Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-04-2012, n. 6144

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – Il Tribunale di Campobasso, pronunciando sulla domanda, avanzata in corso di causa, da parte della SID – Società Immobiliare Direzionale in relazione all’occupazione sine titulo di un terreno di sua proprietà per la realizzazione di un terminal per autobus, con sentenza del 26 luglio del 2001 condannava il Comune di Campobasso al pagamento della somma di L. 1.060.928.254, con gli interessi dal 1 marzo 1989. 1.1 – Alla base di tale decisione veniva posta la circostanza relativa all’annullamento, da parte del giudice amministrativo, degli atti della procedura ablativa, compresa la dichiarazione di pubblica utilità, cui era conseguita la proposizione, da parte di detta società – che aveva originariamente chiesto la determinazione dell’indennità – della pretesa risarcitoria, sulla quale si era instaurato il contraddittorio.

Quanto alla liquidazione del danno, venivano utilizzati i criteri di stima emergenti dalla consulenza tecnica d’ufficio, con particolare riferimento al valore di L. 186.000 al mq attribuito al terreno.

1.2 – La Corte di appello di Campobasso, con la decisione indicata in epigrafe, rilevato preliminarmente che sulla domanda, così come proposta in corso di causa, si era formato il contraddittorio, osservava, quanto al gravame proposto dal Comune, che doveva tenersi conto esclusivamente dei rilievi già mossi all’elaborato peritale, accogliendosi, sul punto, l’eccezione relativo al danno arrecato alla residua proprietà, che non sarebbe stata ritualmente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni.

Veniva altresì dichiarata l’inammissibilità dell’appello proposto dalla società, per carenza di specificità dei motivi.

Pertanto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, il Comune veniva condannato al pagamento della somma di L. 816.014.142, con rivalutazione e interessi a far tempo dal 1 marzo 1984. 1.3 – Per la cassazione di tale decisione il Comune di Campobasso ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso la SID, che propone ricorso incidentale sorretto da due motivi, illustrati da memoria.

Motivi della decisione

2 – Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 1, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in relazione all’art. 37 c.p.c. e al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34.

Il motivo è inammissibile, trattandosi di questione sollevata per la prima volta in questa sede.

Com’è noto, la più recente giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte (ordinanza 9 ottobre 2008, n. 24833; ordinanza 20 novembre 2008, n. 27531) è pervenuta ad una lettura dell’art. 37 c.p.c., secondo la quale, allorchè il giudice di primo grado abbia pronunciato, come nella specie, nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi di questione ormai coperta dal giudicato implicito.

Il rilevo concernente l’efficacia del giudicato esclude, per altro, momenti di collegamento della presente controversia con la competenza delle Sezioni unite (Cass., 7 maggio 2003, n. 6940; Cass. 17 giugno 1996, n. 5529; Id., 9 febbraio 1990, n. 942).

2.1 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 55 e 43, la cui applicabilità sarebbe stata erroneamente esclusa in relazione alla qualificazione della fattispecie come occupazione usurpativa.

Il motivo è infondato.

Vele bene richiamare il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di occupazione usurpativa di area edificabile, quale quella in esame, nei giudizi di risarcimento del danno pendenti alla data del 1 gennaio 1997, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, art. 1, comma 1, lett. pp), all’art. 55, comma 1, del citato testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, al privato proprietario del bene spetta il risarcimento integrale del danno subito per effetto dell’illecita attività della pubblica amministrazione (Cass. 5 agosto 2005, n. 16519; Cass., 12 agosto 2009, n. 18241).

2.2 – Con il terzo motivo si denuncia omessa ed insufficiente motivazione in merito alla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

Il motivo è inammissibile, in quanto le critiche alle scelte effettuate dal consulente tecnico d’ufficio, così come recepite nella decisione impugnata, per poter incidere sulla motivazione di quest’ultima, non possono risolversi nella proposizione, per la prima volta in questa sede, di censure attinenti alle valutazioni compiute dall’esperto e condivise dal giudice del merito. Con orientamento costante, questa Corte ha affermato il principio secondo cui non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca "per relationem" le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice "a quo", la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 4 maggio 2009, n. 10222; Cass. 6 settembre 2007, n. 18688;

Cass. 28 marzo 2006, n. 7078). Non risultano, invero, proposte davanti al giudice del merito, nel senso che le relative deduzioni non sono state richiamate, nel rispetto del principio di autosufficienza, nel ricorso, le argomentazioni svolte in questa sede circa le valutazioni operate dal consulente tecnico d’ufficio, che, in tal modo, anzichè concretare specifiche censure alla motivazione della decisione impugnata, si risolvono in inammissibili questioni attinenti al merito.

2.3 – Il quarto motivo, con il quale si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la corte di appello pronunciata sulla richiesta del Comune di modificare il regolamento delle spese così come contenuto nella sentenza di primo grado, è all’evidenza infondato, in quanto la decisione impugnata, confermando – in parte qua – la sentenza del Tribunale, si è implicitamente pronunciata, ritenendo evidentemente che la condanna al pagamento di una somma considerevole, ancorchè lievemente ridotta nel giudizio di appello (nel cui ambito si è poi proceduto alla compensazione, in considerazione della reciproca soccombenza), comportasse un giudizio sfavorevole circa l’esito finale della lite.

D’altra parte il ricorrente non indica le ragioni in base alle quali aveva chiesto una diversa pronuncia, in tema di spese, da parte del giudice di appello, ragion per cui la censura, del tutto sfornita di qualsiasi supporto argomentativo, non può essere esaminato neppure sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, che, a quanto e dato di comprendere, consisterebbe nell’aver compensato le spese del grado di appello, lasciando immutato il regolamento contenuto nella sentenza di primo grado. Come già evidenziato, il riferimento esplicito alla reciproca, ancorchè parziale, soccombenza elide qualsiasi aspetto di contraddittorietà, costituendo un potere discrezionale del giudice. D’altra parte, non essendo contestata la soccombenza dell’ente territoriale in primo grado, il mancato uso del potere discrezionale di compensare integralmente le spese processuali non richiedeva, in base a costante orientamento di questa Corte (Cass., 28 novembre 2003, n. 18236), alcuna giustificazione.

3 – Col il primo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 5.

Il primo profilo consiste in una critica delle conclusioni cui è pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, soprattutto con riferimento al metodo applicato, mediante una riproposizione delle diverse valutazioni operate dal consulente tecnico di parte, ing. D. D.. La doglianza si risolve in una inammissibile deduzione, in questa sede, di questioni attinenti al merito, nella misura in cui non vengono illustrati i passaggi argomentativi della consulenza tecnica d’ufficio, così come censurati nel precedente giudizio.

Valgano, in proposito, le considerazioni esposte in relazione al terzo motivo del ricorso principale.

Quanto al metodo adottato dal consulente tecnico d’ufficio, va richiamato l’orientamento secondo cui al fine di individuare il valore venale del suolo, rientra tra i compiti del giudice di merito stabilire se sussistono gli elementi occorrenti per la ricerca del presumibile valore comparativo dell’area, con apprezzamento il cui controllo è precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 1^, 26 marzo 2010, n. 7269).

In merito al calcolo degli interessi, deve richiamarsi l’orientamento, che il Collegio condivide ad al quale, anzi, intende dare continuità, secondo cui il momento della maturazione del credito risarcitorio da occupazione "usurpativa" va individuato nella data della irreversibile trasformazione dell’area (Cass., 21 aprile 2006, n. 9472; Cass., 15 maggio 2003, n. 7643; 18 febbraio 2000, n. 1914). Va infatti considerato che nelle ipotesi in esame – nelle quali la piena reintegrazione del patrimonio del danneggiato si impone come regola generale in conseguenza della connotazione del comportamento del soggetto pubblico quale ordinario fatto illecito generatore di danno – il parametro per la liquidazione del danno è costituito dal valore di mercato del bene, non già sul presupposto di un suo trasferimento, ma esclusivamente come perdita di utilità per il proprietario, in quanto l’attività manipolatrice, attraverso la progressiva trasformazione fisica del bene, risulta aver compromesso ogni possibilità presente e futura di destinazione dello stesso verso qualsiasi impiego difforme da quello ad esso impresso dall’occupante. Il relativo danno va, pertanto, liquidato in misura corrispondente al valore venale del bene nel momento in cui ne è localizzabile l’annullamento fisico-giuridico, e, cioè, quello della irreversibile trasformazione. Quanto alla rivalutazione e alla decorrenza degli interessi relativamente al periodo di occupazione, la decisione della Corte corrisponde ad analoga statuizione della decisione di primo grado, evidentemente ritenuta non modificabile, stante la declaratoria di inammissibilità del gravame proposto in via incidentale dalla SID, in questa sede non censurata e, comunque, l’assenza di rilievi proposti al riguardo dalla società avverso detta statuizione.

4 – Deve altresì rilevarsi l’infondatezza del secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La questione attiene alla determinazione del pregiudizio relativo al deprezzamento dell’area residua, che, nell’ipotesi di occupazione usurpativa, non discende, come sembra ritenere la ricorrente incidentale, dalla L. n. 2359 del 1865, art. 40, bensì direttamente dall’art. 2043 c.c.. In proposito si richiama il principio affermato da questa Corte, secondo cui nell’ipotesi di illecito da occupazione usurpativa, la domanda di risarcimento dei danni indiretti subiti dalla porzione del fondo residuo non può essere respinta invocando la giurisprudenza della Cassazione relativa alla diversa ipotesi dell1 espropriazione parziale – secondo cui la diminuzione del valore residuo della proprietà sussiste solo quando vi sia un rapporto immediato e diretto fra la parziale ablazione ed il danno e non quando il deprezzamento sia dovuto a limitazioni legali della proprietà di carattere generale che gravano, indipendentemente dall’intervento ablatorio, su tutti i beni che si trovano in una certa posizione di vicinanza rispetto all’opera pubblica realizzata o da realizzare -; al risarcimento dei danni da occupazione usurpativa, infatti, deve ritenersi estranea la previsione della L. n. 2359 del 1865, art. 40, la quale, unitamente alla giurisprudenza richiamata, si riferisce ai casi di espropriazione parziale (Cass., 8 maggio 2009, n. 10588). La dimostrazione del relativo pregiudizio costituisce, quindi, una specifica voce di danno, che deve essere apprezzata sulla base delle allegazioni fornite dal danneggiato e che non può ritenersi "in re ipsa", come sostenuto nel ricorso incidentale.

La SID, a tale riguardo, non sembra aver colto appieno la ratio decidendi della decisione impugnata, che, nell’escludere, per l’appunto, tale voce di danno, ha rilevato che nelle conclusioni della stessa del giudizio di primo grado "non si rinviene alcuna deduzione riferita o riferibile al danno ai terreni residui". Deve ritenersi, che, a prescindere dai rilevi circa le ragioni procedurali in base alle quali la Corte territoriale ha ritenuto di escludere il ristoro della voce di danno in esame, per altro non adeguatamente censurate, sulle stesse faccia premio la sostanziale correttezza della decisione impugnata, a fonte della quale l’affermazione della ricorrente incidentale che il danno subito dall’area residua sia "in re ipsa" e "non richieda alcun ulteriore supporto probatorio", per le esposte ragioni, non può essere condivisa.

Nè può tenersi conto delle ragioni del deprezzamento esposte in questa sede, non risultando, non essendo indicato nel rispetto de principio di autosufficienza, che le stesse siano state sottoposte alla valutazione del giudice del merito.

5 – Al rigetto di entrambi i ricorsi consegue, stante la reciproca soccombenza, la compensazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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