sentenza emessa nei confronti del ricorrente dalla Corte d’appello di Torino il 17 gennaio 2008, in base ai quali ritenere che A.V. potesse fornire qualche collaborazione utile a fare ulteriore luce sui fatti accertati con detta sentenza; non è stato in particolare in alcun modo specificato quali siano le zone d’ombra, asseritamente rimaste, concernenti i diversi periodi di violenza sessuale di gruppo, le vittime del reati nonchè la partecipazione ai fatti di altri soggetti rimasti non identificati e l’apporto che potrebbe essere dato dal ricorrente per eliminarle.

5. Da quanto sopra consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio degli atti al Tribunale di sorveglianza di Torino per nuovo esame che tenga conto del principio di diritto affermato e delle carenze motivazionali sopra riscontrate.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Torino.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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